“Ambasciate d’Arte”. Un’alternativa alla morsa che attanaglia il mercato italiano

Dopo la delusione per la mancata riforma fiscale, per i galleristi che non intendono abbandonare l’Italia è fisiologico pensare a soluzioni alternative che, per quanto utopiche, sono utili per stimolare una riflessione corale

A differenza di quanto si possa pensare, lo sviluppo di “mercati” vale a dire di un insieme di strumenti che consentano, agevolino e, in alcuni casi, stimolino le transazioni di beni o servizi, è un’operazione che richiede una grande componente creativa.
Creatività indispensabile per risolvere le criticità presenti in qualunque sistema economico e sociale ma che in Italia sono ancora più evidenti, soprattutto quando si tratta di cultura e mercato dell’arte. A tal proposito, la mancata riduzione dell’IVA per le opere d’arte è una criticità che aumenta ulteriormente la distanza tra gli operatori del settore, non solo dallo scenario internazionale, ma anche da quello di riferimento; ovvero dal contesto socio-economico in cui un determinato attore è chiamato ad operare.

La protesta dei galleristi a Bologna

In tal senso, la protesta a suon di fischi dei galleristi, l’ultimo giorno di Arte Fiera, contro il Governo è stata illuminante per inquadrare la gravità della situazione in cui versa il Paese. Si è trattato infatti di uno dei rari casi di presa di posizione congiunta da parte di un gran numero di esponenti della categoria. Nello stesso tempo, il fatto che l’azione sia stata ripresa dalla stampa specializzata e poco o niente dalla stampa generalista, ha messo in evidenza la scarsa considerazione dell’Autorità nei confronti del settore, ovvero del mercato dell’arte. Considerando che, per quanto l’attuale aliquota risulti essere economicamente e concettualmente iniqua – facendo retrocedere l’Italia nel contesto europeo -, è bene ribadire che si tratta solo di una delle distorsioni, talvolta sorprendenti, nel settore dell’arte; spesso generate da preconcetti anacronistici e ideologici.

P420. Photo C. Favero
P420, Arte Fiera 2025. Photo C. Favero

Il mercato dell’arte soffocato da una regolamentazione anacronistica

Chiaramente la protesta è solo uno degli strumenti attraverso cui una categoria può far presente le proprie istanze a chi la governa. E si rivela particolarmente utile nei casi in cui si tratta di materie – come quella artistica – non prioritarie nell’agenda politica. Tuttavia, è opportuno che tali provocazioni poi si evolvano in azioni concrete, consone ad avviare un confronto costruttivo, volto a far presenti alle Istituzioni le istanze di categoria e, soprattutto, a proporre soluzioni percorribili sotto il profilo tecnico, economico e amministrativo.
Il malcontento di un settore di mercato, oltre a vane proteste, potrebbe dare adito ad attività strutturate come strategie imprenditoriali. In Italia, in cui il settore dell’arte è in sofferenza per l’insieme di regole da cui è disciplinato, i galleristi potrebbero decidere di trasferire all’estero la propria attività; o di aprire filiali in Paesi più attenti al patrimonio e alle nuove produzioni artistiche. Tuttavia, dal momento che si tratta di azioni ad impatto ridotto perché percorribili solo dalle gallerie più strutturate, è essenziale sviluppare proposte volte a sensibilizzare dapprima l’opinione pubblica e, successivamente, la politica. 

Le “Ambasciate d’Arte” una soluzione simbolica per superare la staticità del mercato dell’arte

Un’azione simbolica, eppure efficace sotto il profilo delle dimensioni economiche e finanziarie, potrebbe essere la costituzione di “Porti Franchi” all’interno delle ambasciate; vale a dire: luoghi esenti da tassazioni e dazi sugli scambi commerciali. Imposte che verranno applicate solo all’atto del trasferimento dei beni acquisiti, secondo le regole del Paese di importazione. Un modello già ampiamente utilizzato nei cosiddetti freeport, il cui esempio più noto è quello di Ginevra, balzato alle cronache per vicende legali riferite ad un Rothko di proprietà di un noto collezionista russo.
A differenza dei freeport, in cui venditori e acquirenti sono anonimi e le transizioni riservate; queste nuove Ambasciate d’Arte non avrebbero il compito di “celare” le opere ma di “esporle”. In altre parole, anziché compiere le sole azioni di stoccaggio-conservazione; le Ambasciate d’Arte potrebbero richiedere, a fronte dei servizi offerti, l’esposizione delle opere al pubblico attraverso l’organizzazione di mostre temporanee.

Le Ambasciate d’Arte come punto di partenza per una riflessione condivisa

Certo, per quanto si tratti di un’azione difficilmente percorribile, quella delle Ambasciate d’Arte, costituisce tuttavia un input importante. Nella misura in cui, quando le condizioni risultano insostenibili, è necessario sviluppare proposte alternative, non tanto per la loro diretta esecuzione, ma come stimolo di riflessione condiviso da tutti gli operatori. In un mercato dell’arte come quello italiano, sempre più deluso dall’assenza di uno sguardo attento a ciò che la cultura rappresenta per il Paese, può essere importante iniziare ad immaginare azioni di “sensibilizzazione”, in grado non solo di raggiungere l’opinione pubblica, ma anche di coinvolgere l’interesse di più operatori. Azioni che, per essere efficaci, devono necessariamente sondare meccanismi che sinora non sono mai stati ancora testati.

Stefano Monti 

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Stefano Monti

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Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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