L’artista Alvaro Barrington esplora l’identità nera nella sua mostra a Milano
La pratica artistica di Alvaro Barrington, in mostra alla galleria MASSIMODECARLO, è ricca di riferimenti, tra cui l'Arte Povera, per creare una sua personale narrazione delle sue esperienze e della sua identità culturale
My Mama Told Me You Was a Problem Bitch è la seconda personale a Milano di Alvaro Barrington (Caracas, 1983,). L’artista è nato in Venezuela da genitori haitiani e grenadiani, è cresciuto tra i Caraibi e Brooklyn e attualmente vive e lavora a Londra, dove è stato selezionato per la Commissione Tate Britain del 2024. Il titolo della mostra alla galleria MASSIMODECARLO richiama il rap degli Anni Novanta, un genere famoso per le sue parole taglienti, le emozioni crude e i commenti sulla vita, in cui la musica era un simbolo di resistenza e autoaffermazione. Le opere, realizzate appositamente per la mostra, recano con sé esperienze della vita dell’artista. “Molto di questo viene dall’essere cresciuto a New York”, commenta Barrington. “Una sezione, Stain Glass, è dedicata a Kobe Bryant. Delle altre quella con la matita e la corda riguarda il voler creare un paesaggio che sembri fisico, ma anche delicato”.
La mostra di Alvaro Barrington a Milano
La mostra propone tre nuclei di opere, ognuno dei quali si lega alle esperienze culturali attraverso l’uso di materiali insoliti. Per l’artista ogni mezzo ha numerose possibilità di utilizzo ed è uno strumento per rappresentare narrazioni culturali individuali e collettive. La corda di iuta, il cemento, il denim e le casse del latte, materiali legati al lavoro, diventano centrali nella sua opera di re-immaginazione. Le opere in corda di juta richiamano la vastità dei paesaggi americani e allo stesso tempo la tratta degli schiavi. La corda viene disposta in orizzontale e verticale, un riferimento ai dipinti di paesaggi. Al loro interno troviamo lastre di cemento incorniciate nel denim, tessuto emblematico della classe operaia americana, con delicati disegni a matita di cani, piccioni, tori e cervi. Disegni che appaiono fragili, al punto da risultare quasi invisibili, se guardati da determinate angolazioni, e che contrastano con la forza della corda e del suo significato. Traggono ispirazione da L’uomo invisibile di Ralph Ellison (1952), romanzo che esplora il tema della visibilità e invisibilità sociale. Ogni animale disegnato ha poi un suo simbolismo: i piccioni, onnipresenti, ma trascurati, rispecchiano la resilienza della classe operaia, mentre i tori e i cervi fanno riferimento alla centralità del basket nella cultura afroamericana, incarnando forza, aspirazione e orgoglio.
L’omaggio di Alvaro Barrington a Kobe Bryant
Un corpo di opere colpisce immediatamente per i suoi colori, Stain Glass, vetro colorato, in cui Barrington rende omaggio a Kobe Bryant, leggenda del basket. “Il vetro colorato credo sia una delle più innovative forme di pittura”, spiega Barrington, “è spesso legato alla religione, alle chiese. Ho pensato che avrei voluto riuscire a renderlo contemporaneo, portarlo a posizioni contemporanee. È difficile, ma credo di esserci riuscito, che funzioni bene. Quando Kobe è morto molte persone lo ammiravano, è stato molto triste”. La figura di Bryant in queste opere viene resa da pennellate gestuali, ispirate a Willem de Kooning. Le opere sono costituite da pannelli di cartone sagomati e incorniciati da cassette di plastica per il latte, che, a proposito di riferimenti alle esperienze personali di Barrington, richiamano i canestri improvvisati dei campetti che frequentava. Queste sono state riempite di vetro colorato e illuminate dall’interno, richiamando così le vetrate delle chiese.
Le influenze storico-artistiche sulle opere di Alvaro Barrington
Infine, nelle sue opere astratte Barrington utilizza cemento stratificato su cartone strappato e dipinto. Anche queste sono ricche di riferimenti alla storia dell’arte, tra cui Homage to the Square di Josef Albers, The Swimming Pool (1952) di Matisse e i Concetti spaziali di Lucio Fontana (1947-68). Incorniciate con denim e tondini d’acciaio industriali, le opere alludono alle trame della vita urbana, dove i materiali, come le storie, si mescolano, vengono ricostruiti e trasformati.
Il lavoro di Barrington si distingue per la sua capacità unica di unire influenze apparentemente lontane: dall’Arte Povera ai disegni di animali di Pablo Picasso, dalle incisioni di Francisco Goya al linguaggio audace dell’hip-hop. Con questa mostra l’artista crea un intreccio di ritmi, materiali, e riferimenti culturali. Le sue opere riflettono il suo percorso personale, ma anche le esperienze collettive e il mondo che lo circonda, in parte omaggio, in parte ribellione, ma sempre autenticamente suo. Barrington ci ricorda che l’arte, anche quando ha origine da una cesta del latte in plastica, prospera grazie al collegamento tra il personale e l’universale, tra l’individuo e la collettività.
Giulia Bianco
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