L’artista Sergio Ragalzi e le sue scimmie esistenziali in mostra a Parma

Una mostra che usa le scimmie come veicolo di una profonda riflessione sulla natura umana: la Galleria Niccoli di Parma ricorda Sergio Ragalzi a meno di un anno dalla sua morte

Grandi figure di scure scimmie, ciascuna sola, la bocca aperta, che contrastano con lo spazio chiaro, scandito, bianche le colonne, della Galleria Niccoli di Parma, in pieno centro città: così Sergio Ragalzi (Torino, 1951 – 2024), viene ricordato con un’affascinante serie di suoi lavori. In Tutte le nostre scimmie, i corpi di queste creature sospese con il colore che scivola, alcune con la mano in testa quasi a indicare perplessità, le sopracciglia aggrottate. Non c’è natura intorno, nessun legame tra loro, quasi figure sopravvissute a un tempo finito, smarrite, stupite, forse con la tensione dell’urlo quelle fauci spalancate nelle tele esposte.

La mostra di Sergio Ragalzi a Parma

C’è verità in quei corpi neri – il colore dominante in Ragalzi – pure sembrano dialogare con altre immagini create dal teorico del post-atomico, visibili nel bel filmato che scorre da Niccoli, neppure tre minuti, ma con significative tracce del percorso creativo dell’artista. Tra queste le diverse forme bianche – su nero naturalmente – di umani senza più veri lineamenti che li distinguano, la bocca dal grido vuoto, gli occhi solo orbite buie. Una disperazione comune con Tutte le nostre scimmie? Lo stesso isolamento nell’abbandono? Amava parlare di antipittura Ragalzi, lavorando con le tele a terra, anche camminandoci sopra (e in una delle opere ora a Parma si vede chiara un’impronta di suola).

Le affinità tra Sergio Ragalzi e il teatro

E sembra si aprano altri confronti nel visitare la mostra, con Kafka per esempio: forse non è un caso se proprio in questo periodo siano in tournée ben tre versioni teatrali di Una relazione per una accademia. Nel racconto una scimmia catturata in Africa spiega come, per sopravvivere senza finire in una gabbia dello zoo, abbia imparato a essere (sembrare?) creatura umana. Meglio il varietà! Ma quegli abiti appesi che si scorgono nel filmato, le scarpe a terra, la composizione sedia e ombrello, evocano anche le creazioni di Remondi e Caporossi, sempre ai confini tra teatro e arti figurative.

La pratica artistica di Sergio Ragalzi

Con le ‘Scimmie liquide’ Ragalzi apre uno spiraglio di redenzione nella sua poetica post-apocalittica”, si legge nella presentazione a firma di Massimo Belli, “ritraendo l’uomo nella sua forma archetipica della scimmia, proiezione delle sensibilità più animalesche e primordiali”: nell’assoluta coerenza della ricerca, il filmato in mostra svela i molti materiali usati dall’artista, cartone, pvc, sculture che evocano embrioni, esseri indefiniti, altri animali, sempre con un senso drammatico della vita. Sagome scure, materie buie, umor nero: in fondo, se non fosse per quella solitudine in un mondo che (forse) non c’è più, quelle scimmie potrebbero appartenere alla verità della natura. Prive di deformazioni, non hanno nulla di quelle ombre sui muri dopo le esplosioni atomiche sul Giappone che tanto avevano influenzato Ragalzi.

Il quesito irrisolto di “Tutte le nostre scimmie”

Nel pensiero di Ragalzi – di notevole interesse la lunga intervista a cura di Willy Montini che potete trovare qui – si avverte il bisogno d’incontrare i materiali, di lavorarli, tante le vibrazioni di nero che riesce a svelare tra opacità e lucido plastico, grande sempre l’attenzione a tutto ciò che è proprio dell’uomo, anche nel conflitto tra bene e male. Forse si poteva percorrere un’altra strada una volta avvenuta la metamorfosi dagli antichi primati?

Valeria Ottolenghi

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Valeria Ottolenghi

Valeria Ottolenghi

Studiosa e critico teatrale (numerose le pubblicazioni, saggi e articoli di riviste, regolari alcune collaborazioni), è Responsabile delle Relazioni Esterne ANCT, Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti, ha lavorato per la scuola e l’Università, docente SSIS, insegnante…

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