Divieto di sosta
Corriere della Sera, martedì 16 ottobre, pagina 9, cronaca di Milano, rubrica lettere, tra le varie lamentele dei cittadini per parchimetri in tilt, miraggio dei taxi, impunità per i furbetti intercetto anche “Un dito di troppo”. Giacinto di Pietrantonio e il suo “Per dovere di cronaca”.
Il cittadino Ettore Tosi scrive: “C’è a Milano una maggioranza di cittadini corretti e poco ascoltati (perché troppo silenziosi) che per quarant’anni, attraversando piazza affari, dovranno guardare da un’altra parte. Una maggioranza che non si accontenta del parere della critica d’arte contemporanea. Una maggioranza alla quale è stato inflitto uno sgarbo, elegantemente rappresentato da quel manufatto, e che ora può solo sperare nella riduzione della pena”.
Questa lettera arriva a quattro giorni dalla festa con cui il Comune di Milano ha ufficializzato la donazione da parte di Maurizio Cattelan dell’opera L.O.V.E. collocata in piazza Affari dal settembre del 2010 e che ancora, ma non troppo, fa discutere. In realtà critiche e discussioni erano state più accese quando due anni fa la installò in occasione della sua mostra a Palazzo Reale durante la giunta di Letizia Moratti e l’assessorato alla cultura di Finazzer Flory. Oggi la giunta Pisapia con l’assessore alla cultura Stefano Boeri porta a compimento ciò che allora si era iniziato: almeno qualcosa inizia e termina in Italia, e in tempi relativamente brevi. A proposito Boeri dice: “Accettare la donazione non significa solo acquisire un’importante opera di un artista internazionale, ma soprattutto accettare un’immagine che ci fa riflettere sull’idea di ‘scultura sociale’ e che produce reazioni, disagio, emozioni, attrazione come forse dovrebbe fare ogni monumento contemporaneo”.
Ora c’è chi valuta l’opera in questione come una sentenza giudiziaria, tradendo da una parte la presunta professione del lettore-scrittore (giudice, avvocato e similari?), dall’altra una visione penale che attraversa la nostra società da anni e in cui il dibattito soco-politico e la vita dei cittadini è pervasa dal discorso giudiziario, “dei delitti e delle pene” visto che siamo a Milano.
Tuttavia, vorrei cogliere l’occasione della leggera polemica qui sopra riportata, visto che come critici siamo chiamati in causa, per dire che nella nostra società, in cui il discorso penal-giudiziario è diventato pervasivo, finiscono per sfuggirci i discorsi culturali e sociali dell’arte e da cui e per cui le opere nascono e vivono. Quindi, ora che le polemiche si sono praticamente placate, invito a non guardare dall’altra parte, ma a tentare di vederci meglio anche tra le nebbie della Padania globalizzata.
Su questo ci aiuta a riflettere e trovare connessioni pure la mostra in corso a Palazzo Reale di Milano, Costantino 313, imperatore sul trono di Roma dal 306 al 337 d.C., non il tronista televisivo. Difatti, sul fronte della storia e della storia dell’arte, questi ci ricorda che il dito rappresenta l’indicare, l’ammonire, il benedire. Di esempi ne abbiamo molti in pittura come in scultura, dove il riferimento maggiore è la mano con il dito indice alzato del frammento di statua colossale dell’imperatore Costantino, 330 d.C., una delle più importanti opere della scultura romano tardo-antica, oggi al Palazzo dei Conservatori di Roma. Certo, quest’opera manca alla mostra milanese, ma se la colleghiamo con il dito di Cattelan a piazza Affari sentiremo meno questa mancanza. Naturalmente di fronte alla Borsa il dito alzato non è l’indice ma il medio, e il significato da un dito all’altro cambia: nel senso che, se quello di Costantino è segno di potere, quello di Cattelan diventa sberleffo nei confronti del potere, in questo caso di quello finanziario, di quella finanza che ha portato il mondo nella crisi epocale che stiamo vivendo. Per cui l’opera in questione non è neppure la celebrazione anatomica della mano, ma un’opera che invita a indignarsi, a non guardare dall’altra parte e a tenere sotto osservazione quanto sta accadendo; insomma, l’opera ci invita a scegliere tra la borsa o la vita.
Inoltre, avendo avuto l’occasione di vedere l’opera dal settimo piano di un edificio della piazza, vorrei dare un suggerimento al Comune di Milano, perché mi sono reso ancor più conto di come l’opera domini lo spazio in cui è collocata, come formalmente è diventata il centro di bilanciamento della piazza stessa con una precisione formale-spaziale che pochi artisti oggi sono in grado di compiere, perché va detto che Cattelan – al di là delle provocazioni – è un artista classico. Per finire, dall’alto si coglie meglio che lo scempio non è portato dal dito-opera L.O.V.E. che sosta al centro della piazza, ma dalle macchine parcheggiate che la occupano, circondando l’opera. Per cui, per portare a compimento la precisione metafisica della stessa, il Comune dovrebbe mostrare ancora più coraggio, vietandone la sosta.
Giacinto Di Pietrantonio
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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