Il Martello di Michelangelo: migliorare la comunicazione ma anche favorire l’ascolto
Come far parlare le opere d’arte al pubblico? Tramite un approccio multidisciplinare e sfruttando maggiormente le possibilità offerte dalla tecnologia. Paolo Cuccia risponde a Padre Antonio Spadaro
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Nel suo recente articolo, Padre Antonio Spadaro, Segretario Generale della Fondazione vaticana All of Us, creata per volontà del Papa e presieduta dal Cardinale José Tolentino a capo del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, alla quale mi onoro di appartenere, ha sollevato su Artribune una questione cruciale: come possiamo “far parlare” le opere d’arte nel contesto contemporaneo? Questa riflessione è particolarmente rilevante alla luce della esperienza dell’autore e in considerazione dell’immenso patrimonio artistico e culturale della Chiesa cattolica, una delle eredità più straordinarie della storia dell’umanità.
La funzione delle opere d’arte
Accogliendo la provocazione di Spadaro, propongo di estendere la discussione anche sulla “cornice” della loro fruizione. E di conseguenza domandarci come stimolare la capacità e l’interesse all’ascolto. È fondamentale interrogarsi infatti su come le opere vengano percepite e vissute dai visitatori, tenendo conto delle loro diverse provenienze ed esperienze. In questo contesto, sia l’ambiente fisico che quello digitale giocano un ruolo determinante.
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Dalla narrazione alla scenografia dell’arte
Spadaro suggerisce il coinvolgimento di scrittori, attori, poeti e videomaker per creare nuove modalità narrative che diano voce alle opere. Concordo pienamente ed aggiungo che questo processo dovrebbe estendersi anche all’infrastruttura dell’esperienza artistica. Elementi come l’architettura, l’illuminotecnica, i percorsi espositivi e gli strumenti multimediali sono essenziali per facilitare una fruizione più immersiva e significativa del patrimonio culturale.
Le neuroscienze e l’intelligenza artificiale stanno già dimostrando il loro potenziale nel migliorare la percezione e la comprensione delle opere d’arte. Studi sui processi cognitivi della visione, come quelli di Cosimo Accoto filosofo della scienza, evidenziano come l’illuminazione influenzi la nostra capacità di cogliere dettagli ed emozioni in un’opera. L’intelligenza artificiale può offrire percorsi personalizzati, adattandosi agli interessi e al background del visitatore, creando un dialogo interattivo che si modella sulle sue reazioni. L’arte diventa così un’esperienza progettata per coinvolgere ed emozionare.
L’evoluzione degli spazi e le sfide per i luoghi storici
Nei musei, nelle chiese e in molti spazi espositivi tradizionali, l’allestimento spesso rigido ostacola un rapporto più intimo con le opere. Spazi espositivi freddi e percorsi obbligati limitano l’interazione e la sorpresa. Sebbene intervenire su edifici storici presenti sfide significative, l’innovazione è possibile e necessaria. Le nuove costruzioni invece offrono l’opportunità di ripensare la fruizione artistica. I luoghi culturali del futuro devono essere concepiti non solo come contenitori di opere, ma come ambienti che esaltano il loro valore attraverso l’uso sapiente di luce, suono, interattività e coinvolgimento multisensoriale. Ripensare il contesto espositivo significa amplificare la forza espressiva delle opere stesse.

Ibridazioni e nuove modalità di fruizione
Alcuni spazi contemporanei potrebbero già sperimentare nuove relazioni tra contenuto e contenitore. L’Auditorium di Renzo Piano a Roma, ad esempio, amatissimo dai cittadini e cuore pulsante della musica, potrebbe diventare un laboratorio di contaminazione tra arti. Ospitando mostre e installazioni d’arte, si favorirebbe un dialogo tra suono e immagine, permettendo ai melomani di avvicinarsi alle arti visive e viceversa, in un’esperienza che supera i confini disciplinari tradizionali. Un’altra proposta, forse provocatoria, è quella di ispirarsi al modello delle piattaforme di streaming. Una “Netflix dell’arte” potrebbe collegare mostre e opere distribuite in diversi musei, suggerendo ai visitatori dove approfondire un tema o scoprire altre opere correlate. Ogni esposizione potrebbe diventare un episodio di una serie, con appuntamenti successivi che guidano il pubblico attraverso percorsi tematici più ampi. Questo approccio non banalizza l’esperienza artistica, ma crea un sistema coerente e stimolante che invita alla scoperta continua.
Far parlare Mosè, ma anche insegnare ad ascoltare
Il dibattito sollevato da Spadaro non riguarda solo la comunicazione dell’arte, ma anche la capacità del pubblico di ascoltare. Nell’era digitale, siamo sommersi da un flusso incessante di immagini e contenuti che rischiano di rendere tutto effimero: scorriamo rapidamente da un’opera all’altra senza soffermarci. È fondamentale sviluppare strategie che catturino l’attenzione, specialmente delle nuove generazioni, insegnando il valore della pausa, della contemplazione e della riflessione. Il compito degli operatori culturali è duplice: da un lato, migliorare la narrazione attorno alle opere; dall’altro, creare le condizioni per un’educazione alla visione. Non basta far parlare Mosè, che parla e come …, ma è necessario aiutare i visitatori a sentirne la voce, accoglierla e comprenderla. In un’epoca dominata dalla tecnologia, il mondo della cultura ha l’opportunità di trasformare la fruizione artistica in un’esperienza autentica e significativa, capace di lasciare un’impronta profonda e duratura.
Arte e comunicazione: un approccio multidisciplinare
In conclusione, per rispondere efficacemente alla sfida lanciata da Padre Spadaro, è essenziale adottare un approccio multidisciplinare che integri competenze diverse. Esiste una vasta bibliografia al riguardo ma cito in primis “Il museo oggi. Modelli museologici e museografici nell’era della digital transformation” di Cataldo e Paraventi, la collaborazione tra architetti, psicologi, scienziati, tecnologi e curatori è fondamentale per favorire l’ascolto ed esistono già esempi illuminati che rispondono a questa sfida sia nel miglior uso di strutture storiche come Capodimonte con il suo Bosco Reale dove i cittadini hanno tra l’altro adottato le panchine (!) sia nuovi quale ad esempio, tra i tanti, il Louvre Lens.
Paolo Cuccia
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