In Italia il nuovo spettacolo della storica compagnia di danza Ultima Vez
Con “Void”, la compagnia fiamminga Ultima Vez debutta in Italia, nelle città di Cesena e Modena. Uno spettacolo a sei personaggi, che indaga il vuoto come dimensione densa di possibilità
A Cesena e a Modena la prima italiana di Void, ultima creazione del coreografo e regista Wim Vandekeybus, artista fra i più innovativi e ammirati del panorama internazionale, esponente di quella “ondata fiamminga” che, a partire dalla metà degli Anni Ottanta del secolo scorso, ha riformulato il linguaggio della danza.
Lo spettacolo “Void” di Ultima Vez
Dopo il debutto, avvenuto lo scorso 23 ottobre a Bruxelles, città dove la compagnia ha casa, Ultima Vez porta in Italia la sua creazione più recente, Void, spettacolo coprodotto da ERT /Teatro Nazionale che l’ha ospitato al Teatro Bonci di Cesena e allo Storchi di Modena nell’ambito della rassegna Carne, curata da Michela Lucenti. Fondata nella seconda metà degli Anni Ottanta dal coreografo, regista, fotografo e fimmaker Wim Vandekeybus, la compagnia fiamminga si contraddistingue per la sua vocazione alla sperimentazione e alla contaminazione dei linguaggi artistici. Il lavoro di Vandekeybus, non a caso, si sviluppa in quella fertile temperie, definita “ondata fiamminga” che, a partire dagli ultimi due decenni del Novecento, invase la scena internazionale con le innovative creazioni di artisti quali Jan Fabre, Alain Platel e Anne Teresa De Keersmaeker, insofferenti a formule oramai sterili e sperimentatori, appassionati e allo stesso tempo rigorosissimi, di nuove sintassi.
Di cosa parla lo spettacolo “Void”
Void, ossia “vuoto”, termine che potrebbe suggerire un lavoro sull’assenza, ovvero sulla mancanza ma che, nell’intenzione di Wim Vandekeybus, rimanda all’opposto a una densa potenzialità, quella insita nell’interiorità di creature che, rifiutando l’omologazione e assecondando invece la propria ipersensibilità e la propria intelligenza, scelgono di chiudersi in una sorta di “bolla”, isolata dal mondo esterno ma fitta di sensazioni e riflessioni. Ecco, dunque, che il palcoscenico – anch’esso tutt’altro che vuoto, ma ricco di oggetti e animato da semplici teloni che generano però evocativi paesaggi scenici – è abitato da sei diversi personaggi, dotato ciascuno di peculiare e complessa personalità. Personaggi co-creati dal coreografo-regista insieme ai suoi sei, superbi, danzatori – Iona Kewney, Lotta Sandborgh, Cola Ho Lok Yee, Paola Taddeo, Adrian Thömmes, Hakim Abdou Mlanao – le cui diverse età, origine, esperienza e formazione, contribuiscono a complicare e a diversificare la drammaturgia fisica e verbale dello spettacolo.
I personaggi di “Void”
Ricordi, episodi del proprio passato e aneddoti familiari hanno così nutrito la caratterizzazione dei sei personaggi in scena: la nonna che, dopo essere migrata a New York e aver costruito lì una vita soddisfacente, sceglie di tornare nella sua “gelida” Finlandia, vinta da invincibile nostalgia; la ragazzina lasciata a casa da sola dai genitori, una specie di Alice che, nel proprio stesso alloggio, sprofonda in un allucinato paese delle meraviglie; una donna anziana che vorrebbe rinchiudersi in una scatola… Frammenti di vita, istantanee del passato, lacerti di sogni si susseguono sul palcoscenico, tenuti insieme dal sottile ma saldo filo della libera immaginazione, dando vita a monologhi danzati e a eclettici numeri corali, come il finale, ispirato a una danza tradizionale georgiana, debitamente rivista e reinterpretata.
Qual è il linguaggio dello spettacolo “Void”
Danza e teatro, gesto e parola convivono nel linguaggio coniato da Wim Vandekeybus che compone una peculiare partitura in cui la fisicità dei malleabili e flessuosi corpi dei performer completa e arricchisce la parola – inglese, fiammingo… – da essi stessi pronunciata, costruendo così una salda drammaturgia fisico-verbale, solida struttura sulla quale si plasmano armoniosamente tanto quella visiva – teloni bianchi e neri a creare quinte tanto effimere quanto eclettiche nel suggerire svariati spazi oppure distesi in diagonale sul palco a formare una candida passerella di ghiaccio – quanto quella musicale, frutto della collaborazione del coreografo-regista con Arthur Brouns, giovane compositore, arrangiatore e produttore musicale belga noto per la sua peculiarità di fondere elementi elettronici e orchestrali. Vandekeybus fornisce in questo modo un ulteriore esempio, al tempo stesso tecnicamente inappuntabile ed emozionalmente coinvolgente, della vitale necessità di fondere i linguaggi delle arti performative, senza nondimeno tradirne la specificità ma, anzi, arricchendola e rivitalizzandola per mezzo dell’incontro-confronto fra di essi.
Qual è il significato dello spettacolo “Void”
Outcasts, ossia “emarginati”, esseri esclusi – o autoesclusi – dalla società: così Wim Vandekeybus definisce i sei personaggi – teneri e comici, irriverenti e capricciosi, sentimentali e inquieti – che abitano Void. Creature che scelgono, forse non del tutto volontariamente, di rintanarsi in una “bolla”, riempiendo quel vuoto con la propria incompresa personalità, fiammeggiante e non catalogabile, ovvero ammaestrabile. Aggettivi che definiscono altresì l’arte del regista-coreografo fiammingo, insofferente alle consuetudini della danza – compresa quella contemporanea – e alla costante ricerca di un linguaggio performativo che sappia dare voce a quanto agita l’interiorità non addomestica tanto degli artisti in scena quanto del pubblico in sala.
Laura Bevione
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