Dall’Emilia allo Utah. La mostra dell’artista Antonio Rovaldi a Modena
C’è un’altra Modena negli Stati Uniti. Lo racconta la mostra del fotografo Antonio Rovaldi alla galleria Metronom di Modena, ma quella italiana
![Dall’Emilia allo Utah. La mostra dell’artista Antonio Rovaldi a Modena](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2016-courtesy-the-artist-and-metronom-1024x848.jpg)
È una mostra elegante, misurata, calibrata quella di Antonio Rovaldi (Parma, 1975) presso la galleria Metronom di Modena, curata da Marcella Manni. Sono 60 fotografie analogiche in bianco e nero, stampate in formato medio-piccolo. Il titolo pare un gioco: MO’DINNA MO’DINNA (I wanna go back home). Questa la pronuncia americana della città di Modena nello Utah dove l’artista si è recato. Al centro della mostra l’esperienza del viaggio in relazione alla fotografia con un rimando ai luoghi e ai loro nomi, le due Modena a migliaia di chilometri di distanza l’una dall’altra.
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2024, courtesy Metronom, installation view](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2024-courtesy-metronom-installation-view-3-1024x683.jpeg)
La mostra di Antonio Rovaldi a Modena
La storia ha un momento iniziale, nel 2016, quando Rovaldi, su invito del festival Fotografia Europea, esplora e fotografa il paesaggio lungo la via Emilia, da Parma, sua città natale, a Modena, passando per quei luoghi ghirriani, che hanno in sé qualcosa “fra la via Emilia e il West”. In quel periodo l’artista sta vivendo negli Stati Uniti e scopre nello Utah sud-occidentale, l’esistenza di Modena, una comunità non incorporata, nella parte estrema occidentale della contea di Iron, vicino al confine con il Nevada. Vi si reca e trova un luogo fantasma del quale coglie la desolazione, la solitudine, la sospensione spazio-temporale. In quel momento raccoglie anche la testimonianza di uno dei suoi abitanti. La voce narrante dell’uomo risuona nelle orecchie dello spettatore della mostra in galleria.
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2016, courtesy the artist and Metronom](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2016-courtesy-the-artist-and-metronom-3-768x633.jpg)
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2016, courtesy the artist and Metronom](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2016-courtesy-the-artist-and-metronom-2-768x635.jpg)
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2016, courtesy the artist and Metronom](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2016-courtesy-the-artist-and-metronom-768x636.jpg)
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2024, courtesy Metronom, installation view](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2024-courtesy-metronom-installation-view-1-768x512.jpeg)
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2024, courtesy Metronom, installation view](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2024-courtesy-metronom-installation-view-2-768x512.jpeg)
![© Antonio Rovaldi, MO'DINNA MO'DINNA (I wanna go back home), 2024, courtesy Metronom, installation view](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2025/02/c-antonio-rovaldi-modinna-modinna-i-wanna-go-back-home-2024-courtesy-metronom-installation-view-768x512.jpeg)
Il ritorno di Antonio Rovaldi in Italia
Al suo ritorno in Italia, fotografa, quindi, la Modena italiana, l’antica Mutina, il cui nome somiglia tanto alla pronuncia americana. In mostre sono i tre momenti in cui luogo e viaggio sono i protagonisti. Un ombrello bianco è presente in tutti e tre i gruppi di lavoro. Scrive Manni: “Rovaldi ha visitato e attraversato fisicamente i luoghi a distanza di tempo; il suggerimento, però, il lascito e lo spunto, non è solo quello della documentazione fotografica pura, piuttosto quello della vicinanza e dell’incontro con l’incerto e l’inaspettato e l’immagine restituita nella forma di una sequenza fotografica suggerisce la possibilità di rilettura di una geografia, elastica e connettiva”. Un’immersione geografica in cui il tempo lento del viaggio corrisponde a quello dell’osservazione, dell’attenzione necessarie per comprendere la forza del lavoro in tutta la sua portata etica ed estetica in cui il richiamo è a certe storie della storia dell’arte e della fotografia da Walker Evans a Ed Ruscha di Twentysix Gasoline Stations.
Angela Madesani
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