Il confine dell’arte, l’arte del confine. Una mostra a Città del Messico
“Bordear”, per chi non ha familiarità con la lingua spagnola ma è avvezzo alle tendenze dell’arte contemporanea, potrebbe sembrare un errore di battitura. Un fraintendimento che risuona ancor più evidente se letto a voce alta. Ma non è un errore: non si tratta di “Border Art” o, meglio, il tema di questa mostra è proprio […]
![Il confine dell’arte, l’arte del confine. Una mostra a Città del Messico](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/obra-pierre-valls.jpg)
“Bordear”, per chi non ha familiarità con la lingua spagnola ma è avvezzo alle tendenze dell’arte contemporanea, potrebbe sembrare un errore di battitura. Un fraintendimento che risuona ancor più evidente se letto a voce alta. Ma non è un errore: non si tratta di “Border Art” o, meglio, il tema di questa mostra è proprio quello di discutere e ampliare questa categoria che, come tale, risulta spesso limitante.
Bordear. Una idea de frontera è una mostra ospitata dal Museo Palacio de Autonomia della Fundaciòn UNAM a Città del Messico, che, oltre all’esposizione, offre l’opportunità di partecipare a una serie di eventi culturali che si svolgeranno periodicamente. Il primo di questi, il simposio Pushing Border Art’s Borders, si è tenuto il 31 gennaio, con un focus su tematiche legate all’ecologia, alla migrazione e all’arte transfrontaliera. Il tentativo ultimo degli organizzatori è problematizzare lo spazio di conflitto e tensione chiamato confine, rendendolo visibile. Il cuore critico dell’esposizione risiede inoltre nel superamento e nell’ampliamento della categoria “Border Art”, andando oltre la dicotomia Stati Uniti/Messico e lo spazio liminale tra i due Stati, ovvero oltre il luogo in cui questa etichetta è stata imbrigliata, limitandone i possibili risultati.
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Obra Ingrid Hernandez](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/obra-ingrid-hernandez-768x568.png)
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Obra Cassandra Mayela (dettaglio)](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/obra-cassandra-mayela-detalle-768x578.png)
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Obra Yeni Mao](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/obra-yeni-mao-768x1152.jpg)
La mostra “Bordear” a Città del Messico
“Bordear” è un verbo spagnolo che può indicare sia l’azione di camminare lungo il bordo sia il tentativo di evitare una difficoltà. Due significati che restituiscono appieno l’esperienza del confine: difficoltà e cammino, evitamento e limitazione. La mostra è curata da Anne-Laure Amilhat Szary, Professoressa Ordinaria presso l’Università di Grenoble-Alpes, da Andrea Masala, dottorando in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Genova e in Geografia presso l’Università di Grenoble-Alpes, e da Procuradoría, un’organizzazione fondata da Paula Duarte e Torrivilla, esperti di arte contemporanea in Messico. Insieme hanno concepito una curatela che va oltre l’archetipo che il confine rappresenta, permettendo di conoscerlo e metterlo in discussione simultaneamente. Un doppio che riecheggia il termine bordear. L’approccio è intersezionale, i media e i materiali sono eterogenei. La liminalità nelle categorie – artistiche o disciplinari – è il risultato ricercato, nonché il punto di partenza per i curatori. Tale ricchezza è necessaria per evitare di limitare i risultati e per non racchiudere in un confine museale le speculazioni artistiche e sociali. La mostra si propone come un’esperienza che induce a riflettere su un’idea: il confine non è solo una linea geografica, siamo noi stessi a produrlo, a esserne parte e a costruirlo e decostruirlo continuamente. Hanno così concepito una mostra che è una mappatura concentrata, composta da sei opere di sei artisti provenienti da diverse parti del mondo: l’organizzazione no-profit Border Forensics, Pierre Valls (Francia), Ingrid Hernandez (Messico), Cassandra Mayela (Venezuela), Yeni Mao (Sino-statunitense) e Rubén Ulises Rodríguez Montoya (Messico).
