Fotografia contemporanea a Napoli. La mostra di Erwin Olaf nell’intervista a Maria Savarese
La ottantunenne galleria Al Blu di Prussia da sette anni si dedica alla fotografia contemporanea con un progetto che coinvolge artisti di fama mondiale. Il nuovo capitolo, sul fotografo olandese dei reali Erwin Olaf, è l’occasione per fare il punto. Intervista alla curatrice, Maria Savarese
Sguardi negati, persone come sculture di cera, istante che sembrano infiniti. Uno spazio imperscrutabile, denso di vuoti e silenzi. Poi, la geometria di Paolo Uccello, il dettaglio fiammingo, il mistero di Piero della Francesca. Le opere di Erwin Olaf contraddicono l’immediatezza del medium fotografico per andare verso una qualità ritrattistica, pittorica. Dalla riproducibilità totale di Benjamin, la camera sembra tornare alle origini del dagherrotipo e all’unicità. Ibridazione tra tempi e linguaggi artistici si respirano in I Am di Erwin Olaf (Paesi Bassi, 1959 -2023). Nuovo capitolo del percorso curatoriale fotografico che da sette anni la curatrice Maria Savarese porta avanti presso Al Blu di Prussia, storica galleria partenopea di Giuseppe Mannajuolo, diretta da Mario Pellegrino.
Cosa vuol dire portare la fotografia in una galleria con ottantuno anni di storia? E qual è lo statement di questa mostra, prima personale napoletana del ritrattista ufficiale della famiglia reale olandese nel 2017; disegnatore dell’euro nel 2013, in vista della prima retrospettiva allo Stedelijk Museum di Amsterdam? Ne abbiamo parlato con la curatrice, Maria Savarese…
L’intervista alla curatrice Maria Savarese
Alla luce della lunga collaborazione con la storica galleria partenopea, secono lei, quali le principali tappe di Al Blu di Prussia e i tratti salienti che la distinguono oggi, con la direzione di Mario Pellegrino?
La galleria Al Blu di Prussia, sin dalla sua fondazione, nel 1943, ad opera di Guido Mannajuolo, all’interno dello straordinario palazzo liberty che porta il suo nome, contribuì per quasi quindici anni, ad aggiornare l’ambiente artistico napoletano sulle tendenze dell’arte figurativa d’avanguardia.
Fu grazie a lui che gli artisti più moderni e contemporanei in città, riuniti nel movimento avanguardista Gruppo Sud, alla fine degli Anni Quaranta ebbero la possibilità di esporre, indirizzando l’arte napoletana verso concetti inediti. Il Gruppo riuniva pittori e scultori come: Renato De Fusco, Raffaele Lippi, Guido Tatafiore, Armando De Stefano, Vincenzo Montefusco, Renato Barisani, Federico Starnone, Paolo Ricci, Titina De Filippo, Novella Parigini e tanti altri.
Sempre in linea con le tendenze figurative più avanzate, Guido Mannajuolo ospitò, nel gennaio del 1952, la prima mostra dei Concretisti Napoletani, con opere di De Fusco, Barisani, Tatafiore, Venditti, Giordano e Bisanzio, che avevano scelto la via dell’astrattismo.
Una bella storia…
Sì. In galleria, inoltre, furono esposte negli anni opere di maestri dell’arte del Novecento italiano ed europeo, come De Pisis, Dalì, Campigli, Casorati, De Chirico, Braque, Picasso, Soffici, Rosai, Morandi, consolidando il ruolo di Napoli come polo dell’arte internazionale.
L’idea di restituire alla città un centro culturale così importante si deve alla caparbietà della famiglia Mannajuolo; in particolare a Giuseppe e Patrizia, nipoti di Guido, con la creazione nel 2008 della Fondazione Mannajuolo e la riapertura della galleria Al Blu di Prussia, al primo piano del palazzo di famiglia, in via Filangieri.
Diretto da Mario Pellegrino, lo spazio ospita importanti iniziative dedicate ai diversi linguaggi contemporanei: dal cinema, al teatro; dalle mostre ai talk, alle presentazioni di libri. Oggi, come allora, la città ha la possibilità di godere di eventi culturali straordinari, rivolti alla valorizzazione del patrimonio culturale napoletano e internazionale.
