
Avrete notato anche voi, credo, che a partire dal 2016-2017 il tempo ha subìto una netta accelerazione – che si è tradotta, sempre più, in una distorsione.
Qualche buontempone sui social ha anche ipotizzato che la morte di David Bowie (10 gennaio 2016) c’entri qualcosa, come se il Duca Bianco fosse il perno che reggeva la struttura stessa della realtà, e quindi, venuto meno lui, ha cominciato ad andare tutto a scatafascio.
Il ruolo di David Bowie nella storia
Ora, io non so se le cose stiano proprio così (personalmente non lo escludo affatto: tra l’altro, ricordando alcune immagini dei video-testamenti di Blackstar e Lazarus, la tentazione di stabilire dei collegamenti viene…). Certo è che a partire da quell’anno, o da quel biennio, qualcosa è successo. Qualcosa che, oltre a rimettere pesantemente in moto la Storia e archiviando dunque definitivamente “la fine della Storia”, ha alterato via via il modo in cui percepiamo il tempo attorno e dentro di noi.
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Donald Trump e le cesure della storia
Proviamo a mettere in fila alcuni eventi/avvenimenti/fenomeni chiave: la prima elezione di Donald Trump, con praticamente tutti o quasi i democratici, di qua e di là dell’Atlantico, che si strappavano le vesti e i capelli per la sconfitta abbastanza annunciata per la verità di Hillary Clinton, non avendo visto arrivare quello che poi è puntualmente arrivato (e che è pure, nel frattempo, ritornato), non considerandolo neanche lontanamente immaginabile e concepibile, quando invece con tutto ciò che si può dire incarnava e incarna evidentemente lo zeitgeist; l’anno dopo, la nascita dei movimento #MeToo e #BlackLivesMatter, certo distinti ma sotto molti aspetti paralleli, e indubbiamente potenti nell’influenzare arte e cultura negli ultimi anni. Poi, nel 2020, quella grande cesura che è stato il Covid, con la sua capacità di modificare – seppur per un periodo limitato – la struttura stessa dell’esistenza quotidiana, le abitudini, e sul lungo periodo invece le relazioni umane, il rapporto collettivo con la scienza e, ancora una volta, la concezione del tempo. Tutti noi, credo, ancora oggi non possiamo fare a meno di stabilire inconsciamente un prima e un dopo rispetto a quella esperienza, e organizziamo i nostri interi ricordi anche in base a quello spartiacque.
L’assalto di Capitol Hill
Poi, quando le cose sembravano appena tornare, timidamente, lentamente, alla normalità, ecco lo sconcertante e surreale assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, e a Ferragosto dello stesso anno le scene inquietanti dell’abbandono americano dell’Afghanistan, con i talebani che entravano a Kabul e la gente che incredibilmente inseguiva l’aereo gigantesco che già decollava, arrampicandosi sulle ruote e aggrappandosi a ogni superficie: quelle immagini – che già di per sé costituivano un annuncio, una sorta di profezia di ciò che sarebbe avvenuto – erano comunque rivolte al passato, ricalcando fedelmente e inconsapevolmente le altre e originarie scene televisive, distanti quasi mezzo secolo, degli elicotteri statunitensi che decollano dal tetto dell’ambasciata a Saigon a fine aprile 1975 mentre la città cade in mano ai Viet Cong. (Il presente, questo presente, non può fare a meno di riecheggiare il passato – vampirizzandolo per darsi un senso, e un tono. Non muove un passo se, in qualche modo, non rifà il passato.)

Le guerre, la storia, l’immaginario
E il 24 febbraio 2022 l’invasione russa dell’Ucraina, con l’inizio del conflitto che dura ancora oggi, e infine il 7 ottobre 2023 l’attacco di Hamas a Israele che segna l’inizio della guerra a Gaza e successivamente in Libano. Fino alla (ri)elezione di Trump nel novembre dello scorso anno, e al suo insediamento. Ognuno di questi avvenimenti, oltre a mettere pesantemente in discussione ciò che pensavamo e/o presumevamo di sapere della contemporaneità, della geopolitica e del mondo di oggi, ha ampliato ulteriormente il divario (già esistente) all’interno delle popolazioni occidentali, acuendo e intensificando contrasti pressoché insanabili – i quali a loro volta non segnano affatto una semplice differenza di vedute, ma a loro volta sembrano minacciare la tenuta stessa della realtà (democratica, sociale, civile, politica, culturale, economica, immaginaria: fate voi).