Le opere e gli artisti della mostra “Bordear” a Città del Messico
Le sei opere presenti sono realizzate con media differenti, spesso combinati all’interno dello stesso lavoro. Si tratta di sculture dai materiali più disparati, ma anche progetti, video, fotografie e reportage.
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Yeni Mao](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/yeni-mao-768x628.png)
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Pierre Valls](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/pierre-valls-768x1040.jpg)
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Ingrid Hernandez](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/ingrid-hernandez.jpeg)
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Ruben Ulises Rodriguez Montoya](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/ruben-ulises-rodriguez-montoya-768x939.png)
![Bordear. Una idea de frontera Museo Palacio de Autonomia, Città del Messico, Cassandra Mayela](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/cassandra-mayela-768x1047.jpg)
Border Forensics e i crimini di frontiera
Border Forensics (BF) è un’organizzazione no-profit con sede a Ginevra che conduce indagini sulle pratiche illegali di gestione delle frontiere, collaborando con gruppi non governativi e comunità di migranti per fornire prove visive di tali violazioni. Charles Heller (Research Director) e Lorenzo Pezzani (co-Director) hanno portato nell’organizzazione i metodi innovativi di analisi spaziale e visiva che hanno sperimentato nell’ambito del progetto londinese Forensic Architecture. L’opera esposta, Blessing Matthew, è un video che ripercorre la contro-investigazione condotta sulla morte di Blessing Matthew, una ragazza originaria della Nigeria trovata senza vita il 9 maggio 2018 nel fiume Durance, sulle alpi francesi, a poca distanza dal confine con l’Italia. Dopo che un’investigazione è stata aperta dalla polizia francese, il caso fu archiviato il 9 febbraio del 2021. Border Forsensics ha condotto un’analisi spazio-temporale per sostenere la famiglia di Blessing e l’organizzazione non governativa Tous Migrants nella loro ricerca di verità e giustizia, contestando i risultati dell’indagine ufficiale che aveva assolto i gendarmi da ogni responsabilità. La loro richiesta è la riapertura del caso. L’opera si configura come una pratica attiva, capace di far emergere non solo un singolo evento, ma una dinamica sistemica più ampia. È un progetto collettivo che, attraverso la ricerca e la produzione di prove visive, mira a costruire spazi di riflessione critica sui dilemmi etici e politici legati ai confini.
Pierre Valls e l’immagine del potere
48º52´15.13´N/2º19´01.80´E/33º08´22.60´N/11º27´40.12´E è l’opera esposta di Pierre Valls, artista multidisciplinare francese, datata 2012. Le coordinate del titolo corrispondono a due luoghi specifici: il Palazzo dell’Eliseo a Parigi e l’ex campo profughi di Choucha a Ra’s djir, sul confine tra Tunisia e Libia. Valls ha disegnato la planimetria in scala 1:1 del Palazzo dell’Eliseo sulla sabbia dell’ex campo profughi, uno spazio emerso durante la guerra in Libia e successivamente abbandonato. Quest’azione artistica sovrappone simbolicamente un luogo di potere e decisione politica a uno spazio di migrazione forzata, rendendo visibile un legame spesso ignorato. L’opera si sviluppa attraverso una combinazione di azione artistica, studio, video e fotografie, esplorando i concetti di traccia, delimitazione e confine con un tono di sprezzante ironia.
Ingrid Hernández e la vita di confine
Ingrid Hernández, artista visuale messicana nata nella città di confine Tijuana, indaga le asimmetrie della geopolitica della frontiera tra Messico e Stati Uniti. La sua opera Casa hecha con tapas de foam #2, parte del progetto Sedimentaciones (2022-2025), si concentra sulle comunità di confine che si costruiscono autonomamente le proprie abitazioni utilizzando materiali di scarto provenienti dagli USA e dalle fabbriche situate sulla frontiera, in particolar modo a Tijuana. Attraverso un’analisi visiva e documentaria, Hernández mette in luce le dinamiche di appropriazione e resistenza che caratterizzano questi insediamenti, sottolineando la relazione tra territorio, identità e materiali di scarto.
