Al Prado di Madrid una grande mostra per celebrare la scultura del Siglo de Oro
Opulento, sfarzoso, espressivo. Questi i tratti caratteristici del Barocco spagnolo, protagonista a Madrid di una mostra che mette al centro la fusione tra le arti, per rendere a pieno la teatralità dell'estetica del Siglo de Oro
Non è certo la prima volta che si presenta la scultura in stretto dialogo con la pittura. Tuttavia, il Museo del Prado propone, fino al 2 marzo 2025, una mostra unica, di grande interesse storico e artistico, pensata per esaltare l’intima relazione tra volume e colore, binomio essenziale per comprendere e apprezzare le arti plastiche del Barocco spagnolo.
Quando scultura e colore si danno la mano
La mostra Darsi la mano. Scultura e colore nel Siglo de Oro è l’esordio espositivo al Prado di Manuel Arias Martínez, da qualche anno a capo del dipartimento di scultura, con un’ampia esperienza maturata al Museo nazionale di Scultura di Valladolid. Non è un caso, infatti, che alcune delle più straordinarie opere in mostra a Madrid – come il Cristo Giacente di Gregorio Fernández o la Maria Maddalena di Juan de Juni – provengano proprio da quel meraviglioso museo, ancora poco frequentato dal turismo internazionale che affolla le città spagnole. Manuel Arias è anche l’autore dei saggi nell’elegante catalogo; volume fondamentale per approfondire le tematiche trattate in mostra e comprendere l’importanza dell’arte policroma nella propaganda cattolica in Spagna.
Il titolo Darsi la mano è una citazione di Antonio Palomino (Spagna, 1655-1726) – pittore e trattatista, noto come il Vasari spagnolo – che per elogiare un Cristo del Perdono policromo di Manuel Pereira e Francisco Camilo dichiara “che così pittura e scultura, dandosi la mano, compongono un prodigioso spettacolo”. L’esposizione presenta un centinaio di sculture, accompagnate da opere grafiche e da molti dipinti anche di grande formato, a firma di maestri del Siglo de Oro, come Alonso Berruguete, Gaspar Becerra, Pedro de Mena, Francisco Salzillo, Pedro e Luisa Roldán, oltre ai già citati Gregorio Fernández e Juan de Juni. La policromia è caratteristica costitutiva della scultura devozionale del Seicento spagnolo, soprattutto in legno. Infatti, oltre ad accrescere la verosimiglianza delle figure, le converte in un’arma di persuasione dottrinale efficace grazie all’espressività teatrale propria dell’estetica barocca. Molti autori ricorsero a specialisti della policromia per completare le loro opere come dimostrano le doppie firme, presenti soprattutto nelle grandi pale d’altare lignee, capolavori tridimensionali.
Al Prado un allestimento scenografico
L’allestimento è davvero scenografico e spettacolare. Il percorso è costruito come un gioco di specchi, in cui sculture di epoche e fatture diverse si riflettono in tele con medesimo o simile soggetto; nello stesso tempo, la pittura emula effetti di tridimensionalità e arricchisce le sculture con raffinati dettagli. Del resto, il protagonista della mostra è il colore, presente in origine in tutta la statuaria antica per aumentarne la veridicità, “dandole vita, anima e spirito attraverso il pennello, che rappresenta gli affetti dell’anima”, per citare il monaco benedettino Gregorio de Argaiz nel 1677.
Straordinaria è la possibilità di osservare la maggior parte delle sculture da vicino e a trecentosessanta gradi, cogliendo la complessità dei volumi, l’eleganza delle forme e la bellezza dei dettagli, come i volti delle Vergini; lo sguardo estatico dei santi; le pieghe dei loro ricchi mantelli; il realismo delle posture nonché, la resa degli incarnati e delle chiome.
Scenografica anche la scelta di includere in mostra un’opera complessa e monumentale come Sed tengo di Gregorio Fernández, uno dei pasos procesionales custoditi nel Museo di Valladolid, gigantesche scene della Passione di Gesù che ancora oggi, se il tempo lo permette, vengono portati in processione durante la Semana Santa.
