A Milano la galleria Building dedica uno spazio all’artista Chiara Dynys per tutto l’anno

Nella sua vetrina BUILDINGBOX, la galleria ospita una monografica antologica di Chiara Dynys, distribuita nel corso del 2025 in dodici opere suddivise in tre macrocapitoli. Un’occasione per approfondire il lavoro dell’artista mantovana direttamente dalle strade del centro città

Private Atlas è una mostra personale e antologica di Chiara Dynys (Mantova, 1958) diffusa nel tempo, un progetto che ripercorre i trentacinque anni della pratica artistica di una delle più importanti artiste italiane contemporanee, la cui partecipazione a mostre dedicate all’arte del XX e XXI Secolo ha fatto sì che il suo lavoro diventasse un punto di riferimento per gli studi sul rapporto tra spazio e luce, sull’installazione e sui linguaggi visivi concettuali. Per la prima volta viene dedicata una mostra monografica della durata di un anno a un’unica artista, proponendo dodici diversi allestimenti pensati appositamente per lo spazio espositivo di Building, che si affaccia su via Monte di Pietà, nel cuore di Milano ed è nato nel 2017 dalla visione di Moshe Tabibnia.

Il nuovo programma dedicato a Chiara Dynys da Building

Il progetto espositivo, a cura di Alessandro Castiglioni si articola in tre macro-capitoli, intitolati: La disseminazione della memoria, Attraversamenti e Viaggio in Italia, i quali presentano, a cadenza mensile, opere storiche e nuove produzioni dell’artista, con allestimenti site-specific, pensati appositamente per lo spazio di Buildingbox. Una divisione in capitoli “non cronologica, ma una vera narrazione antologica del mio percorso”, commenta Chiara Dynys. “Come un progetto, un atlante privato e atipico, con tappe legate a temi che partono anche a da molto lontano, come illavoro iniziale”, Senza Titolo (1991-1992), realizzato per il Musée d’Art Moderne di Saint-Étienne. Quest’opera è composta da una serie di sculture bianche, monadi o piccole feritoie, che ci guardano e nella quali guardiamo. Se apparentemente sono tutte uguali, di un bianco uniforme, in realtà sono costituite da diversi materiali, come marmo, gesso e tele. Allo sguardo identiche, nella sostanza differenti, creano un piccolo atlante di mondi. “Per me ha un significato molto forte e spero anche per chi la vede, dal punto di vista del mio percorso di lavoro”, spiega Chiara Dynys. “Un percorso quasi sentimentale, che nasce dall’idea di Moshe Tabibnia, che ha scelto di dedicarmi questo percorso di 12 mesi, che equivalgono o forse sono ancora più importanti di una personale. La divisione in capitoli l’ha fatta Alessandro Castiglioni, il curatore, avendo lavorato con me per una serie di mostre museali negli ultimi anni”.

Lo spazio nelle opere di Chiara Dynys

Il primo capitolo, La disseminazione della memoria, raccoglie opere con al centro lo spazio.

Io ho sempre lavorato destrutturando il mio lavoro” commenta l’artista, “partendo da un monolite, gli tiro una bomba, lo faccio esplodere e i pezzi li raccolgo, dove si posano, e li vado a ricostituire in un’altra costruzione, che è completamente diversa. Questo lo faccio ogni volta che installo un lavoro, come ho fatto a Saint-Étienne, quando queste forme erano in un grande spazio, e da Building. L’efficacia della mia operazione non ha perso nulla, nonostante gli spazi ridotti, perché io comincio da un lavoro, lo installo e da lì creo questa costellazione. La cosa interessante del Blancheur, Biancore, del tutto bianco – anche se, come in questo caso, costruito con materiali diversi – è che fa perdere la definizione dei contornidello spazio, ci fa entrare in una galassia che non ha confini. L’opera da Building è stato il prodromo a lavori che ho costruito qualche anno fa per il Quirinale Contemporaneo e la Reggia di Monza e che sto costruendo per Building, anni di lavoro su questi micro-mondi Canoviani che sono stati ispirati dalla mia visita e dal mio lavoro fotografico nella Gyspotheca di Possagno. Dettagli di questo biancore Canoviano che si ribaltano in delle piccole strutture articolate che sono come dei tetraedri di specchio e di fotografia di dettagli, che diventano un’altra cosa”.