Cassandra Mayela e la migrazione delle cose
Maps of displacement è un’installazione prodotta da Cassandra Mayela, artista autodidatta venezuelana costretta a emigrare negli Stati Uniti nel 2014, che utilizza il medium grafico e tessile nella sua pratica. L’opera presente in mostra è parte di un progetto iniziato nel 2021 e ancora in corso che esamina la crisi migratoria venezuelana. Mayela raccogliendo gli indumenti appartenenti a migranti venezuelani, tagliati e intrecciati in un arazzo, crea “mappe” che collegano le persone ai luoghi che hanno attraversato e agli oggetti che hanno portato con sé. Questo gesto sottolinea come la migrazione si incarni nei materiali, nei tessuti e nei frammenti di vita che le persone scelgono di conservare.
Yeni Mao e la ricostruzione del corpo
Yeni Mao utilizza la scultura come medium per esplorare il tema della frammentazione attraverso assemblaggi e composizioni architettoniche. La sua ricerca si concentra su un approccio di feticizzazione materiale, evocando corpi astratti e destrutturati: costruzioni cyborg fatte di componenti trovati, fabbricati o scolpiti. Automatic, l’opera esposta negli spazi del Palacio de Autonomia, fa parte di questa ricerca. Acciaio, ceramica e pelle sono i materiali principali di questa indagine. Una pratica che esplora l’alterità, in una dinamica che attribuisce importanza allo spazio negativo, alle assenze. Paragonando i corpi a sistemi architettonici, Mao riflette sul modo in cui la costruzione e lo smantellamento degli ambienti influenzano la percezione del corpo umano e dell’identità.
Rubén Ulises Rodríguez Montoya e l’ibridazione
Rubén Ulises Rodríguez Montoya, artista messicano, crea sculture di creature fantastiche che celebrano il mestizaje e la resistenza delle comunità di confine. Ispirandosi al nahualismo, alla fantascienza e alla speculative fiction, esplora temi di adattamento e sopravvivenza, utilizzando materiali di scarto per dare vita a esseri ibridi. Le sue opere nascono dai rifiuti tossici della discarica Camino Real, situata vicino a dove è nato, trasformando i detriti in manifestazioni artistiche della resilienza delle popolazioni di confine. Le sue sculture Chupacabras incarnano il concetto di mestizaje e sono opere che creano parallelismi tra la terra, l’umano e l’animale come mezzo per indagare il processo attraverso il quale la violenza cancella, erode ed elimina le comunità mestiza. L’opera Eres tú, ese ser que vuelve a tierra mojada rappresenta questa coscienza ibrida, un corpo Nahual di chi resiste sul confine.
L’idea di confine nella mostra “Bordear” Le opere in mostra sono lenti e megafoni. Partendo da situazioni specifiche e da confini problematici – il confine USA/Messico, il campo Choucha e il rapporto con l’Europa, il flusso migratorio tra Africa e Europa, la grande migrazione venezuelana – le opere mettono in luce le dinamiche sistemiche dietro queste realtà. La mostra diventa così uno spazio di discussione e di s-confinamento, fisico e mentale. Un’occasione per riconsiderare il concetto stesso di confine, che non è solo una linea geografica, ma qualcosa di più complesso: un insieme di corpi, storie, criticità, conflitti e domande, identità e comportamenti. Una mostra che, infine, pone in discussione l’intero rapporto tra arti e confini, domandandosi e domandando agli spettatori: qual è il confine dell’arte? Cosa è, invece, l’arte di confine? E cos’è, davvero, il confine?
Edoardo Capurro
Libri consigliati:
Città del Messico /fino al 16 marzo 2025
Bordear. Una idea de frontera
Museo Palacio de Autonomia della Fundaciòn UNAM
https://starch.dottorato.unige.it/bordear
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