Come fanno le idee a diventare film? A Milano la mostra sugli storyboard
Nello spazio più sperimentale della Fondazione apre un percorso per immagini con sketch, disegni e testi che mostra passo passo come le storie diventino vive. Anche grazie a un allestimento che è un perfetto omaggio alla cinematografia
Quanto è complesso il processo creativo che anticipa la realizzazione di un film, quanti i passaggi necessari per dare una forma esatta a un’idea, e quali gli strumenti adatti? A rispondere è la mostra che sta per aprire in uno degli spazi espositivi più interessanti di Milano, l’Osservatorio di Fondazione Prada. Nei luminosi ambienti che sovrastano la Galleria Vittorio Emanuele II si allestisce in queste settimane un percorso che, tra disegni, schizzi e testi, esplora il viaggio collettivo che porta le storie a diventare immagini, e da lì a prendere vita.
La mostra “A Kind of Language” all’Osservatorio di Fondazione Prada a Milano
La mostra A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema, in apertura il 30 gennaio, dispiega una voluminosa quantità di materiali d’archivio di varia natura per comporre un quadro rigoroso ma immaginifico. Oltre mille elementi datati tra il 1930 e il 2024 e realizzati da più di 50 autori – che siano registi, direttori della fotografia, artisti, ma anche grafici, animatori, coreografi – compongono il ritratto di una macchina imponente, quella del cinema, che abbraccia discipline e arti diverse per realizzare un lavoro totale.
E quindi spazio a storyboard e moodboard, disegni e schizzi, scrapbook e quaderni, sceneggiature commentate e fotografie, tutti tasselli fondamentali per comporre una pellicola. “Per molti creare gli storyboard è parte integrante del processo. Impostare visivamente una scena per poi definirne l’andamento può aiutare il team coinvolto nella realizzazione del film a riflettere sulle relazioni tra i personaggi, a immaginare come sviluppare la narrazione o a comprendere il miglior modo di trasmettere l’essenza di una particolare sequenza. Può anche aiutare a correggere i problemi, per esempio quando qualcosa non sembra del tutto convincente in un personaggio o in un’interazione fisica, e offrire un riferimento visivo agli attori”, spiega la curatrice Melissa Harris. “Sul piano tecnico, gli storyboard possono aiutare il regista a determinare le angolazioni più efficaci per l’illuminazione e le riprese, o il miglior modo di impiegare le dissolvenze ed eventuali effetti speciali”.
La nascita dello storyboard in mostra a Milano
Non deve sorprendere questa relazione simbiotica: che lo storyboard esiste è più o meno un secolo, visto che, come abitudine, si consolida con l’affermarsi dei film di animazione. Anticipati dai disegni preparatori del pionieristico regista Georges Méliès, che li usò per film fantasy e fantascientifici (come il Viaggio nella luna del 1902), sono i cartoni ad andare a fissare per sempre questo intermediario tra parola e film: negli Anni Trenta i Fleischer Studios e la Walt Disney Productions cominciarono a commissionare agli artisti sequenze di schizzi e altri elementi visivi durante l’elaborazione della trama e la definizione dei personaggi, un processo poi replicato negli Anni Quaranta dalla United Productions of America.
Ricostruendo questa linea temporale, in mostra ci sono Betty Boop e Braccio di Ferro, Pinocchio e il Topolino-stregone di Fantasia, e così via. Con il passare degli anni lo storyboard diventa uno strumento fondamentale anche per l’elaborazione di tutte le opere cinematografiche, contribuendo in tempi recenti anche all’inserimento di effetti speciali in fase di post-produzione. Anche se, certo, quel primo amore tra disegno e animazione continua a tornare: lo dimostrano i disegni preparatori di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli esposti all’Osservatorio.
Un allestimento cinematografico nell’Osservatorio di Fondazione Prada
Passando attraverso tutte queste evoluzioni, gli storyboard hanno poi sviluppato un proprio linguaggio. È proprio questo linguaggio a essere omaggiatodall’allestimento, concepito da Andrea Faraguna dello studio di architettura Sub di Berlino perché prendesse ispirazione direttamente dallo storyboard. Lo spazio espositivo verrà quindi parcellizzato con una serie di tavoli ispirati alle scrivanie da disegno: ognuno di questi è dedicato a un film specifico, di cui viene presentata la narrativa visuale attraverso dei focus. Che possono essere i luoghi dei film – il Mar Rosso ne I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille, del ’56, o le ambientazioni desertiche per quel Dune di Alejandro Jodorowsky che non uscì mai –; o i personaggi – è il caso della Mamma Roma interpretata da Anna Magnani o delle sorelle Lisbon ne Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola – o anche solo l’ambientazione, come ne Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders.
Appesi al di sopra di ogni tavolo ci sono poi degli elementi paralleli e speculari, che tagliano lo spazio visivo in una striscia sottile intervallata a moduli come una pellicola. Una prospettiva che taglia, attraverso gli ampi vetri dello spazio, anche la galleria e tutta Milano: ed ecco che tocca alla città diventare un film. La stessa cosa accadrà l’anno prossimo a Shanghai: è qui che si terrà il secondo capitolo di A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema che, da novembre 2025 a gennaio 2026, viaggerà nella sede di Prada Rong Zhai.
Giulia Giaume
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