In Italia non spaventano i tagli alla cultura. Semmai spaventa l’assenza di obiettivi
In periodi di crisi la cultura è uno dei primi settori a subire dei tagli. Una manovra delicata ma comprensibile se sostenuta da un programma saldo, caratterizzato da obiettivi ambiziosi ma concreti; che, purtroppo, sono ben lungi dall'essere definiti
Ormai da anni la struttura economica della cultura ha iniziato ad acquisire una conformazione che tende a trasformarla in una sorta di settore industriale, basato sulla speranza di una crescita dell’investimento privato.
Per questo bisognerebbe distinguere tra gestione pubblica e privata della cultura; individuando le mansioni che devono essere esercitate dal settore pubblico e quelle che potrebbero essere delegate ai privati.
La cultura un elemento costitutivo del genere umano
La cultura ha un ruolo essenziale per gli esseri umani, tanto che alcuni esperti di evoluzione ritengono che l’avvento dell’homo sapiens coincida con la rivoluzione culturale o cognitiva. Oggi la cultura ha un ampio significato ma questo primo tassello dovrebbe essere universalmente chiaro. La società contemporanea, da tempo, ha identificato nella democrazia il proprio sistema di governo, in grado di garantire benessere e sviluppo. Quindi, ha ragionato sulle attività da affidare allo “Stato”, inteso come organizzazione dei poteri a servizio dei cittadini, e quelle da derogare agli individui, imprenditori e non.
Il Pubblico, a cui spetta l’esplicazione di molte funzioni, ha la possibilità di gestire liberamente le risorse, secondo le necessità. Con l’evidente obbligo di svolgerle al meglio. In ambito culturale è tenuto a tutelare il patrimonio e a creare le condizioni per un concreto sviluppo culturale del Paese.
Il complesso insieme di uffici, agenzie, enti territoriali ed enti sovra-territoriali in cui si articola l’Amministrazione Pubblica deve governare un territorio che ha delle peculiarità assolute. Una risorsa dal valore inestimabile e riconosciuto globalmente che ha generato un mercato composto da turisti e da cittadini interessati.
Il Governo e tutte le aree da gestire oltre alla Cultura
Il Governo tuttavia, ha tantissime aree da gestire: la sanità, un tempo identificata come un esempio a livello internazionale, ora in una fase di crisi. La giustizia, con la congestione delle carceri e dei tribunali. La questione del lavoro e della necessità di una politica industriale volta a favorire, come affermato da Draghi, una crescita generale interna. Il problema del calo demografico, con una popolazione sempre più anziana e un numero sempre maggiore di giovani che, in assenza di prospettive, emigrano verso economie più avanzate. La questione dei conti pubblici, con un debito elevatissimo, che non sarebbe un problema se ci fosse una crescita. Insomma, indipendentemente dai governi e dai colori politici, sono poche le aree in Italia che, se affidate al Pubblico, prosperano.
Il Governo e l’investimento in cultura
Stando così le cose, che il Governo decida di ridurre l’investimento in cultura è comprensibile, ma a un “taglio di spesa” dovrebbe essere associato un obiettivo. Ridurre gli investimenti in cultura potrebbe essere una mossa intelligente, se finalizzata a sbloccare le risorse necessarie a gestire altre priorità. Purché tali priorità siano chiare, trasparenti e purché la riduzione dell’investimento venga bilanciata da altre scelte. In mancanza di ciò, come Paese, dovremmo riflettere sui motivi per cui lo Stato detiene il potere esclusivo su alcune materie.
In ambito culturale la principale funzione dello Stato è garantire la trasmissione del patrimonio, nelle migliori condizioni possibili, alle generazioni future. Un compito da svolgere non solo in termini strutturali, ma anche di utilità sociale. Ovvero, tutelare un antico edificio non significa solo impedirne il disfacimento fisico, ma anche quello funzionale, riconsegnandolo alla collettività con un nuovo significato. Se questo non accade, per mancanza di risorse, energia, volontà, si stanno lasciando alle future generazioni dei Beni svuotati del loro senso più vero.
Se il nostro Paese, con le risorse a disposizione, non riesce a garantire la tutela dei nostri luoghi, sarebbe opportuno identificare delle strade che consentano ai privati di farlo. Possibilità che evidentemente, confligge con l’importanza “partitica” che la cultura ha assunto negli ultimi decenni, come “mezzo” più veloce per entrare in contatto e sedurre cittadini ed elettori. Organizzare una festa in piazza costa molto meno che aggiustare le strade. Gestire una piccola biblioteca, seppur esoso, è più facile che adempiere altre funzioni. Questa dimensione relazionale della cultura si è imposta a tutti i livelli: dai piccoli Comuni alle grandi fondazioni, dalle regioni al Ministero. Influenze che finalmente sono emerse con i grandi polveroni legati alle nomine dell’ultimo Governo.
Questa condizione, pur incentivando il finanziamento alla cultura, ha contribuito a creare una situazione ibrida, in cui il settore pubblico interviene sugli elementi più “visibili”, che potrebbero essere demandati ai privati; trascurando, invece, interventi più utili e prioritari ma meno notiziabili.
Patrimonio culturale? Una risorsa da gestire tra pubblico e privato
Sarebbe allora opportuno stilare un elenco delle necessità che il patrimonio culturale e la produzione culturale presentano per stabilire quali siano derogabili ai privati e quali no. Il Pubblico, infatti, dovrebbe intervenire in ambito culturale per gestire quelle attività che non sopravvivrebbero se affidate ai privati. Ma non sempre il settore pubblico si limita a questo tipo di logica. Nell’affidamento ai privati della gestione del patrimonio culturale lo Stato, da un lato impedisce un investimento di lungo termine; dall’altro richiede un pagamento. Come se si trattasse di un “locale da dare in gestione” e non un servizio di pubblica utilità. Mentre, sussistono ancora logiche antiquate che impediscono di incentivare la vendita di opere d’arte, specialmente degli artisti emergenti. Inoltre, vedere lo Stato impegnato nella ricerca di “ritorni economici” e latitante nella tutela e promozione del Patrimonio non è ammissibile.
Se il nostro Paese non può permettersi il proprio patrimonio culturale, bisognerebbe riflettere sulla reale utilità delle risorse attualmente allocate alla cultura; per trovare altre modalità di spesa volte a garantire a terzi la possibilità di procedere ove lo Stato non riesce. Temi che tuttavia non sono nell’orbita della riflessione del Ministero o di coloro che protestano contro i tagli. È invece necessario porre questo discorso al centro dell’agenda culturale per comprendere quali compiti sia realmente necessario affidare al Pubblico e quali invece possano essere derogati con successo ai privati.
Stefano Monti
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