Capire le città di prossimità: il “caso” Macrolotto Zero a Prato

Il quadrante urbano di Prato si fa portavoce di un modello ormai perduto, quello della “città fabbrica”. A sostenerlo è l’architetto pratese Luigi Zola, dal quale riceviamo questa analisi 

Anche se si parlerà della città toscana di Prato, tutto ciò che segue è comune, sotto alcuni aspetti, a molti aggregati urbani. A Prato, paradossalmente, la logica dell’accumulazione, della concentrazione, dello zoning funzionale, è concretamente visibile. Ciò però viene contraddetto in un suo particolarissimo quartiere dal recupero di un’urbanità che sembrava perduta. Di questo luogo non è certo l’estetica dell’ambiente che ci interessa e attrae, ma il suo contenuto microeconomico, sociale e relazionale.

Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola
Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola

Una paradossale e inattuale trasformazione: il Macrolotto Zero di Prato

A Prato il luogo è conosciuto come Macrolotto Zero, ovvero una storica aggregazione di semplici case, fondi commerciali, “stanzoncini” e capannoni industriali di varia dimensione, che raccontano di un originale modello, ormai perduto: la “città fabbrica” pratese. Lì abitare coincideva con il lavorare, con il vivere. Oggi senza rispondere ad un progetto preordinato e regolatore si può osservare una dimensione urbana, un uso dello spazio estremamente interessante che, concretamente, ha qualcosa che nelle metropoli contemporanee non c’è più, qualcosa che fa città. Da qualche anno, con lenta ma progressiva laboriosità, i cinesi che in maggioranza lo abitano, hanno ricostruito, rispondendo a logiche microeconomiche, la propria identità interrotta, e la porzione di mondo che hanno perduto, che abbiamo perduto. Se, seppur straniato, percorri le vie principali – come via Pistoiese o via Filzi – fai un viaggio nel tempo. La vita in queste strade brulica. In un’altra Prato, da ragazzo mia madre mi svegliava presto, dicendo: “Alzati, che la gente ‘alia’ sul Corso“, ovvero “la gente già sbadiglia sul Corso”; al mattino, infatti, le strade erano piene di gente indaffarata e i negozi già aperti e gli artigiani all’opera. Nel Macrolotto Zero, le strade si riempiono sin dal mattino presto; gli slarghi, come piazze virtuali, si animano del vocìo delle persone, nei bassi delle case si aprono negozi, piccoli bar, ristoranti, attività varie. E si rimane sorpresi avendo appena attraversato le vie quasi deserte del centro storico. Lì avverti che si è perduto, risucchiato dal nulla, quel senso di appartenenza che ti avvolgeva, quella piacevole sensazione di essere parte di una comunità, un posto condiviso che ti eri abituato a chiamare città.

Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola
Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola

Antiurbanità insostenibile

Le città contemporanee sono anti urbane, sideralmente lontane dalla polis e dalla civitas. Una realtà che divide, allontana, separa, specializza, disperde, banalizza, rendendo inattuale e inutile l’architettura, che viene utilizzata solo quando funzionale a comunicare la potenza di brand aziendali. Si fa notare esagerando le forme, le dimensioni e i costi, con la proposta di edifici che sfidano i limiti tecnologici e strutturali, o vestendosi, spesso, di un ecologismo di facciata, ma sempre ignorando i contesti e i luoghi nei quali si realizza, negando di fatto sé stessa. La città, prima, era fatta di intrecci, sovrapposizioni, commistioni, mescolanza di funzioni, di micro attività che diversificandosi e distribuendo armoniosamente nelle vie e nelle piazze realizzavano una rete di servizi a supporto ed estensione dell’abitare e del lavorare. Una socialità realizzata, senza la quale la qualità della vita decade. A dare forma ai bisogni c’erano il disegno urbano, l’architettura e le norme che gestivano la distribuzione ordinata dei servizi. La prossimità diffusa tra residenza e servizi rendeva limitata le necessità di spostamenti. Oggi si dimentica la natura sociale dell’uomo e la sua necessità di istituzioni e strutture spaziali che favoriscano il bisogno di condivisione, di contatto fisico, sia nelle relazioni sociali che nell’interfaccia con i servizi, che nessun sistema di comunicazione digitale riuscirà mai a sostituire efficacemente.

