La rivoluzione museale dell’Arabia Saudita è in partenza a Riyadh
Con circa 20 nuovi musei previsti entro i prossimi tre anni, l’Arabia Saudita punta a costruire una rete di istituzioni in grado di valorizzare il suo patrimonio culturale. Siamo stati a Riyadh per scoprire tutte le novità di un Paese sempre più al centro dei radar dell’arte contemporanea

“Non tornerò mai, perché mai si torna” recita un video-meme dai toni eraclitei, divenuto virale sui social qualche anno fa. Non tutti sanno che, in realtà, sono versi di una poesia di Fernando Pessoa. Parole sempre vere, certo, ma ancora più vere se scritte su un pc a 10mila metri da terra, su un volo di ritorno da Riyadh. Visitare la capitale saudita in questo momento storico significa disporsi a conoscerla ogni volta per la prima ed ultima volta: qualunque ritorno, da questo momento fino almeno al 2030 (quando ospiterà l’EXPO e si concluderà il grande progetto di trasformazione dell’Arabia Saudita promosso dal principe Mohammed Bin Salman), avrà il sapore, in realtà, di una nuova scoperta.
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La trasformazione di Riyadh
Poche città al mondo stanno cambiando tanto in fretta quanto Riyadh; non a caso, è la capitale di un Paese che nell’ultimo decennio ha intrapreso una metamorfosi senza precedenti nella sua storia, sotto molti aspetti chiave. Dall’economia alla società, dall’architettura al turismo, fino ai settori che mi hanno portato tra le palme di Riyadh: l’arte e la cultura. Una parola, quest’ultima, davvero nuova per il vocabolario politico-istituzionale saudita: il Ministero della Cultura, infatti, è stato istituito solamente nel 2019, a partire da una costola di quello del Turismo. Un nuovo assetto che si è concretizzato in undici commissioni speciali dedicate ai diversi campi della cultura: arti visive e performative, musica, editoria e letteratura, moda, cinema, architettura, gastronomia, patrimonio storico. E infine una commissione trasversale, la Commissione Musei, che si occupa di come la cultura araba possa essere veicolata nella sua complessità. E non si può dire che in questi non si stia dando da fare per progettare, inaugurare e gestire le istituzioni museali saudite: “Entro il 2028”, ci racconta la Commissione Musei, “il Regno disporrà di 24 musei distribuiti capillarmente in tutte le regioni”.
La storia dell’Arabia in due musei di Riyadh
Cinque di questi musei, situati a Riyadh e a Jeddah, sono già operativi. Nel cuore del distretto storico della capitale (che prende il nome di Al Murabbah), il Museo Nazionale racconta la storia naturale e antropologica del Regno, a partire da un meteorite rinvenuto nel deserto che occupa le regioni più meridionali dell’Arabia. Anche la Fortezza Al Masmak (residenza dell’imam Abdullah bin Faisal e centro governativo nel XIX Secolo) è stata poi convertita in museo nel 1995, e oggi costituisce uno dei migliori luoghi per conoscere la storia politica del Secondo Regno Saudita.

Il distretto di Diriyah e i suoi musei
È però a Diriyah, centro urbano appena a Nord-Ovest di Riyadh, che la città sta concentrando i maggiori sforzi progettuali e gli investimenti. Si tratta di un’area estremamente importante per l’Arabia Saudita e la sua storia: fu qui, e in particolare nel distretto oggi sito UNESCO di At-Turaif, che venne fondato il Secondo Regno Saudita, un evento ben raccontato dalla mostra allestita all’interno del suggestivo Palazzo Salwa, che troneggia sul sito dal 1765. Ma l’attenzione dell’Arabia per Diriyah non è solamente legata al suo celebre passato: l’obiettivo è trasformare l’intero distretto nella capitale culturale del Regno. È questo il motivo per cui oggi, estendendo lo sguardo al di là dei resti di Palazzo Salwa, è impossibile non notare le decine di altissime gru impegnate a portare Diriyah nel futuro: il progetto, che impiega la cifra monstre di oltre 62 miliardi di dollari, prevede di trasformare l’area in un polo culturale, turistico e residenziale di cui oggi è possibile avere un assaggio. In molti potrebbero storcere il naso di fronte ad un effetto Disneyland, non tanto per i molti hotel e ristoranti che stanno aprendo, quanto per la volontà di costruire evocando uno stile architettonico storico che appare necessariamente fittizio: la verità è che, osservando quanto realizzato finora, l’esperienza complessiva è coerente, sottolineando quanto la necessità di “autenticità” dell’occhio occidentale sia più che altro pretenziosa.

Il Diriyah Art Futures
Al rischio di un’eccessiva turistificazione dell’area, Diriyah risponde dunque con l’ibridazione temporale: la scelta di inserire all’interno del suo distretto più storico un hub culturale – come il Diriyah Art Futures – dedicato all’utilizzo dei new media nell’arte contemporanea, conferma una visione tutt’altro che passatista del patrimonio, che invece è attivato dall’integrazione con il futuro anche dal punto di vista architettonico. È dello studio romano Schiattarella Associati il progetto del nuovissimo museo che, pur integrandosi nelle forme naturali del Wadi, non rinuncia a forme e materiali avveniristici.

JAX District: l’hub creativo di Diriyah
A Nord-Est di At-Turaif, il JAX District si sta rivelando sempre più un luogo di sperimentazione e produzione culturale. Qui, in un contesto più industriale rispetto a quello a cui ci avevano abituato altre zone di Diriyah, trovano sede alcuni dei musei e degli studi d’artista più attivi della capitale. A guidare la proposta culturale del distretto è il SAMoCA@Jax, kunsthalle priva di una collezione permanente (che sarà invece ospitata nel nuovo SAMoCa, la cui apertura è prevista entro tre anni), ma decisamente attiva nella produzione di esposizioni dedicate alla promozione dell’arte contemporanea saudita.