Chiara Dynys e il tema della soglia

Il secondo capitolo, Attraversamenti pone al centro una delle questioni centrali nell’opera dell’artista: la soglia, intesa come luogo, come limite, nella sua materialità e immaterialità. “Anche la tipologia di vetrina di Buildingbox è una soglia, noi guardiamo attraverso il vetro”, commenta Chiara Dynys. “quanti lavori ho fatto in cui entriamo in un passaggio virtuale, prospettico, dell’antro di Cuma” – quello della Sibilla – “o nel passaggio di tante stanze, l’una dentro l’altra. Quante volte ho messo in atto quest’idea della prospettiva. E anche qua siamo davanti ad una prospettiva: davanti ad un vetro, che rappresenta la nostra soglia e ognuno di noi ha una reazione davanti a questo vetro, che riesce a portarci all’interno di uno spazio in cui tanta gente non entrerebbe, perché non c’è un’attitudine così usuale per la gente nel frequentare la galleria e lo spazio dell’arte. Qua invece li portiamo dentro, attraverso una soglia che in qualche modo chi passa travalica, che si fermi o non si fermi, anche senza volerlo. Un’invenzione a cui aveva già pensato un grandissimo gallerista tanti anni fa – senza nulla togliere a Moshe che è un grandissimo gallerista anche lui – e che poi è scomparso, Lucio Amelio, che aveva creato questo spazio di cui andava orgogliosissimo, Piece Unique a Parigi, una vetrina in cui vedi un’opera, ma non entri proprio. Qui ho notato che molta gente si ferma, soprattutto giovani. I livelli di lettura del mio lavoro sono diversi e io credo molto nella frequentazione dei musei. È vero che forse c’è poco coraggio della gente di entrare in uno spazio deputato, ma secondo me invece i giovani hanno molto interesse a vedere un lavoro creato con materiali che si esprimono a tutti, come la luce o il movimento. Opere che hanno una parte che si deve raccontare, ma anche una parte che basta attraversare, come un viaggio percettivo”.

Il “Viaggio in Italia” di Chiara Dynys

Il terzo capitolo, Viaggio in Italia, “è il titolo di un libro di Goethe da cui ho rubato moltissimo”, commenta Chiara Dynys, e rende omaggio al capolavoro di Rossellini e alla passione dell’artista per il cinema. Fa riferimento al rapporto con la Storia dell’Arte e la Cultura italiana. “Elementi che si mescolano con la storia del cinema e con la storia popolare e che hanno tutti la capacità di illuminare, sempre in modo diverso, con la cultura e il passato”. “Gli artisti italiani che amo moltissimo, che mi hanno ‘fatto scuola’, non parliamo di Fontana che è un gigante, ma anche di Alighiero Boetti e di altri” spiega l’artista, “hanno o abbiamo tutti, delle radici profondissime nella storia dell’arte antica, ed è evidente. Se io potessi citare un movimento citerei il Manierismo, se potessi citare un’opera citerei Il passaggio prospettico a Palazzo Spada di Borromini, quindi quest’idea della finta prospettiva. Ho imparato tutto dalla nostra storia. Io penso che l’artista non possa perdere di vista né la Storia,intesa in senso politico, né la storia dell’arte, siamo immersi nella memoria, viene fuori quasi senza volere”.

Giulia Bianco

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Giulia Bianco

Giulia Bianco

Ha frequentato a Milano il Master Economia e Management per l'Arte e la Cultura della 24Ore Business School. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania con tesi dal titolo “I contratti nel mondo dell’arte”, è specializzata in diritto…

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