Il progetto curatoriale di Maria Savarese per la galleria Al Blu di Prussia a Napoli
Com’è nato il suo progetto curatoriale fotografico per la galleria, che tipo di visione ha proposto e quali autori?
La mia collaborazione con la Fondazione Mannajuolo, Al Blu di Prussia è cominciata nel 2008, con la riapertura della galleria. Dedicandomi inizialmente a tutta l’attività espositiva. Ho sempre indirizzato le mie scelte curatoriali tanto verso artisti napoletani, come Lino Fiorito, Oreste Zevola, per citarne alcuni; quanto, verso artisti internazionali, tra cui Valerio Berruti, Matteo Pugliese, Roberto Paci Dalò, per offrire alla città una proposta ampia e diversificata.
Nel 2018 ho incominciato a pensare ad un progetto curatoriale sulla fotografia per la grande passione che nutro per questo medium. Passione condivisa con Mario Pellegrino che, fra l’altro, è un bravissimo fotografo. Così, da quel momento, la Fondazione Mannajuolo ha reso possibili mostre straordinarie dedicate a grandi autori, come Francesca Woodman, Giovanni Gastel, Guy Bourdin, Gianpaolo Barbieri, Alfa Castaldi, Erwin Olaf, con uno sguardo sempre attento anche alla fotografia napoletana, con focus su artisti come: Cesare Accetta e Fabio Donato.
Ciò che mi emoziona e mi rende felice ad ogni mostra è la straordinaria affluenza di pubblico, in particolare di ragazzi, tra cui molti studenti dell’Accademia di Belle Arti, felici di poter vedere a Napoli artisti così importanti.
Cosa vuol dire portare questo concept fotografico in una galleria storica? Cosa aggiunge alla sua identità?
Già con le prime mostre dedicate a Francesca Woodman e a Giovanni Gastel ci siamo resi conto che sarebbe stato un progetto forte e vincente. Lavorare su fotografia e video, con esposizioni innovative nei contenuti e negli allestimenti, ha riattivato quella vocazione all’innovazione che aveva caratterizzato la galleria dai suoi albori.
Quali problematiche ha riscontrato nell’allestimento di questo spazio dal carattere liberty che, certo, non è un white cube?
Direi che ho interpretato lo spazio come un’opportunità. La Fondazione Mannajuolo, Al Blu di Prussia si trova al primo piano di uno dei più bei palazzi in stile liberty in città e fra i più importanti in Italia, Palazzo Mannajuolo, progettato da Giulio Ulisse Arata.
Quindi, il rapporto fra contenuto e contenitore non ha mai costituito un problema ma un valore aggiunto. E la fase della progettazione, che svolgo in tandem con Mario Pellegrino, è sempre molto stimolante e divertente. Per ogni mostra realizziamo allestimenti diversi, dai colori delle pareti, ai materiali e alle proiezioni, con il risultato che ogni volta sembra di entrare in uno spazio nuovo.
Maria Savarese e il rapporto con Mario Pellegrino
Il suo percorso al Blu é anche espressione di un pluriennale scambio col direttore Mario Pellegrino. Ci può dire di più?
Ho conosciuto Mario nel 2008 e fra di noi è subito scattata una grande affinità professionale e umana che, con il passare degli anni, è cresciuta trasformandosi in un legame profondi. Ho sempre nutrito grande stima e rispetto per l’eleganza e il rigore con cui porta avanti il suo impegno per Napoli attraverso la Fondazione e la galleria. Sul lavoro siamo complementari. Scegliamo insieme gli artisti, gli allestimenti, i contenuti della comunicazione e così via. Mi sento fortunata e grata per questo incontro.
Erwin Olaf e Napoli nella visione di Maria Savarese
Veniamo alla mostra in corso. Come si inserisce Erwin Olaf nel percorso fotografico della galleria, quali sono le caratteristiche del progetto espositivo?
Come anticipato, la mostra di Olaf rappresenta un ulteriore capitolo del progetto sulla fotografia.
La mostra dedicata ad Olaf è nata in collaborazione con la galleria Paci Contemporary di Brescia e lo Studio Erwin Olaf di Amsterdam. Sono state selezionate circa diciotto fotografie che rientrano nel periodo di piena maturità dell’artista, dal 2000 al 2020; tratte dalle serie Royal Blood (2000), Rain (2004), Fall (2008), Grief (2008), Dawn (2009), Keyole (2012), Hamburg (2014), Shangai (2017), Indochine (2017), Palm Springs (2018) e April Fool (2020). E sei opere di video arte realizzate da Olaf fra il 2003 e il 2020, elemento che rende ancora più completa ed esaustiva l’esposizione.
