Per la bellezza. Anacronismo o missione? La pagina Instagram Cultus Classicus

Su Instagram due ragazzi parlano di cultura classica, da Machiavelli a Saffo e Brodskij, e piacciono a un pubblico crescente. Gli abbiamo chiesto cosa pensano della divulgazione, della bellezza, dell'arte contemporanea... e non la mandano certo a dire

Cultus Classicus, nomen omen. Sono Enrico e Nichita, due giovani studenti dell’Università di Padova, i volti dietro la pagina Instagram che sta conquistando un buon following (oltre 43mila persone, più 8500 circa su TikTok) parlando di classicità. I temi in discussione si allargano più in generale alla letteratura, alla bellezza, di cui sono strenui difensori, e a una concezione dell’arte e della cultura che invoca un ritorno alla forma dei fasti: un po’ l’opposto di quello che abbiamo visto anche tra i loro contemporanei (come la content creator Noemi Tarantini, di cui trovate l’intervista qui). Ne abbiamo parlato con loro.

Cultus Classicus. L’intervista

Qual è il vostro background? Come siete diventati creator?
Adesso noi siamo all’università, uno studia Lettere e l’altro Giurisprudenza, anche se bisogna ammettere che la letteratura ci ha affascinati già quando eravamo piccoli: mentre uno si leggeva Dante, l’altro leggeva Pushkin. Poi è arrivata l’adolescenza, e forse ci siamo dimenticati di una passione sincera per perseguire non si sa cosa. Ma una passione vera non si abbandona, e l’abbiamo ritrovata maturando.

È stato un successo immediato, quello della vostra pagina?
Prima di questo profilo nessuna nostra idea di pubblicazione sui social aveva riscontrato tanti risultati. Non ci siamo però scoraggiati e ci abbiamo riprovato con maggior determinazione. Allo stesso modo cerchiamo di resistere davanti alle critiche meno lusinghiere, come il fatto che abbiamo “una capacità strabiliante di iniziare cento discorsi e non finirne uno”. Questo è proprio il motivo per cui abbiamo aperto il canale; perché le nostre conversazioni sono davvero infinite. È sicuramente meno stressante parlare senza essere ripresi da una camera, ma ci voleva una qualche novità: da tempo pensavamo che sarebbe stato bello creare una comunità del genere, ma non ci aspettavamo di raggiungere un pubblico così vasto in pochi mesi, e ci fa ben sperare.

I vostri commenti sono prevalentemente di giovani uomini che studiano: sono loro il vostro pubblico di riferimento?
No. Il messaggio è universale, come lo è la cultura, che dev’essere accessibile a tutti, sempre “on the table“, in modo tale che ognuno realizzi che sia una strada percorribile. Poi, cosa si faccia dopo questa considerazione, non ci riguarda tanto: ognuno farà quel che gli pare. Detto ciò, non nascondiamo che ci piacerebbe vedere più giovani approcciarsi a questo mondo, e, meglio ancora, lanciarsi sui libri. Noi per primi ci mettiamo in gioco e parliamo di Gozzano e Petrarca, e speriamo che soprattutto i giovani possano percepirlo come un invito a osare in un mondo che si avvicina sempre di più all’idiocrazia (o oclocrazia, come volete) e dove “osare” significa non imbarazzarsi della propria ignoranza.

Caravaggio Giuditta e Oloferne
Caravaggio Giuditta e Oloferne

La perfezione, la bellezza e il ritorno all’antico. La pagina Cultus Classicus

Il vostro motto è la kalokagathia, un ideale di perfezione fisica e morale di matrice greca arcaica: come lo mettete in pratica nella vostra vita?
È difficile in un’epoca decontestualizzata come la nostra. Non ci sono più le agorà dove si poteva percepire l’estetica per riprodurla nella quotidianità; non ci sono più i salotti letterari o i balli tolstoiani. Siamo lasciati a noi stessi e se cerchiamo l’armonia, lo facciamo a dispetto del mondo.
E dato che non siamo figli di aristocratici è quasi impossibile isolarsi e godere quello che di poetico c’è nella vita. Costa. Ma possiamo catturarla a momenti, trovare ciò che è piacevole si può, se si sa dove cercarlo: nel tramonto, nella Luna, ascoltando un Puccini e guardando un Caravaggio, ma anche nelle piccole cose, come una rosa, il dettaglio dell’ornamento di un edificio… Secondo Brodskij “l’estetica è la madre dell’etica“. La forma e il contenuto sono davvero un tutt’uno nonostante le lezioni (cattive) del Novecento.

Quali dei vostri contenuti generano più discussione?
Il fatto che ci esprimiamo liberamente, a volte non piace a chi ha perso l’abitudine di sentire un’opinione contraria alla sua. I nostri video sull’architettura del Novecento hanno fatto molto scalpore perché quelli che studiano l’architettura non riescono a concepire come possa essere criticata. Sono le stesse persone che professano l’imbruttimento delle nostre città, la cementificazione e la totale omologazione stilistica (o, meglio dire, anti-stilistica) degli edifici. Nel frattempo il vulgo, il popolo “ignorante” continua ad apprezzare e richiedere l’architettura classica: ci sono più turisti a Possagno che al Memoriale Brion. Si possono sempre scrivere delle lunghissime giustificazioni e promuovere gli scatoloni consumisti ma quando ciò non si fa, dà tanta noia ai (post-post-post) modernisti. La gente che ama fare polemica non ha apprezzato nemmeno i nostri video sulla metrica perché secondo loro non si può preferire un sonetto alle “poesie” che espellono i “poeti” d’oggi, come se l’anti-gusto fosse obbligatorio. I poeti veri sapevano già come agire in tali casi, il famoso “ma guarda e passa”. Poi, passiamo al banalissimo conflitto generazionale…