L’ “americanizzazione del territorio”

Tutto era prima interconnesso, niente era disperso. Addirittura l’intera vita di una persona poteva svolgersi e ridursi al limitato spazio di un quartiere: si poteva vivere felicemente e lavorare un’intera vita senza uscirne mai. Negli ultimi decenni abbiamo assistito all’ “americanizzazione del territorio”: un modello che nega, consapevolmente, i tradizionali modelli urbani europei. Il gran numero di spostamenti necessari obbliga ad avere grandi infrastrutture stradali. Il traffico viste le limitate risposte che può dare il trasporto pubblico e il conseguente inquinamento prodotto determinano un progressivo e insostenibile degrado della vita urbana. Per porre un argine, a proliferare sono idee e “soluzioni” che vedono nella tecnologia l’unica risposta possibile. Si immaginano iper-tecnologiche smart-city, costosissime nuove linee metropolitane, sistemi tranviari, che come avvenuto, deturpando bellissime città, trasformando le strade banchine ferroviarie. Per contro, iniziative dal basso propongono soluzioni “di urbanistica tattica”, idee creative, interessanti ed economiche, ma gocce di urbanità e socialità diluite nel divisivo e caotico mare metropolitano.

Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola
Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola

La privatizzazione dello spazio pubblico nella città contemporanea

Poche grandi holding finanziarie, posseggono e commercializzano i loro spazi produttivi e commerciali. La privatizzazione dello spazio è un processo che depriva la città della sua condizione di spazio condiviso. Un processo che incide non solo sulla struttura spaziale, ma anche sul senso di appartenenza e sulla coesione sociale che la comunità può più o meno avvertire. Lo spazio pubblico si svuota di senso diventando irriconoscibile. Le architetture rimangono congelate, destinate al silenzio, sostituite in luoghi anonimi dall’abbacinante scintillio dei led. I luoghi destinati al “commercio concentrato” insieme ad altre forme di privatizzazione, supportati da sofisticati sistemi di sorveglianza, riducono lo spazio pubblico, gli spazi di libertà, restringono la possibilità di spontanee attività aggreganti. Ciò sembra svolgersi, naturalmente, in uno spazio immenso di libertà personale ed economica, in una vera (ma, forse, presunta) democrazia realizzata.

Lo svuotamento dei nuclei storici

In realtà è evidente lo sviluppo di un processo monopolistico che contraddice, con evidente paradosso, quanto propagandato, ovvero il nostro vivere contemporaneo dentro un sistema liberista dominato dalla libera concorrenza, dalla possibilità di ognuno di crearsi la sua, più o meno piccola o grande, impresa. In realtà vediamo l’agire di un feroce turbo-capitalismo e la deregolamentazione dei mercati, senza etica e freni morali. Attività spesso piccole o familiari, microimprese che tradizionalmente davano lavoro a più generazioni, loro malgrado, hanno chiuso, soffocate da una concorrenza inarrivabile, avviando il processo di svuotamento e di perdita di senso non solo dei nuclei storici delle città. Questi ora sono divenuti isole pedonali, senza residenti, senza servizi, senza sicurezza. Prima l’intreccio di funzioni e relazioni, costituiva anche la struttura di base del controllo sociale dello spazio urbano. Rendeva possibile il gioco dei bambini nelle strade, perché sempre osservati e controllati attraverso dalle finestre, dagli usci o dalle vetrine degli amici commercianti e dai numerosi passanti. La sicurezza, non necessitava di essere gestita da una qualche autorità o da sofisticati sistemi di gestione e sorveglianza digitale, o peggio da militari per le strade.

Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola
Prato, 7 marzo 2025. Foto Luigi Zola

Mitologie futuristiche, tra l’intelligenza artificiale e smart city

Assistiamo, molto spesso con inconsapevole e a volte con colpevole inerzia, al galoppare pervasivo di idee neo futuriste. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’idea di smart city o dei mezzi di trasporto elettrici e a guida autonoma nascondono elementi di pericolosità per i nostri fragili sistemi democratici che è necessario approfondire. In questo quadro, fondamentali sono le questioni di sostenibilità ambientale che questi sistemi tendono a contraddire. Gestire la mobilità, vista la separazione e distanza tra le funzioni urbane, comporta un uso massiccio di sistemi digitali che hanno un’intrinseca fragilità (basta un blackout elettrico per immobilizzare tutto). Per garantire l’enorme potenza elettrica necessaria bisogna realizzare “data center”, capaci di contenere ed elaborare la crescita esponenziale di dati: per il cloud, per le comunicazioni personali, sociali ed economiche e per il trasporto su mezzi elettrici e/o a guida autonoma. A tal proposito si prevede un rilancio del nucleare elevato ora a “tecnologia sostenibile”. Infine, per raffreddare centrali e data center bisognerà utilizzare enormi quantità di acqua. Le spinte in atto verso la privatizzazione di un bene comune e primario come l’acqua preoccupano non poco. Lasciare tecnologie tanto potenti, o le reti satellitari, come avviene, nelle mani di poche holding finanziarie, prefigura pericolosamente un dispotico e disumano futuro robotizzato e iper controllato.

Ipotesi e sperimentazioni per ristrutturare lo spazio urbano

Di recente, a livello internazionale, sono state proposte nuove ipotesi di lavoro. La ricerca è orientata verso il riequilibrio dei critici sistemi urbani attuali. Abbiamo visto come la città interconnessa (“città di prossimità”), che sembra emergere nel Macrolotto Zero, rimanda a una dimensione urbana quasi scomparsa. Tali caratteri sono riproposti – come fossero una nuova invenzione – nel libro di Carlos Moreno: La città dei 15 minuti. Per una cultura urbana democratica. Scrive Moreno che i servizi e i negozi devono essere vicini gli uni agli altri, in modo che un breve tragitto a piedi o in bicicletta possa servire a realizzare qualcosa nella vita delle persone, che sia utile, istruttivo o ricreativo. In molte città europee e in Italia, con approcci e modalità diverse, si sperimentano interventi orientati a produrre uno spazio urbano più equilibrato e vivibile, dove le infrastrutture e gli edifici si aprono a un utilizzo ricostruttivo. Barcellona, Parigi, Sydney, molte delle città dei Paesi Bassi, propongono strategie ed approcci che è utile studiare. Quanto avvenuto nel Macrolotto Zero, indica una spontanea esperienza di costruzione di un brano di “città di prossimità” non meno interessante.

Macrolotto Zero
Macrolotto Zero

Prato, il Macrolotto Zero e la città di prossimità

È proprio nella tradizionale commistione tra funzioni diverse (industriali, commerciali, di servizio, residenziali, di svago), già presente in passato di questo luogo di Prato dove caoticamente convivevano e convivono, che si colgono indizi e possibilità inaspettate di recupero urbano. In una realtà che non somiglia morfologicamente alla città storica europea, se non per alcuni frammenti, dove l’architettura, nella sua veste migliore, è sostanzialmente assente, inaspettatamente, la città reale dà una risposta. Senza che ci siano interventi, efficaci e calati dall’alto, approfittando dell’assenza di programmi e progetti, stimolata dal bisogno e anche della necessità di esprimere la propria vitalità economica, quest’area si è trasformata dal basso, replicando modalità antiche e microeconomiche. Una realtà che prima dell’arrivo della comunità cinese sembrava destinata a un progressivo degrado e forse a una trasformazione speculativa che le recenti vicende milanesi indicano. Il termine “rigenerazione urbana” pur nelle forme spontanee nelle quali si attua, ad opera della comunità cinese, sembra a chi scrive quella più aderente al termine che la definisce. E ci regala quale speranza.

Luigi Zola

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Libri consigliati:

Carlos Moreno, La città dei 15 minuti. Per una cultura urbana democratica

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Intervista Carlos Moreno

Prato Macrolotto Zerohttps://www.artribune.com/progettazione/architettura/2019/03/intervista-ecol/

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Luigi Zola

Luigi Zola

L’architetto Luigi Zola ha conseguito la laurea a Firenze con relatore Adolfo Natalini. Dopo aver collaborato con alcuni studi, tra cui quelli di Giovanni Michelucci e Bruno Sacchi, trasferitosi a Prato apre il suo studio professionale in città nel 1995.…

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