Qual è il futuro del mercato? Intervista al presidente dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte
Tra nuove gallerie internazionali che aprono in Italia, e a Milano in particolare, e una filiera dell'arte nazionale che risente dell'assenza di politiche fiscali adeguate e competitive in Europa, facciamo il punto sugli scenari presenti e futuri con Andrea Sirio Ortolani
È tornata alla ribalta, di recente, l’attrattività della città di Milano come potenziale nuovo hub dell’arte internazionale, come ipotizzato anche dal Financial Times. Se ne parla in virtù di fattori differenti, che vanno dalla presenza indiscutibile di un patrimonio e di una tradizione culturali di rilievo a un’infrastruttura artistica contemporanea consolidata, fino alle progettualità future di rilancio produttivo e urbanistico, anche in vista delle Olimpiadi 2026. E in relazione all’arrivo nel capoluogo meneghino di operatori internazionali di calibro, da Thaddaeus Ropac a Ben Brown, che vanno ad aggiungersi a una lista già lunga di colleghi già con un piede, temporaneo o permanente, in città, si è fatta menzione, nel dibattito più corrente, di quanto influisca il nostro regime fiscale nazionale sul rendere la residenza italiana particolarmente strategica per i più munifici arrivi dall’estero. E intanto la filiera artistica continua a scontare un ritardo e un’incertezza sugli scenari futuri della gestione fiscale ed economica delle proprie attività rispetto agli aggiornamenti già implementati da Francia e Germania, per citare solo due Paesi vicini.
La tassa piatta per i patrimoni esteri più ricchi
Provando a semplificare qui un quadro fiscale che richiederà ulteriori approfondimenti di settore, la Legge di bilancio del 2017 ha introdotto, con l’art. 24-bis del TUIR, la possibilità di una Flat Tax per i “Neo Residenti Facoltosi” (resident non domiciled), ovvero una tassa sostituiva forfettaria per i redditi prodotti all’estero dalle persone fisiche facoltose che trasferiscano la residenza fiscale in Italia. Introdotta per incentivare l’ingresso di patrimoni – e auspicabilmente investimenti – a molti zero e originariamente fissata a 100.000 euro, l’imposta è passata a 200.000 euro, dal 2024 (D.L. n. 113/2024, il Decreto Omnibus, convertito con Legge 7 ottobre 2024, n. 143). Restando comunque una bella leva per i grandi patrimoni esteri dei cosiddetti High Net Worth Individual. Che possono approfittare, da neo contribuenti italiani, di un prelievo fiscale più basso rispetto ad altri Paesi e altri residenti.
Per fare un punto sulle questioni più correnti e impellenti per il sistema dell’arte italiano, anche dal punto di vista della fiscalità, che tanta parte potrebbe giocare a breve nelle sorti e nella competitività italiana, siamo tornati a chiedere il parere di Andrea Sirio Ortolani, presidente di ANGAMC, Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea e vicepresidente del Gruppo Apollo, l’associazione di operatori dell’industria artistica italiana che persegue obiettivi di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale italiano, oltre che fondatore della Osart Gallery di Milano.
L’intervista ad Andrea Sirio Ortolani
Chiederei subito il tuo aiuto per fare un punto sintetico sullo stato delle richieste avanzate da ANGAMC e Apollo fino a ora, a partire dagli scenari che vanno determinandosi anche sul terreno fiscale attuale.
L’impegno congiunto di Apollo e ANGAMC punta a rinnovare il mercato dell’arte italiano con un focus particolare sulle questioni fiscali e sulla circolazione delle opere. Per quanto riguarda la fiscalità, che rappresenta uno dei maggiori problemi del settore dell’arte moderna e contemporanea, la richiesta è quella di un abbassamento dell’aliquota IVA. L’obiettivo principale è di portarla al 5%.
Cosa sarebbe di incentivo invece sul fronte della circolazione delle opere d’arte?
Su quel fronte, invece, è necessario allineare il nostro sistema alle regolamentazioni già in vigore a livello europeo, al fine di renderlo più competitivo. Si tratta quindi sia di aumentare sia le soglie di valore, che nel caso dei dipinti andrebbe alzata da 13.500 a 150.000 euro, sia quelle temporali richieste per l’esportazione, portandola a 70 anni così da adeguarla agli standard europei.
Quali impegni ha preso concretamente ed esplicitamente l’attuale governo?
