A Londra c’è la più grande eredità di Aby Warburg
Tra i più influenti studiosi delle immagini del Novecento, Aby Warburg ha cambiato il modo di intendere la storia dell'arte. L'Istituto Warburg a Londra ne tiene viva l'eredità

Il mitico Istituto Warburg non smette di meravigliare. La recente rinascita della singolare istituzione, gestita per molti decenni da una comunità internazionale e interdisciplinare di studiosi, quasi a sorpresa, è riuscita non solo a difendere, ma anche a rilanciare la sua missione che va molto oltre la pur celebre biblioteca, fondata dallo studioso Aby Warburg nel 1900. Soltanto cinque anni dopo la morte del suo fondatore nel 1929, i fedelissimi curatori della raccolta di circa 80mila libri, cacciati dalla Germania nazista, riuscirono a fuggire da Amburgo a Londra mettendo in salvo se stessi, la biblioteca e un bagaglio di idee che nel tempo hanno fiorito rivelando la loro fecondità.
La Biblioteca di Aby Warburg
Nel 1944, l’Università di Londra sottoscrive un contratto con la famiglia Warburg in cui l’Università s’impegna a mantenere in perpetuità la Biblioteca e il comitato di gestione, in pratica gli studiosi scampati al regime. Erede di una famiglia di banchieri, Aby da subito prega la famiglia di lasciargli l’agio di seguire la sua naturale inclinazione di studioso, concedendo, si racconta, la primogenitura al fratello Max in cambio di un “rifornimento illimitato di libri”.
Comprendere la complessa eredità di Warburg e soprattutto capire la resilienza nel tempo dell’Istituto che porta il suo nome, non è facile, anche perché le diverse interpretazioni del suo pensiero cominciano già dalla cerchia dei suoi collaboratori più intimi: il giovane austriaco Fritz Saxl incaricato di dirigere la Biblioteca quando Warburg era ricoverato in clinica per depressione, Gertrud Bing sua stretta collaboratrice e direttrice della Biblioteca a Londra, e Edgar Wind storico dell’arte inglese espulso dal gruppo nel 1945.

Aby Warburg nella lezione di Monica Centanni
Secondo alcuni studiosi italiani che si raggruppano intorno a una rivista open access engramma – tra i quali Monica Centanni, Salvatore Settis e Maurizio Ghelardi – la comprensione dell’importanza del pensiero anticipatore di Warburg è stato inficiato dalla mancata empatia di Ernst Gombrich, chiamato a occuparsi delle sue carte dopo la morte di Aby. Viene accusato soprattutto di non aver compreso la visionarietà della sua opera principale, Mnemosyne, dichiarando apertamente il suo disorientamento nella Biografia Intellettualededicata alla sua figura.
La lezione più importante di Warburg, secondo Centanni, non sta soltanto in ciò che ha scritto, ma soprattutto nella costruzione di una topografia concettuale e materiale diversa, diventando un punto di riferimento quasi unico nell’universo degli studi umanistici occidentale, attraverso due strumenti principali: la Biblioteca e l’Atlante Mnemosyne.
Le immagini secondo Aby Warburg
Warburg è affascinato dalle immagini, dal rapporto sfuggente tra forma e significato, ma anche dai riti collettivi, dalla storia delle religioni e dal mondo classico e le sue ridefinizioni nel tempo. Anticipatore di un approccio che si svilupperà pienamente soltanto negli anni a venire, attraverso letture trasversali, nuove forme di indagine sugli slittamenti di senso, la ricerca semiotica, l’antropologia, l’etnologia, l’iconografia e non ultimo la psicanalisi, Warburg spazia oltre le separazioni specialistiche difese con tanta energia dai “poliziotti dei confini disciplinari” (gli storici dell’arte in primis), pur salvando un rigore filologico nella ricerca delle fonti.