La mostra “Art of the Kingdom” al SAMoCA@Jax
Attualmente in corso negli spazi della kunsthalle, la mostra Art of the Kingdom: Poetic Illuminations è la seconda tappa (dopo il debutto brasiliano) di una mostra collettiva di 17 artisti provenienti dalla regione araba. La mostra, aperta fino al 24 maggio, proseguirà poi il suo viaggio a Pechino. Differenti per generazione, medium e ricerca, gli artisti selezionati esplorano nuove interpretazioni dell’identità araba, senza dimenticarne le radici: a partire dall’opera al neon di Nasser Al Salem, posta in apertura della mostra, che solo tramite l’accendersi e spegnersi di un segno diacritico trasforma la parola Arabi (“arabo”) in Gharbi (“occidentale”). Si prosegue con l’imponente scatto di Ahmed Mater, che ritrae La Mecca al crepuscolo, e con la serie fotografica The Last Tashahhud di Moath Alofi, dedicata alle modeste moschee del deserto, realizzate per offrire rifugio ai viaggiatori. Il deserto è presente, nel suo elemento principale, anche all’interno del lavoro di Muhannad Shono: cilindri di sabbia che girando si sfregano e si disgregano l’un l’altro raccontano poeticamente lo scorrere del tempo e il ritorno a una dimensione di originaria informalità. Spicca poi la grande installazione di Lina Gazzaz, che recupera foglie di palme secche e dona loro nuova vita, ibridandole al tessuto ed allestendole in modo da favorire la creazione di ombre di grande impatto. A concludere la mostra, l’installazione immersiva dall’estetica videoludica di Basmah Felemban e l’opera video in tre canali di Ayman Zedani, che parte dalle caratteristiche naturali del paesaggio arabo per immaginare nuovi orizzonti di sviluppo della vita, in chiave postumana e non antropocentrica.

Nuovi musei per i cittadini sauditi
Negli scorsi anni abbiamo attentamente seguito gli investimenti museali dei vicini Emirati Arabi Uniti, ma non possiamo dire, rispetto all’Arabia Saudita, di trovarci di fronte ad un processo analogo. E infatti l’operazione attualmente in corso nel Regno si differenzia da quella di Dubai o Abu Dhabi tanto nel target quanto negli obiettivi: nessuno dei musei in procinto di aprire i battenti è affiliato alle grandi istituzioni museali occidentali, a differenza da quanto è accaduto ad Abu Dhabi con il Louvre prima e con il Guggenheim poi. Il primo pubblico dei nuovi musei sauditi, infatti, non sono tanto i turisti, quanto i cittadini: l’Arabia Saudita, dopotutto, è un Paese di oltre 30 milioni di abitanti. Sono loro i primi interlocutori della Commissione Musei, il cui obiettivo principale è rendere disponibile ai cittadini il loro stesso patrimonio. A tal proposito, sta lavorando all’apertura di 11 musei regionali, ciascuno dedicato alla specialità (artistica, architettonica, gastronomica…) del luogo in cui si trova. Una costellazione di istituzioni che connetterà tutto il Paese attraverso le sue peculiarità culturali e produttive: dalle perle all’incenso, dalle api alle architetture vernacolari, senza dimenticare i datteri e i cammelli.
I prossimi grandi musei di Riyadh e Jeddah
Anche – e soprattutto – le grandi città del Regno si stanno dotando di istituzioni museali di primo piano e dal taglio estremamente caratteristico: oltre al Museo delle Culture del Mondo – che troverà spazio nel King Salman Park, parco cittadino in fase di costruzione nel cuore di Riyadh per un totale di 16 km2 (cinque volte la dimensione di Central Park a New York, per intenderci) – l’altra grande novità è il Museo dell’Oro Nero, la cui apertura è prevista a fine 2025. Come suggerisce il nome, il museo approfondirà la relazione controversa tra essere umano e petrolio, soprattutto attraverso i contributi di artisti internazionali che negli anni hanno interrogato questo materiale nelle loro opere. A Jeddah invece, principale porta d’accesso alla Mecca per i pellegrini di tutto il mondo, sorgerà il Museo del Mar Rosso: un luogo interdisciplinare dalla collezione vastissima, per indagare gli intrecci fra il patrimonio culturale e quello naturale di un’area tanto ricca di storia quanto lo è il Mar Rosso. Il museo sarà ospitato nello storico palazzo Bab Al Bunt, che nei secoli ha offerto riparo ai pellegrini in attesa di raggiungere la Città Santa.

Riyadh, l’ortogonale
Difficile condensare in poche pagine tutte le suggestioni che l’Arabia di oggi è in grado di generare. Ancora più difficile è fissare con le parole un fermento che non conosce stasi. Forse può aiutare sapere che Riyadh intrattiene un rapporto peculiare con l’ortogonalità: da un lato la città, attraversata da grandi carreggiate che per ampiezza sono tranquillamente paragonabili alle nostre autostrade, è urbanisticamente organizzata su un modello a scacchiera; dall’altro, all’infinita pianura del deserto che lo circonda, risponde con avveniristici grattacieli e, soprattutto, con le gru che li costruiscono. Decine di gru, centinaia di gru che si stagliano all’orizzonte, in una selva di acciaio ancora più impressionante se scorta oltre i muri secolari di palazzi d’argilla.
Alberto Villa
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