Da parte delle istituzioni c’è sempre stata una certa apertura al dialogo con il nostro comparto e i nostri referenti. Abbiamo ricevuto rassicurazioni riguardo la volontà concreta del governo di avviare una riforma del mercato dell’arte, intervenendo sia sulla riduzione dell’IVA applicata alle vendite delle opere, sia sulle norme per la circolazione delle stesse. Ora però è giunto il momento di agire: da gennaio 2025 la situazione in Europa è cambiata drasticamente e, senza un adeguamento, per l’Italia le conseguenze saranno catastrofiche.
La riforma fiscale in Italia per il mercato dell’arte
Spiegaci meglio, cosa è cambiato dal 1° gennaio 2025? Ti riferisci alla più forte competizione di Francia e Germania, che, al contrario di noi, hanno già rivisto la loro tassazione?
Dal 1° gennaio 2025 è cambiato il mondo. La Francia è passata dall’avere un’IVA del 20% al 5,5%, la Germania dal 19% al 7% e altri Paesi, come Olanda o Lussemburgo, stanno lavorando in questo senso. A questo punto, con un tale dislivello delle aliquote tra l’Italia e gli altri Paesi europei, la competizione non può più essere paritaria. E, pur non potendo prevedere, da adesso, gli effetti a lungo termine che avranno questi interventi, è chiaro che se non si interviene in maniera celere nel riformare la fiscalità la strada del mercato dell’arte italiano è segnata.
Che tempo e che strumenti abbiamo a nostra disposizione per rimetterci in carreggiata?
A oggi, abbiamo a disposizione tre strumenti. Il primo è il DL Cultura, che verrà discusso nei prossimi mesi e dovrà essere definito entro fine febbraio. Il secondo è il PDL Amorese, già in fase di discussione, che propone l’abbassamento dell’aliquota al 5%. Infine, c’è la delega fiscale, la cui scadenza è stata prorogata dal 31 agosto al 31 dicembre 2025.
Quanto vale la nostra industria dell’arte secondo i vostri dati?
A oggi, il valore complessivo del mercato dell’arte, considerando l’intera filiera, può essere stimato intorno ai 3,5 miliardi di euro, con circa 36.000-37.000 i lavoratori coinvolti. Si tratta di dati tutt’altro che marginali, che evidenziano un impatto economico significativo e il coinvolgimento di decine di migliaia di professionisti.
Che cosa succede se non succede niente? Quali le ricadute concrete sulla sopravvivenza della filiera?
Se non si interviene, le conseguenze colpirebbero non solo le gallerie, ma l’intero sistema culturale italiano. Per quanto riguarda le gallerie, nel breve termine si assisterebbe a un crollo del fatturato stimato tra il 40% e il 50%, un calo difficilmente sostenibile, che porterebbe alla chiusura di numerose attività.
Ma ovviamente, trattandosi di un sistema con parti interconnesse, a essere penalizzate non sarebbero solo le gallerie, ma anche le altre categorie di professionisti.
Certo, gli artisti sarebbero i primi a subire gravi ripercussioni. Le gallerie rappresentano infatti il principale canale di intermediazione culturale tra gli artisti e il pubblico, sia commerciale, come i collezionisti, sia specializzato, come istituzioni e curatori. Senza questo elemento chiave, i giovani artisti appena usciti dalle accademie si troverebbero privi di un riferimento cruciale per la loro formazione e lo sviluppo delle loro carriere sarebbe seriamente compromesso. Le difficoltà economiche delle gallerie rimaste operative renderebbero comunque impossibile sostenere e promuovere la produzione degli artisti.
Cos’altro?
Anche le istituzioni museali subirebbero danni significativi, vedendosi costrette a rinunciare a tutti quei progetti che nascono dalla collaborazione e dal supporto delle gallerie private. Per quanto riguarda le fiere, poi, la partecipazione delle piccole gallerie non potrebbe che diminuire, spostandosi al limite su Paesi con aliquote fiscali più vantaggiose per le transazioni. E, a catena, si ridurrebbe l’indotto turistico, aggravata dal disinteresse delle gallerie straniere per la partecipazione a fiere italiane. Infine, la perdita si estenderebbe all’intera filiera dell’arte, colpendo le eccellenze rappresentate da restauratori, trasportatori, corniciai e altri fornitori che operano nel settore.
Cosa rischiamo, in conclusione, per l’indecisione o peggio per la mancata comprensione dello scenario?
In conclusione, se non cambiasse nulla, andremmo verso il collasso dell’intero sistema dell’arte e un progressivo declino della cultura italiana, in particolare quella contemporanea. Rischiamo di compromettere il nostro futuro.
Cristina Masturzo
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