Intervista a Piero Pompili, il fotografo dei pugili in occasione della sua mostra a Roma

Il luogo è l’uomo come l’uomo è il luogo. Piero Pompili si racconta in occasione della mostra che, a Bianco Contemporaneo, ne ripercorre i trent'anni di carriera tralasciando le opere più note per privilegiare il suo rapporto con la città

È tratto dal romanzo di Elio Vittorini il titolo della mostra antologica di Piero Pompili (Roma 1967) Uomini e no che alla galleria Bianco Contemporaneo di Roma, dal 18 gennaio al 22 febbraio 2025, ne ripercorre i 30 anni di carriera. Oltre 35 fotografie che, tralasciando i pugili – soggetto che l’ha reso celebre – mettono al centro il suo rapporto con la città, attraverso opere potenti come A mia madre e La figlia di Iorio. Poi, nature morte, architetture, ritratti, in un’impeccabile bianco e nero che, non escludendo del tutto il colore, enfatizza il lato tragico della quotidianità, amplificato dal rigore del formato quadrato dell’Hasselblad che ne accentua la formale teatralità.
In una conversazione con Artribune l’artista Piero Pompili ripercorre il suo percorso e l’iter che lo ha portato alla mostra, organizzata da Bianco Contemporaneo, con cui ha anche realizzato il cofanetto/cartella d’artista in edizione limitata di 50 copie contenente 56 fotografie, accompagnate dai testi di Antonio Calbi, Antonio Franchini, Andrea Iezzi e Roberto Simeone.

La personale di Piero Pompili a Roma

Come nasce la mostra nella galleria Bianco Contemporaneo?

L’idea è della gallerista Rossella Alessandrucci. Al di là della tragicità di questo romanzo, dal punto di vista estetico ci piaceva il riferimento non solo agli uomini ma ai luoghi. Il luogo è l’uomo come l’uomo è il luogo. Rileggendo questo romanzo breve di Vittorini che è tragico, contorto, bellissimo, forte e feroce, ho trovato anche uno spirito di lotta che mi appartiene.

Piero Pompili, ph Manuela De Leonardis
Piero Pompili, ph Manuela De Leonardis


Ti senti rappresentato da queste opere realizzate dall’inizio della tua carriera, nel 1995, ad oggi che escludono le fotografie dei pugili?

Queste fotografie mi rappresentato tutte, sono la mia scatola cranica. La poetica dei pugili rappresenta la mia spina dorsale ma in quest’antologica, che è la mia grande navigazione interiore, presentiamo volutamente lavori diversi. Questo lungo percorso si apre con il dittico del mio autoritratto con il coltello puntato sulla testa, un po’ come una scatola cranica che si apre, che abbiamo posto in relazione con l’immagine delle gambe di mia madre. La mostra traccia i vari passaggi della mia esistenza. Una fotografia come Luce e acciaio, in cui è inquadrata una bambolina, in qualche modo è legata al bambino che mi porto dentro e che non smetto mai di ascoltare. Continuando questa navigazione, ci sono anche lavori realizzati durante l’esperienza coniugale. Lavori con il corpo in cui ho messo in moto tutto me stesso.
L’artista ha la fortuna, a differenza di una persona qualunque, di assecondare il male, cioè di trasformare il male in bene. In un processo dantesco in cui si scende e si sale. Tutto questo è un carburante, una fonte d’ispirazione, come ci insegna Dante che ha scritto la Divina Commedia durante il suo esilio. Proprio la sofferenza, affrontata con lucidità, mi ha portato a vedermi dal di fuori. Con Rossella abbiamo costruito questa mia memoria, questo corpus. Tra le foto c’è anche una maternità che ho chiamato Cerere che in un certo senso rappresenta la mia maternità, perché è come se partorissi i miei lavori portandoli in grembo. Se la mente fotografa, la pancia metabolizza: si tratta di un processo corporeo. Del resto, mi definisco un autore del corpo anche lì dove ci sono carcasse metalliche di automobili che sono anch’esse corpi che tirano fuori le loro viscere.

Roma nella fotografia di Piero Pompili

Nel tuo lavoro ci sono riferimenti letterari, storico-artici. Ma è altrettanto centrale l’esperienza vissuta in prima persona, in particolare nel quartiere romano della Borghesiana dove sei nato e cresciuto…

Ho metabolizzato Borghesiana facendone la mia ispirazione. Il vero artista è colui che racconta la sua strada, ciò che calpesta. Per me Borghesiana è stata fondamentale, formativa. Quelle stesse carcasse di automobili che sembrano delle incisioni ad acquaforte le ho realizzate a Borghesiana. Tutt’ora tornandovi, perché il destino mi ha riportato in questo quartiere, lo percepisco come essenziale. Potrei raccontare il mondo attraverso Borghesiana, non devo andare lontano.

