Chi sceglie cosa è arte. La politica, il mercato o i social network?
Attraversiamo i grandi centri di influenza della società contemporanea per comprenderne il peso quando si tratta di definire cos’è l’arte oggi

L’arte contemporanea, si sa bene, è nata con un proprio particolarissimo peccato originale: dichiararsi arte a discapito di chi non la consideri tale. È da quando il buon Orinale ha mostrato che c’è sempre un giudicante e un giudicato che l’espressione artistica, tra croste e capolavori, solleva il dubbio dell’ignorante o dell’erudito.
Cos’è arte e cosa non lo è?
Nelle sue dimensioni più contemporanee, l’affermazione di ciò che possa essere o non essere considerato arte è ascrivibile, al pari di quanto accade in moltissime altre dimensioni dell’esistenza umana, può essere un’azione ascrivibile a tre differenti tipologie di “centri di potere”: il potere politico, che attraverso la propria influenza può identificare come prioritarie alcune espressioni artistiche a dispetto di altre; il potere economico-finanziario, che attraverso i risultati di mercato può determinare l’ascesa o il declino di un artista; il potere della “moltitudine”, che pur se nel campo dell’arte contemporanea ha sicuramente una scarsa influenza, ha la possibilità di determinare, in pochissimo tempo, una sfera di influenza sicuramente potente.
Il peso della massa nella società contemporanea
Volendo assumere una prospettiva più ampia, una delle più grandi rivoluzioni che sono state introdotte nella nostra società dall’affermazione e dalla diffusione di Internet e, in particolare, dalla diffusione di sistemi di comunicazione in cui chiunque può comunicare tendenzialmente con “tutte” le persone aderenti ad una rete (si pensi ai vari social network, ad esempio), è stata la progressiva erosione del potere di influenza che, nel corso della storia, era stato appannaggio di posizioni elitarie (ecclesiastiche, intellettuali, politiche). Tale passaggio di “influenza” ha generato non pochi cambiamenti in praticamente tutti i settori della vita quotidiana. La “moltitudine” di pareri è divenuta ormai un punto di riferimento costante: dal medico al ristorante, dal negozio alla meta di viaggio, le scelte individuali tengono ormai conto delle scelte e delle opinioni di persone che condividono le proprie esperienze online (il voto degli utenti su IMDB per i film, le attrazioni su TripAdvisor, le votazioni su ristoranti su Google, e via dicendo).
La scomparsa degli intermediari
Accanto a tale processo, l’introduzione di Internet nelle nostre vite ha determinato un altro cambiamento che ha diretta rilevanza in questa riflessione, e che nel linguaggio tecnico è definito come il processo di disintermediazione, azione che, in pratica, porta gli utenti finali a rivolgersi direttamente ai produttori di beni e servizi, riducendo quindi i “passaggi economici” e quindi riducendo il prezzo finale d’acquisto. Uno dei settori che più è stato colpito da questo processo è senza dubbio il turismo: l’acquisto diretto di voli e hotel, talvolta sostenuto da “aggregatori”, talaltra invece sviluppato in completa autonomia da parte dell’utente finale, è ormai divenuta prassi abituale, andando a limitare in modo considerevole la frequenza con cui le persone si rivolgono alle agenzie di viaggio.
L’impatto sul settore dell’arte contemporanea
In che modo tutto ciò può coinvolgere l’arte? Semplice, l’arte, e in particolar modo l’arte contemporanea, è uno dei pochissimi settori in cui i due effetti prima analizzati hanno avuto un impatto soltanto marginale. L’arte contemporanea ha ancora i propri intermediari, e la valutazione dell’arte contemporanea è ancora ampiamente basata su “esperti” che, per lavoro, esprimono pareri, opinioni e riflessioni relative alle proposte artistiche. Oggi non guardiamo la valutazione su Google per decidere se acquistare l’opera di un artista emergente. Non contattiamo direttamente (se non in alcuni casi) un giovane dell’accademia per poter decidere se il suo lavoro e la sua “ricerca” artistica sia coerente con la nostra collezione (esistente o da costituire ex-novo).
Perché in arte ci sono ancora gli intermediari?
