Quattro pittori della Ferrara del ‘500 in mostra a Palazzo dei Diamanti
È tra le mostre “imperdibili” del 2024 e di queste prime settimane del 2025: eppure due dei testimonial dell’esposizione sono artisti quasi sconosciuti. Un’impostazione rigorosa e opere oggettivamente splendide garantiscono un’esperienza entusiasmante per gli appassionati di pittura rinascimentale e non solo
Nel 1496 si spense Ercole de’ Roberti, uno dei pittori che, nella Ferrara del XVI Secolo, aveva fortemente contribuito al formarsi di un linguaggio originalissimo. Trascorsero pochi anni e anche morì Ercole I d’Este, lasciando le redini del ducato al figlio Alfonso nel 1505. In quel breve tempo si delineò uno scenario alimentato da artisti di orientamento più “moderno” che si integrarono in un contesto in cui era ancora attivo Lorenzo Costa. Queste le coordinate per comprendere l’incipit della monumentale mostra Il Cinquecento a Ferrara, il cui percorso termina con la scomparsa di altri due personaggi cruciali per la città e per la storia dell’arte. Il progetto ruota attorno alle quattro “stelle” più brillanti del firmamento ferrarese dell’epoca: due artisti pressoché sconosciuti, Mazzolino e Ortolano, e i più noti Garofalo e Dosso. Furono loro i protagonisti di una stagione straordinaria, in parte ancora da riscoprire.
Mazzolino: debutto in grande stile
Nella seconda sala, sulla parete di fondo rispetto all’ingresso, lo sguardo viene magneticamente attirato da una pala d’altare di dimensioni modeste che promana una luce dorata e, già da lontano, trasmette un senso di pacato equilibrio: è l’Adorazione dei Magi di Avignone, prima opera certa di Ludovico Mazzolino. L’osservazione ravvicinata delle varie opere di questo pittore, definito “eccentrico e inquieto”, è quasi una rivelazione: com’è possibile che il suo nome non sia nell’Olimpo dei grandi artisti rinascimentali? Ma le mostre – quelle che scaturiscono da attente ricerche e che si pongono obiettivi di conoscenza, non solo di mera esibizione di capolavori arcinoti – servono anche a questo: soffiare via il velo di polvere che ricopre ancora tanti eccellenti nomi, riportandoli all’attenzione del pubblico e degli studiosi. Di Mazzolino si possono ammirare dipinti sublimi che negli anni della sua giovinezza rimandano a una profonda comprensione di Giorgione, per poi lasciarsi suggestionare da Dürer – strepitoso l’accostamento tra opere dei due artisti –, quindi maturare un rapporto intrigante tra figure umane e chiarissime architetture classicheggianti e infine “esplodere” in una miriade di personaggi, muscolosi come quelli di Ercole de’ Roberti o di Michelangelo.
La riscoperta di Ortolano nella mostra a Palazzo dei Diamanti
Una case history analoga vede protagonista Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano: di lui si sa pochissimo, ma i suoi lavori si fanno notare per un naturalismo convinto e sincero che, con il passare del tempo, si alimenta delle novità proposte da Raffaello, nonché di Dosso. È una pittura, la sua, che “si mostra non meno concreta che elegante ed elegiaca, come nella splendida Sacra famiglia”, spiega un pannello didattico della mostra.
Il Garofalo, tra Giorgione e Raffaello
Garofalo, alias di Benvenuto Tisi, si distingue per la sua capacità di accogliere tempestivamente le novità che nel primo Cinquecento si stavano diffondendo tra Venezia e l’Italia centrale: se nel primo decennio del secolo anche lui prende a modello Giorgione – stando a Vasari, i due furono amici –, in età più matura diventa il principale divulgatore ferrarese dello stile del Sanzio, tanto che nel Settecento lo si battezzò “Raffaello de’ ferraresi”. Stile peraltro ideale, se si considera che Garofalo dipinse soprattutto pale d’altare per le chiese di Ferrara.
Le opere di Dosso a Ferrara
Di Giovanni Luteri detto Dosso diremo poche cose, tali e tanti sono i capolavori convocati a Palazzo dei Diamanti. Fu amico e complice di Alfonso d’Este, per il quale creò opere rare e curiose come la Zuffa, o l’intenso ritratto del medico Niccolò Leoniceno o il Giove pittore di farfalle, “un’immagine dove politica, mitologia e letteratura si fondono con la leggerezza di un’ottava ariostesca” si scrive ancora in un pannello, dove si precisa che un quadro come questo poteva essere dipinto solo nella Ferrara estense. A Dosso è affidato il finale che racconta la morte di Alfonso d’Este, avvenuta nel 1534, e il passaggio del potere al figlio Ercole II. L’arguto pittore raffigurò il giovane sovrano in eroica e umoristica nudità – appena mascherata dalla pelle del leone conquistata dall’omonimo eroe mitologico – mentre trionfa sui suoi nemici, ritratti come buffi e agitati pigmei (ma è l’antenato di Gulliver!). Quella del duca Ercole II però è un’altra storia, e verrà raccontata nella prossima “puntata” del progetto Rinascimento a Ferrara 1471-1598: da Borso ad Alfonso II d’Este.Marta Santacatterina
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