L’opera più misteriosa e inquietante del Seicento dopo anni torna a Firenze

La “Strega” di Salvator Rosa, grazie all'acquisizione da parte degli Uffizi, torna in Italia e ammalia il pubblico con la sua iconografia di matrice fiorentina in cui la razionalità cede il passo agli spiriti

Da così tanti anni all’estero da non essere più soggetta a vincoli, la Strega di Salvator Rosa (Napoli 1615 – Roma, 1673), che faceva gola a molti musei internazionali, è finalmente tornata in Italia, acquisita dalle Gallerie degli Uffizi per 450mila euro. E, fino a marzo sarà esposta nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, per poi trovare collocazione permanente nelle sale dedicate ai maestri della pittura del Seicento agli Uffizi, accanto a celebri capolavori come la Medusa di Caravaggio (1598 ca.) e Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi (1620 ca.).  

In mostra a Pitti, la “Strega” di Salvator Rosa grida nell’oscurità  

Nel cuore del dipinto, immersa nell’oscurità, emerge una donna anziana inginocchiata. Il suo corpo, pur apparendo sgraziato e cadente, trasmette un’improvvisa sensazione di bellezza e forza. I tratti femminili sembrano mescolarsi a quelli maschili, portando i segni del tempo e dando vita ad un unicum grottesco, forzato all’inverosimile fino alla deformazione. La donna, – con gli occhi rivolti all’indietro, terribilmente esausta e con i capelli scompigliati dal vento – perde il fiato in un urlo rabbioso, imprecando. Nella mano sinistra stringe un ramo in fiamme, mentre con la destra presenta all’osservatore un contenitore sferico dal quale emerge una figura diabolica, simbolo delle forze infernali evocate dai suoi malefici. Sparsi sul terreno, diversi oggetti assumono un nuovo significato nel contesto di questo drammatico scenario: una brocca di vetro, delle monete, uno specchio, pezzi di ossa, un teschio e, in primo piano, un foglio bianco su cui sono tracciati simboli esoterici ed il monogramma “SR”. In secondo piano, quasi celato nell’ombra, attira l’attenzione dell’osservatore il corpo di un bambino morto, avvolto in un panno, posto dietro alla figura della strega. Secondo la leggenda, infatti, le streghe utilizzavano il sangue infantile per preparare le loro pozioni magiche. 

La Strega di Salvator Rosa. Courtesy Ufficio stampa Gallerie degli Uffizi
La Strega di Salvator Rosa. Courtesy Ufficio stampa Gallerie degli Uffizi

Il soggetto stregonesco nella produzione di Salvator Rosa 

Con un’opera come questa, Salvator Rosa sfida apertamente l’ideale di bellezza classica. Il soggetto stregonesco appartiene tipicamente agli anni del suo soggiorno fiorentino. A partire dal 1640, Rosa era stato al servizio del cardinale Giovan Carlo de’ Medici, un legame che sarebbe durato fino al 1648. La sua frequentazione alla corte medicea e nelle accademie fiorentine, appassionate di tematiche esoteriche, filosofiche ed ermetiche legati agli antichi testi, contribuisce in modo determinante le sue scelte artistiche.  

Salvator Rosa e l’iconografia seicentesca 

Se paragonata al periodo medievale e al mondo nordico del XV e XVI Secolo, l’iconografia seicentesca riserva meno spazio a magie, demoni e oscure fantasie. Un esempio emblematico è la Buona ventura di Caravaggio (1593-1595), dove la zingara è inserita in un contesto di quotidianità. Al contrario, artisti come Hieronymus Bosch o Pieter Bruegel dipingevano “stregonerie” ancora legate ad una realtà filosofica e teologica. Tuttavia, per comprendere appieno il significato de La Strega di Salvator Rosa, realizzata tra il 1647 e il 1650, è necessario risalire alle origini napoletane dell’artista e al vivace ambiente filosofico e scientifico che lo circondava. La pittura napoletana, con artisti come Filippo d’Angeli e Monsù Desiderio, aveva già fatto uso di simboli come scheletri, fuochi e mostri, che non sono dunque una novità nel repertorio di Salvator Rosa. Il paesaggio notturno, spesso terreno fertile per l’immaginazione, diventa un luogo dove la razionalità cede il passo agli spiriti. 

Ginevra Poli 

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