Eppure, comparare un’opera da un artista “esordiente” potrebbe generare non pochi vantaggi positivi per il collezionista o l’aspirante tale: un contatto diretto e personale con l’artista; la maturazione di una propria scelta, basata su un sistema valoriale ed estetico personale e meno influenzato da valutazioni di terzi; un acquisto ad un prezzo sicuramente inferiore rispetto a quello che bisognerebbe sostenere presso una galleria. Per quale motivo, dunque, tale azione non avviene o, se avviene, avviene in una quota soltanto marginale dei casi? La risposta più frequente che si suole dare a questo quesito, tutt’altro che nuovo, è legata all’unicità dell’arte, che mal si assocerebbe ad una valutazione collettiva condotta da persone poco esperte o “non accreditate” come aderenti al gruppo degli addetti ai lavori. È così che diviene arte ciò che rientra all’interno di una collezione importante (pubblica o privata) guidata tendenzialmente da professionisti del settore, così come diviene arte ciò che viene indicato come tale da critici, curatori, direttori museali o gallerie che godono di ampia influenza. In altri termini, un numero ristretto di persone esperte, che per professione, disponibilità economico-finanziaria o per una composizione di entrambe influisce in modo considerevole sulla percezione di ciò che è o non è arte.
La distanza tra l’arte e la massa
Questo tipo di approccio, però, contribuisce ad incrementare una importante distanza tra l’arte e la collettività. Distanza che, secondo alcuni, sarebbe anch’essa da ricercare nell’unicità dell’arte come espressione umana, unicità che per propria natura non può interessare ovviamente tutti. Una condizione che sicuramente affonda in un elemento di realtà, ma che tuttavia stride con quanto osservabile in altre espressioni artistiche, come la musica o come il cinema, settori nei quali si contano moltissimi appassionati di ricerche che, quando non apertamente sperimentali e “ostili”, sono comunque incentrate su una valenza estetica ben lontana dal mercato di massa. Se dunque questa interpretazione dei meccanismi di affermazione dell’arte, pur se basata su una convinta (più che convincente) tradizione, non riesce realmente a spiegare il motivo per cui l’arte ha ancora bisogno dei suoi intermediari e dei suoi esperti, quali possibili interpretazioni alternative?

Il peso del mercato dell’arte
Una possibile, in realtà, c’è, ma potrebbe risultare poco piacevole per chi è appassionato al mondo dell’arte o per chi ne fa parte. Se guardiamo al sistema artistico nel suo complesso, troviamo da un lato persone che producono arte (sono gli artisti), dall’altro persone che comprano arte (collezionisti), affiancati da ben più numerose persone che guardano arte (visitatori di gallerie, fiere, musei, ecc.), e da altrettanto numerosi intermediari ed esperti. Chi vuol comprare arte, al di là degli aspetti più prettamente concettuali, ha anche piacere che l’opera acquistata abbia un valore crescente: non soltanto per una dimensione prettamente economico-finanziaria, ma anche per una soddisfazione personale che affondi nella consapevolezza di aver acquistato un’opera “che vale” (siamo esseri umani, dopotutto, e i rinforzi positivi funzionano sempre sulla nostra specie). Se tuttavia, nell’universo-mondo dei potenziali artisti esordienti, chi stabilisce se un artista ha valore o meno è quella trafila di esposizioni, critiche, acquisti, passaggi in collezioni importanti e retrospettive, che in una parola sono il “prodotto” del mondo dell’arte, allora è naturale che chi intenda acquistare arte, abbia davanti a sé due scelte principali: la linea della disintermediazione, che tuttavia può ben riuscire a chi decide di non seguire le indicazioni del “mercato” o al contrario a chi le indicazioni del mercato è in grado di influenzarle, o la linea dell’acquisto all’interno di una “catena di produzione” controllata e garantita, che equivale in altri termini al bollino blu delle Chiquita.
Il ruolo della politica e di Internet
La politica, in questo senso, può ben poco: perché sicuramente ha dalla sua la capacità di influenzare mostre ed esposizioni (qualcuno ha detto Futurismo?), ma è anche vero che, nella nostra storia recente, si è assistito molto spesso ad un’arte pubblica decisamente discutibile, in cui la ricerca artistica abdicava alla propaganda. Ci sono stati, a dire il vero, tentativi di sovvertire questo tipo di organizzazione, e tra questi l’epica degli NFT ha rappresentato forse l’apice più interessante. Ma si tratta di dinamiche che si prestano al mondo online, e l’arte ha ancora, per fortuna, bisogno di materia pigmenti e volumi. Al di là di questa peculiare iniziativa, più che a vere e proprie “rivoluzioni”, il sistema dell’arte si è adattato alle funzionalità offerte dal mondo dell’online, come nel caso delle gallerie che hanno fatto del proprio sito web una sorta di “off-gallery”, in cui circuitano artisti a prezzi decisamente più bassi di quelli trattati in galleria, ma che comunque hanno il “bollino blu”, anche se è un bollino un po’ più piccolo. Difficile trovare, in un sistema così ben strutturato, un orinatoio che venga a mettere in discussione le convenzioni e le convinzioni. Se mai si trovassero delle teste di Modigliani, oggi, si renderebbero artisti gli studenti, così da non dover ammettere la beffa.
Stefano Monti
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