Warburg mette il dito nella piaga del nostro sapere tout court, ponendosi domande che nessuno ha affrontato in maniera così diretta. Per esempio, come conciliare il dialogo tra le superstizioni astrologiche e una visione cosmica moderna, scientifica? Forse un episodio in particolare potrà illustrare bene le passioni culturali di Warburg. Mentre era ricoverato nella clinica psichiatrica di Kreuzlingen sul lago di Costanza, Warburg incontra Ernst Cassirer, all’epoca professore di Filosofia all’Università di Amburgo. Il tema dell’incontro era l’interesse comune per la genesi della moderna immagine del cosmo. Ossia nelle parole concise di Claudia Wedepohl, studiosa warburghiana, “del momento della transizione dalla speculazione al calcolo”. L’affermazione dell’immagine dell’ellisse su quella del cerchio come raffigurazione geometrica dotata di significato nella raffigurazione dei pianeti avviene per la scienza moderna con Keplero, astronomo tedesco, che nel 1608 stabilisce che le orbite dei pianeti del sistema solare sono ellittiche. Ma gli studi filologici di Warburg insieme a Cassirer riuscirono a stabilire che l’intuizione di tale verità arrivò a Keplero da fonti molto lontane, addirittura da Le Coniche, capolavoro giunto fino a noi di Apollonio di Perga, geometra del III secolo avanti Cristo, intuizione oscurata per secoli dall’inarrestabile tramonto del Mondo Antico.
Aby Warburg e il suo tempo
La passione per la storia delle idee di Warburg non sfocia mai in un quadro tutto d’un pezzo di un’epoca, come quella rinascimentale narrata da Jacob Burkhardt, uomo dell’Ottocento, abitato da concetti quali il genio individuale dell’artista in un mondo occidentale sempre più individualista e positivista. Warburg scriveva mentre il mondo gli crollava letteralmente addosso (non a caso viene ricoverato in clinica per depressione dopo la sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale); vedeva Storia e Valori in disfacimento, nella crescente inciviltà.
Perché alcuni eventi sono ricordati e altri dimenticati? La curiosità di Warburg è per come i fatti e le immagini vengono interpretati e trasmessi. In queste operazioni gli “appigli”, le iconografie, i simboli, le immagini visive, sono strumenti della memoria di importanza fondamentale.
La Biblioteca ormai immensa, di circa 350mila libri, rizomatica nella sua crescita, gestita da esimi studiosi che sono anche bibliotecari, ha una classificazione del tutto irrituale, e rappresenta il cuore pulsante dell’Istituto. Tuttora organizzata secondo quattro concetti chiave: Immagine, Parola, Orientamento e Azione, i libri sono collocati su scaffali aperti rispettando delle categorie e sottocategorie ma privi di numerazione, accessibili alla consultazione diretta da parte dei visitatori, secondo un principio di “buon vicinato”, modalità generativa di nuove associazioni d’idee per chi li consulta.
La memoria delle immagini: l’Atlante Mnemosyne
Mnemosyne, ossia il Bilderatlas, è sicuramente la sua opera più discussa che forse soltanto oggi potrà trovare finalmente un suo riscatto. Si tratta, in grande sintesi, di pannelli di fotografie di opere rinascimentali e del mondo antico, sculture, dipinti, affreschi, motivi decorativi, icone ricorrenti, ritagli di giornali, e persino immagini pubblicitarie affiancati con l’intento di farli dialogare direttamente. La memoria è dunque concepita non in termini lineari o storici, ma attraverso salti, rimozioni, in una sorta di stratificazione di rimandi. In questo suo non metodo che assomiglia piuttosto a un work in progress o laboratorio, accoglie e indaga le immagini alla stessa maniera di Freud che era soltanto dieci anni più vecchio di lui.
Il rinnovato Istituto Warburg di Londra
Il progetto di rinnovamento e restauro della sede dell’Istituto Warburg a Woburn Square, dopo un fundraising che ha fruttato oltre circa 14,5 milioni di sterline trovate in campo internazionale, guidato da Bill Sherman, ex curatore del Victoria&Albert e direttore dell’Istituto dal 2017, ha portato l’Istituzione a ricoprire quel ruolo vocazionale di ricerca, incontro e dialogo che nessun’altra istituzione accademica ricopre. Un programma di rilancio realizzato in sei anni, progettato con cura ha ripristinato e allargato gli spazi dell’Auditorium e delle docenze, aggiungendo una sala mostre e persino un public program di residenze di artisti!
Dopo la prima mostra Memory and Migration, seguirà a febbraio Tarot: Origins and Afterlives. A settembre verranno presentati una mostra e un film intitolati Black Atlas, commissionati dal Warburg Institute a Edward George del Black Lives Film Collective, realizzati in collaborazione con la Menil Archive e la sua collezione sterminata di immagini dedicate alla rappresentazione dei popoli di origine africana, nell’arte occidentale. Finora soltanto un piccolo saggio di progetti preziosi che avranno il respiro di una scholarship internazionale, fondati su una modalità di indagine che potrà portare molte intuizioni e scorci di verità nella nostra cultura visiva contemporanea, spesso così asfittica e priva di orientamento.
Anna Detheridge
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