La stessa Roma è in generale un modello per la ricerca della tua «classicità moderna»…

In ogni personaggio vedo il mito, lo cerco. Ma lo faccio in una maniera naturale, sincera e se vogliamo anche ingenua. Da bambino ai Musei Capitolini o ai Musei Vaticano ero affascinato dalla scultura romana, da quella fisicità. Quindi sì, nel lavoro c’è uno spirito classicheggiante moderno ma vedo il mito nella contemporaneità. La seduzione dinanzi ai capolavori c’è sempre, pensando a Tiziano, Giorgione… ma poi la metto da parte e vado avanti con la mia testa.

Ricordo che nell’intervista che facemmo nel 2006, in occasione dell’uscita del libro Combat, avevi parlato dell’incontro casuale con la fotografia, quando da bambino avevi usato la macchina fotografica di plastica che uno dei tuoi fratelli aveva preso con i punti della Mira Lanza. Cosa ti ha spinto, nel tempo, a trasformare una curiosità e passione in una professione?

Grazie per avermi ricordato quel momento. Mio fratello Maurizio era innamorato della fotografia e con i punti della Mira Lanza, dato che mia madre usava quel detersivo, prendemmo una macchina fotografica di plastica che mi sembrava fosse verde e blu. Scattammo un rullino poi la macchina fotografica si smontò. Sicuramente quello fu l’inizio di una curiosità e di un fascino, provenendo da una famiglia estremamente umile, che è continuato frequentando il liceo artistico. A differenza dei miei compagni di scuola che suonata la campanella se ne tornavano di corsa a casa, io andavo in giro a visitare mostre. Sebbene non sia mai stato uno scolaro modello – il mio rapporto con la scuola era decisamente conflittuale – c’è stato anche chi tra i miei insegnanti ha visto in me qualcosa di diverso. A 18 anni ho preso sul serio la fotografia, anche se con diversi conflitti sentivo quella spinta.

Piero Pompili e il rapporto con Enzo Siciliano

Quali erano, allora, i tuoi mentori?

Non avevo maestri ma li cercavo. Nel 1993 ho conosciuto Enzo Siciliano, è stato lui il mio mentore, colui che mi ha dato fiducia e sicurezza. Pubblicai il mio primo lavoro su Nuovi Argomenti. In quelle foto c’era già l’umanità, erano ritratti scattati a Borghesiana ai ragazzi del baretto. Roma Sud era il titolo che avevo dato a quel servizio e così lo proposi a Enzo Siciliano che lo pubblicò. Uscì l’inserto interno insieme alla copertina. Subito dopo, nel ’94, feci la mia prima mostra personale Cara Roma alla galleria Erica Fiorentini a Roma con testi di Enzo Siciliano e Duccio Trombadori. Visto a distanza, il destino era lì come una nuvola che mi sorrideva. In realtà, però, la mia prima vera mostra ebbe luogo nel 1985 proprio a Borghesiana, al Centro Otto. Avevo 17 anni. Si chiamava Obiettivo Borghesiana 85. Nelle mie foto c’era già l’attenzione ai luoghi, ai volti, quell’impronta che negli anni ha ricevuto e subito le varie maturazioni, con l’onestà che credo mi sia sempre appartenuta.

Parlando dell’estetica del bianco e nero, è stata una scelta consapevole sin dall’inizio?

Sì è stata una scelta consapevole e poetica. Il bianco e nero mi appartiene ma non escludo il colore, perché i miei maestri sono pittori come Piero della Francesca, Mantegna, Michelangelo. Nei miei lavori vado avanti e poi torno indietro, quindi c’è soprattutto bianco e nero ma anche colore. La magia e i sogni sono in bianco e nero, quindi riporto i miei sogni e le mie visioni su pellicola e su carta.

Anche gli incubi?

Gli incubi si superano. Devono esserci ma vanno affrontati e risolti tra sé e sé rompendo gli argini.

Manuela De Leonardis

Libri consigliati:

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Manuela De Leonardis

Manuela De Leonardis

Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Dal 1993 è iscritta all’Ordine dei giornalisti del Lazio e dal 2004 scrive di arti visive per le pagine culturali del manifesto e gli inserti Alias, Alias Domenica, ExtraTerrestre.…

Scopri di più