Quali sono le vostre priorità comunicative? Quali gli obiettivi della vostra divulgazione?
Non è una pura divulgazione la nostra, è anche una condivisione di emozioni e di pareri soggettivi. Non avrebbe senso creare un blog per recitare le pagine di Wikipedia a memoria e chiamarla una “divulgazione”. Come detto prima, il nostro sogno sarebbe quello di una gioventù sempre più acculturata e incuriosita anche in contrasto all’inappagamento. Vogliamo normalizzare ciò che è classico, vogliamo che i ragazzi seguano il modello della conversione di Alfieri di cui parla ne La vita. Forse è utopico, forse no. Di nuovo ci aiuta Brodskij dicendo: “Probabilmente il mondo non potrà più essere salvato, ma una singola persona si può sempre salvare“.

Il Museo Gypsotheca di Canova a Possagno
Il Museo Gypsotheca di Canova a Possagno

Cultus Classicus contro l’arte del Novecento e a favore dell’informazione

Il resoconto che fate della Biennale di Venezia è drammatico, così come è palese il disprezzo per l’arte contemporanea che chiamate, parafrasando Vasari, “barbara e incivile”: cosa secondo voi dovrebbe fare l’arte oggi?
“L’arte” contemporanea relega la bellezza a un elemento “superfluo”. Non è così. Laddove l’arte di un tempo cercava di rappresentare l’armonia tra forma e contenuto, oggi spesso assistiamo a opere che sembrano mirare solo a scioccare, a destabilizzare senza offrire una riflessione duratura. Il pubblico diviene alienato se vive come “Arte” un misto di slogan e pubblicità. L’arte dovrebbe riprendere la sua forma (in senso proprio), la forma di cui il Novecento l’ha privata. Questo non significa rifiutare l’innovazione o le nuove forme espressive, ma piuttosto dire “No!” a questa perenne provocazione per il puro gusto di provocare, che non solo crea frammentazione e superficialità ma priva di senso l’arte stessa: in un mondo dove tutto vuole stupire il pubblico, cosa mai sarà davvero sorprendente? E non solo questo ma si dovrebbe ritornare anche all’artigianalità dell’arte. Per ridarle “l’aura” si dovrebbe farla bene, con una maestria tecnica che non è fine a se stessa, ma che porta a una riflessione sul valore dell’impegno e della dedizione, sempre meno apprezzate oggi perché si favorisce chi non sa creare (o addirittura distrugge), ma sa giustificarlo. Solo così potrà riprendersi l’arte, potrà rinascere: alzandosi dalle ginocchia dopo l’umiliazione e i traumi del Novecento per risolverli e superarli senza crearne di nuovi, come potrebbe diventarlo anche l’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Speriamo si riscopra l’umanità dell’opera e si facciano quelle cose che mai una macchina potrà fare.

Ma c’è qualcosa della contemporaneità che apprezzate?
La libertà dell’informazione condizionata dalla sua immediatezza. Ci sono dei punti negativi anche qui, sicuramente, (l’informazione istantanea non è sempre quella migliore) ma almeno il fatto che non ci sia la censura di una volta è già un vantaggio fortissimo. Con fatica immaginiamo possibile una censura nel mondo globalizzato. Per quanto l’autopubblicazione non sia morta, adoperare il samizdat oggi farebbe solo ridere. Questo però non vuol dire che tali libertà non possano essere tolte, perciò bisogna stare attenti a non divenire schiavi della cifra, del digitale. E in generale in sessant’anni c’è stato un grande passo per dare più diritti all’individuo. È un discorso trito e ritrito ma è vero: purtroppo, molte persone li danno per scontati volendone sempre di più, a volte in un modo frenetico e irrazionale. Nella lingua russa c’è un modo di dire, “massimalismo giovanile“: è un fenomeno tipico e comprensibile, ma se riprendiamo la metafora dal Principe, si potrebbe dire che mirare l’arco troppo in alto fa lanciare la freccia nell’aria senza colpire il bersaglio.

Spesso le vostre critiche sono indirizzate a prodotti culturali nati per avvicinare un pubblico giovane, spesso femminile, alla cultura (Rupi Kaur o Madeline Miller): pensate che ogni opera sia pensata per ogni pubblico?
Al pubblico femminile (ma in generale a qualsiasi pubblico) possiamo solo consigliare di leggere, di studiare l’originale e non il surrogato della poesia che offrono queste due scrittrici. Saremo felici di parlare di Saffo, Gaspara Stampa, Artemisia Gentileschi, Clara Schumann, Achmatova, Cvetaeva e altre che hanno ben saputo mettere in risalto la propria femminilità, a differenza della femminilità forzata a tutti i costi, consumista, che fa riempire le tasche di denaro a chi banalizza un argomento vastissimo. Noi siamo contro la banalizzazione in tutto, soprattutto se parte con una pretesa enorme di “svecchiare” e di “modernizzare”, di “riassumere” e di “ridurre al minimo” il classico e i classici. Periodi il più corti possibili, zero subordinate e riassunti imprecisi non sono cose che avvicinano il pubblico alla cultura, ma ciò che estingue la loro curiosità; rende lo studio più scialbo (che lo fa ancora più “matto e disperatissimo” in quanto si sa ancora meno ma si pretende di sapere il mondo) e fa di un dialogo tra il genio e il lettore una lezioncina moralizzante. Promuoviamo, accettiamo questi classici invece di rifiutarli: per andare avanti non si può non sapere ciò che c’era prima.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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