I Prestiti dall’Italia
Come anticipato, la scultura è sempre stata policroma, perdendo con il tempo il colore e, con esso, verosimiglianza e forza comunicativa, in favore dell’immagine falsata, per quanto splendida, della statuaria in bianco immacolato. Tracce della pigmentazione originaria affiorano qua e là in opere come la Venere tipo Lovatelli, datata I secolo d.C e ritrovata nell’Ottocento nella casa dei Diomedi, a Pompei. Sensuale scultura in marmo, proveniente dal Mann di Napoli, che per prima accoglie i visitatori a Madrid, mostrando tutta la vitalità del giallo, verde e nero, usati secondo il gusto tipicamente pompeiano che si riflette nelle tavolette coeve, di stessa provenienza, esposte alle pareti. Il colore, quando non è dipinto, è dato anche dalla scelta dei materiali, spesso marmi policromi o porfidi rossi, come quello del tenerissimo Putto dormiente di Tommaso Fedele (1640 circa) proveniente dalla Fondazione Dino e Ernesta Santarelli, specializzata proprio nello studio e preservazione della scultura lapidaria. Fra i tanti prestiti dall’Italia c’è anche la monumentale Cerere (90-110 d.C), statua romana, per la prima volta esposta fuori dagli Uffizi di Firenze; il cui caratteristico peplo in basanite nera, espressione visiva di dolore, lutto e morte in ambito pagano, dalla fine del Cinquecento comincia ad associarsi all’immagine sacra della Virgen de la Soledad, venerata in tutta Spagna.
Le nuove acquisizioni del Prado
La mostra è anche l’occasione per presentare per la prima volta al pubblico cinque nuove acquisizioni del Museo del Prado per arricchire la collezione di sculture lignee. Il buon ladrone e Il cattivo ladrone di Alonso Berruguete, coppia di statuine di piccole dimensioni, forse appartenuta a un Calvario d’uso domestico, che stupisce per la potenza espressiva delle posizioni. Un elegante San Giovanni Battista di Juan de Mesa, curato nei minimi dettagli tra cui il volto, i folti capelli e l’abito drappeggiato, forse destinato alle uscite processionali. E, infine, una ben più antica coppia di statue dell’ultimo quarto del XIII secolo, di autore anonimo castellano, che raffigurano Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Sculture che, per quanto appartengano probabilmente a una Deposizione di matrice medievale, si distinguono per la gestualità esplicita, fortemente teatrale, e per il realismo della decorazione pittorica.
La collezione di Cristina di Svezia a Madrid
Il Museo del Prado non è particolarmente noto per la sua collezione di scultura. Molti non sanno, però, che nella grande pinacoteca di Madrid è custodita buona parte della ricca statuaria classica appartenuta alla regina Cristina di Svezia, che, a metà del Settecento, Filippo V e Isabella Farnese (i primi re della dinastia dei Borboni) acquistarono da un erede di Livio Odescalchi. Negli ultimi anni, il direttore del Prado Miguel Falomir ha riorganizzato gran parte delle sale dell’edificio del Villanueva, inserendo capolavori d’arte plastica, contestualizzati storicamente, e rivendicando così l’importanza della scultura nelle Collezioni Reali. Molti pezzi restano tuttavia ancora nei depositi, ma la mostra proposta in questi mesi a Madrid, le recenti acquisizioni e l’ampio lavoro di restauro che l’ha preceduta, fanno supporre che, in futuro, il museo voglia proseguire la strada intrapresa e ampliare la presenza della scultura tra le sale della pinacoteca, facendo onore alla storia del Prado che, nel XIX secolo, si chiamava Museo nazionale di pittura e scultura.
Federica Lonati
Madrid//fino al 2 marzo 2025
Darsi la mano. Scultura e colore nel Siglo de Oro.
Museo nacional del Prado
www.museodelprado.es
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