Ipnocrazia, Trump e Musk
Ed è proprio dall’immaginario che vengono le ultime novità più interessanti, affascinanti e terribili, che puntano peraltro sempre – non a caso – in direzione del tempo e della sua percezione/costruzione collettiva. In un brillante articolo dedicato al discorso di insediamento di Trump e pubblicato sulla newsletter della casa editrice Tlon, Jianwei Xun, autore del libro Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà (Tlon 2025) riflette proprio su questi aspetti in gran parte inediti: “lo speech di insediamento di Donald Trump del 20 gennaio 2025 rappresenta l’inaugurazione formale di un nuovo regime di coscienza, che è al contempo una restaurazione dello status quo, del common sense, dell’America come erede finale e perfetto della stupida predatorietà del Sapiens, e l’instaurazione di un nuovo regno percettivo. Il discorso è strutturato come un rituale di induzione ipnotica di massa che opera attraverso diversi meccanismi simultanei: ‘The Golden Age of America begins right now’. Questa frase in apertura rivela immediatamente la natura ipnotica del discorso. Non è una semplice dichiarazione ma un atto che annulla il presente reale, evoca un passato mitico e materializza un futuro utopico, fondendo questi piani temporali in un “ora” messianico. Il tempo stesso diventa malleabile sotto la forza della suggestione: si trasforma in uno spazio psichico che può essere manipolato a volontà” (Jianwei Xu, “Tlonletter”, 20 gennaio 2025: Analisi del discorso ipnocratico dell’Imperatore Trump).
L’età dell’oro di Trump
La “Golden Age”, l’età dell’oro vagheggiata dal nuovovecchio presidente non rientra dunque minimamente nel territorio della retorica politica, ma è piuttosto la spia di un tempo che si è trasformato, che è divenuto ormai “uno spazio psichico” malleabile e manipolabile. È il momento in cui il la nostalgia postmoderna si rivela compiutamente per ciò che è, e che in fondo è sempre stata: uno strumento di potere e di dominio, un veicolo per mobilitare e plasmare il modo in cui stiamo al mondo o, come diceva Alighiero Boetti, “mettiamo al mondo il mondo”.
La nostalgia nel presentecontinuo
Quando la nostalgia non è più, infatti, banalmente rivolta a un periodo del nostro passato individuale e collettiva (i bei tempi andati, l’adolescenza, la giovinezza. Ecc.), ma punta a offrire e a ridefinire più passati, più epoche in cui neanche c’eravamo ma di cui subiamo il fascino e da cui siamo soggiogati, o addirittura riguarda un tempo che non c’è ancora, che non esiste (il futuro), ma che viene colonizzato prima ancora di esistere nella realtà dall’attitudine nostalgica, cioè da un tipo molto particolare di rapporto tra presente e passato, allora siamo di fronte a qualcosa di nuovo. Nuovo nel senso che questa specie di ripetizione, di rispecchiamento costante, finora non era mai esistita: la nostalgia non è più un orpello, una consolazione, ma la totalità di un’interpretazione del reale, e dell’esperienza umana. (Che cosa avviene al tempo, al nostro tempo, quando ci siamo abituati per anni – decenni – a regolarlo da cima a fondo attraverso la modalità (selettiva) dell’idealizzazione di frammenti del passato?…)
L’arte contemporanea il presente e il futuro
E l’arte contemporanea? Giusto. L’arte per ora sembra, nei casi migliori, totalmente presa da questo gioco di specchi che a volte può essere anche molto raffinato – ma non granché attrezzata per riflettere criticamente su di esso, ed eventualmente per smontarlo, pezzo per pezzo, riflesso per riflesso.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…