Non hanno dubbi Andrea Margaritelli, presidente nazionale di IN/Arch, e Mariagrazia Leonardi, presidente di IN/Arch Sicilia: l’eredità tangibile di Paesaggi Aperti – l’articolato progetto di ricerca multidisciplinare che nell’arco del 2024 ha coinvolto varie aree del territorio siciliano – risiede nell’aver innescato un dialogo senza precedenti tra decine di soggetti attivi, a vario titolo, nel governo e nella tutela del contesto locale. Un’impresa non facile, resa possibile in concreto dal finanziamento del Ministero Università e Ricerca, che svolgendosi in concomitanza con il centenario della nascita dell’attivista e sociologo Danilo Dolci, ha finito per abbracciare l’approccio partecipativo che fu proprio, fin dagli Anni Cinquanta, del “Gandhi della Sicilia”.
Quasi 12 mesi di attività, 17 seminari, 3 mostre e 2 workshop di progettazione (da sommare a laboratori sociali, fotografici e artistici anche destinati ai bambini) sono i numeri che restituiscono il senso di un’iniziativa capillarmente diffusa e corale, in cui professionisti, amministratori pubblici, cittadini e studenti si sono ritrovati insieme per ragionare insieme sul potenziale – in larga parte ancora inespresso – dei luoghi in cui si svolgono le loro vite. Ma più che sulle cifre Margaritelli si sofferma sulla “profondità e intensità del coinvolgimento emotivo”, nonché sulla “partecipazione dei tanti e diversi strati della popolazione”, sottolineando la coerenza tra l’iniziativa e la missione fondativa dell’IN/Arch, che fin dall’atto di nascita siglato da Bruno Zevi nel 1959 riconosce primariamente il valore sociale dell’architettura.
In Sicilia un’esperienza lunga un anno di rigenerazione culturale e sociale
Tutto parte, spiega la presidente Leonardi, dall’ottenimento di fondi tramite il bando FRES – Fondo per la Ricerca in campo Economico e Sociale, a sua volta indetto per indagare le condizioni socio-economiche dell’Italia post-Covid. L’intuizione di Paesaggi Aperti è stata quella di analizzare ricadute pandemiche nel contesto urbano e nelle relazioni fisiche e sociali, con particolare riguardo per le trasformazioni avvenute in aree già attraversate da forme di degrado sociale. A questa premessa si è unita la volontà di comprendere come “attualizzare l’eredità di Danilo Dolci, per creare condizioni di empowerment culturale e sociale e favorire occasioni di rigenerazione urbana per le nostre città e di rigenerazione umana per le persone che le vivono” racconta l’architetta ad Artribune.
Ne è scaturito un format ambizioso, multidisciplinare e multiscalare, che nelle provincie di Palermo, Ragusa, Enna e Siracusa ha assunto la forma di seminari dai quali potranno germogliare nuove sinergie e progetti di rigenerazione urbana; a Favara e Catania Paesaggi Aperti si è concretizzato in due workshop di progettazione.
“Emblema di una militanza attiva, insieme tecnico-organizzativa e spirituale, Danilo Dolci dimostrò con i fatti il valore di parole chiave quali partecipazione attiva dal basso e coinvolgimento delle comunità nei processi che generano qualità dell’architettura, dell’urbanistica, del paesaggio, e dunque qualità della vita” prosegue Margaritelli, individuando tra le peculiarità di Paesaggi Aperti quella di “aver affrontato tematiche di interesse collettivo a partire da casi concreti, individuando brani di città e quartieri in cui poter ricostruire i valori della comunità partendo dal basso, senza che l’architettura cada dall’alto o risulti cerebrale”.
Fare rigenerazione urbana in Sicilia: il caso di via Reale a Favara
Passando quindi dalla teoria alla pratica, dall’11 al 13 aprile 2024, un gruppo di progettisti (Lillo Giglia; Giovanni Fiamingo, Giovanna Russo, Domenica Benvenga – Nextbuild; Salvo Terranova, Giorgia Testa, Arianna Lo Re – Lineat Studio; Francesco Moncada e Mafalda Rangel – Moncada Rangel; Lucia Pierro (Autonomeforme.Architettura) ha lavorato a Favara, nell’area di via Reale. “È un quartiere storico importante per la cittadina, ma sta sostanzialmente crollando su sé stesso” spiega ancora Leonardi. “Le abitazioni in zona sono in larga ormai inaccessibili, talvolta vengono utilizzate come depositi della spazzatura e in alcuni casi, per effetto dello spopolamento e del trasferimento all’estero degli eredi, non si riescono a identificare i proprietari”. Una situazione complicata, che dopo una serie di analisi preventive e mappature ha spinto i progettisti coinvolti a ipotizzare forme di riconversione. Comune denominatore dei progetti sviluppati è l’idea che questa zona possa “diventare accogliente e utilizzabile sia per gli abitanti attuali che per nuovi residenti, immaginando quindi Favara come città dell’accoglienza e dell’inclusività, tenendo sempre conto dell’aspetto del verde e delle urgenze legate al cambiamento climatico” precisa Leonardi, per la quale gli esiti del workshop “incentivano la multiculturalità e la creatività di Favara, anche in chiave intergenerazionale”. Scenari, dunque, di un possibile futuro.
Verso l’Urban Center di Catania?
Dal 15 al 19 luglio, l’azione di Paesaggi Aperti si è quindi focalizzata su Catania, ovvero sul quartiere Antico Corso. In questo caso i progettisti invitati al workshop (Sebastiano Amore, Giulia Labruna, Rossella Zappalà – ACA Amore Campione architettura; Giovanni Calabrese, Antonio Carcione, Eleonora Strazzeri – Ellenia+Tre Architettura; Luca Bullaro Architettura) hanno ragionato su una serie di spazi interstiziali e residuali che caratterizzano questa porzione di tessuto urbano del capoluogo etneo, oggetto di numerosi interventi di rigenerazione secondo la Legge Regionale 13/2015. Al di là delle opere già definite su immobili di proprietà regionale e affidati ad altri soggetti (università inclusa), restano “luoghi di transizione nei quali le diverse generazioni convivono e si incontrano” precisa Leonardi, evidenziando anche la presenza di verde storico, ampiamente considerato parte integrante dell’identità locale. Sempre Catania, infine, è stata oggetto delle ricerche condotte a Librino, già teatro di esperienze artistiche partecipate sostenute anche dalla Fondazione Petri, e nel quartiere San Berillo: proprio qui potrebbe nel prossimo futuro insediarsi l’Urban Center della città. Dal confronto con gli stakeholder e le associazioni attivi in tale contesto, conclude Leonardi, “è infatti nata l’esigenza di realizzare, proprio all’interno di questo quartiere così fragile, l’Urban center catanese. Sarebbe un luogo fisso, ma potrebbe agire anche come una piattaforma virtuale. Continuamente implementato, diventerebbe una sorta di “casa della città e delle sue comunità, in cui tutte le associazioni e gli enti presenti, già messi in rete attraverso Paesaggi Aperti, potranno continuare a sviluppare e condividere progettualità per la città di Catania, oltre a dialogare e offrire suggerimenti in chiave partecipativa”. Dimostrando, insomma, di aver appreso la lezione di Danilo Dolci.
Valentina Silvestrini
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