La fotografia di Olaf ha un’identità solida e strutturata, caratterizzata da molteplici riferimenti alla storia dell’arte, al cinema e al teatro: come si declinano questi aspetti in mostra?
Nelle foto selezionate la scena è diventata più complessa, ha assunto toni cinematografici con riferimenti agli Anni Cinquanta, in particolare ad autori come Visconti, Pasolini e Fellini; o al più recente, David Lynch di Twin Peaks; o ancora a serie come Mad Men. L’atmosfera delle immagini è permeata da un senso di sospensione del tempo, dello spazio e delle emozioni dei protagonisti, personaggi hopperiani, enigmatici; spesso solitari, colti in una dimensione di attesa, fra assenza e presenza.
Spiegaci meglio…
L’opera matura di Olaf è intrisa di riferimenti colti, innanzitutto alla tradizione pittorica olandese. Quando, infatti, nel 2003, il Rijksmuseum organizzò una retrospettiva dedicata alle xilografie e ai disegni di Hendrick Goltzius, fra i protagonisti dell’arte del XVI secolo, solo Olaf fu invitato a parlare del suo lavoro come artista visivo nell’epoca contemporanea.
Dall’arte rinascimentale deriva la sua predilezione per generi come il ritratto, la natura morta, l’interno con figure, uniti all’attenzione per i dettagli anatomici, che diventano specchio della sfera emotiva della condizione umana. Analogo discorso vale per il ricercato uso della luce, catturata, manipolata e piegata alla volontà della propria cifra stilistica, che deriva dalla conoscenza di altri protagonisti dell’arte classica, quali Cornelis van Harlem, Johannes Verspronck, Jan Mostaert, Pieter Saenredam, Joannes Vermeer e, non ultimo, Rembrandt.
L’artista ha lavorato in città molto diverse: la sua internazionalità parla la stessa lingua della Napoli che lo accoglie, metropoli di mare, ormai in overtourism. I temi della sua ricerca possono offrire spunti di risoluzione alle criticità partenopee?
Fra il 2017 ed il 2018 Olaf realizzò la trilogia su: Berlino, Shanghai, Palm Springs. Un’indagine personale sul concetto di metropoli, tema che lo appassionò fortemente, volto a far emergere le contraddizioni delle grandi città contemporanee.
In Berlino sono evidenti i riferimenti a Otto Dix, ammirato per la sua capacità di coniugare la dimensione documentaristica con quella teatrale; mentre in Shanghai il suo interesse si rivolge alle persone sottoposte allo stress alienante di una città in rapida evoluzione. Mentre, Palm Springs, nata nel deserto alla metà del Secolo scorso, si caratterizza per le marcate contraddizioni socioeconomiche, descritte anche nei libri di Walter Mosley. Non credo di azzardare dicendo che se Olaf avesse avuto la possibilità di fotografare oggi Napoli, avrebbe tirato fuori proprio l’aspetto contraddittorio di questa città, bella ma in difficoltà dal punto di vista sociale, culturale e amministrativo.
Parafrasando Erwin Olaf come nel suo testo critico – “io esisto in libertà, quindi io sono” – ci anticipa i suoi prossimi progetti?
Nel 2019, in occasione dei suoi sessant’anni, venne pubblicata la monografia dedicata all’intero lavoro fotografico di Olaf, I Am. Sfogliando le pagine di quel libro, concepito come un diario personale della sua esperienza artistica, si comprende quanto il senso della sua opera e della sua vita possano essere sintetizzati nell’affermazione: “I exist in freedom, therefore I am.”
Spero dunque di continuare a realizzare progetti artistici validi e liberi, che stimolino la curiosità e la mente dei visitatori senza condizionamenti imposti dal sistema o dal mercato.
Olaf in diverse occasioni ha detto: “I want you to come into my exhibition with a certain mood and come out with a different one – possibly enriched. I think this is the task of art”. Ecco, sono perfettamente d’accordo.
Diana Gianquitto
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