
La mostra Ya’aburnee dell’artista italo-tunisinaMonia Ben Hamouda (Milano, 1991) è un’esperienza immersiva che invita il pubblico a riflettere sulla condizione umana, sull’amore, sul sacrificio e sul rapporto tra storia e identità. Curata da Anissa Touati e ospitata presso la Selma Feriani Gallery di Tunisi, la mostra si svolge in uno dei luoghi più prestigiosi dell’arte contemporanea del Nord Africa. Progettato dall’architetto Chacha Atallah, l’edificio si estende su 2000 m², di cui 800 m² sono dedicati a spazi espositivi di alta qualità museale, dislocati su tre ampie sale. La galleria, che promuove una rete culturale di rilevanza internazionale, si distingue non solo per la sua architettura, ma anche per l’impegno nelle iniziative pubbliche ed educative, con un’attenzione particolare alle comunità locali. Il suo ruolo di centro culturale è stato recentemente riconosciuto dall’Ambasciata d’Italia e dall’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi, che hanno scelto di diventare partner istituzionali della mostra, contribuendo così a rafforzare i legami culturali tra Italia e Tunisia.
Il titolo e i temi della mostra di Monia Ben Hamouda a Tunisi
Ya’aburnee, la mostra di Monia Ben Hamouda, visitabile fino al 19 aprile 2025, prende il titolo dal concetto arabo che si traduce con “mi seppellisci“, esprimendo il desiderio altruista che una persona cara viva più a lungo di noi. “Il titolo può risultare difficile da comprendere per chi non parla arabo” racconta l’artista “Ya’aburnee può essere tradotto come ‘spero di morire prima di te, perché non potrei sopportare di doverti seppellire’”. Un tema ricorrente è proprio quello dell’amore e del sacrificio, che Ben Hamouda esplora attraverso una combinazione di pittura, scultura e suono, destabilizzando il nostro rapporto con lo spazio. “Mi aveva colpito il fatto che la galleria fosse strutturata in un modo che mi ricordava molto gli ambienti di una moschea, un luogo sacro con colonne e mezzanino. Il mezzanino, in particolare, è spesso il posto dove vengono un po’ rilegate le donne, almeno è così che lo ricordo dalla mia infanzia” spiega. Un aspetto centrale di Ya’aburnee è l’uso del suono, che accompagna lo spettatore attraverso le registrazioni provenienti da due moschee, che si mescolano a suoni di annunci pubblici urgenti, creando un paesaggio sonoro inquietante. Le vibrazioni, molte delle quali registrate a Gaza, pervadono le sale e amplificano il senso di disagio e di consapevolezza di un mondo in continua tensione. I suoni familiari, che ricordano la chiamata alla preghiera, diventano una melodia allarmante, evocando la fragilità del nostro presente.





I dipinti di Monia Ben Hamouda a Tunisi
Al piano terra, l’installazione più suggestiva consiste in nove dipinti disposti sul pavimento come tombe. “Ho voluto ricordare i cimiteri in Tunisia, come quello di Kerouane, dove andavo da bambina con mia nonna, un luogo fatto di tombe disposte in modo asimmetrico”, spiega. Realizzati con spezie, terre e argille provenienti dalla Tunisia, questi dipinti evocano odori familiari che collegano alla memoria del luogo, anche per chi non vi è mai nato. L’uso di materiali naturali legati alla terra, insieme alla composizione simbolica dell’opera, evoca una riflessione sull’identità e sull’attaccamento alla madrepatria, temi centrali anche in relazione alla situazione politica in Palestina, dove la natura ciclica del conflitto ha trasformato la terra in luoghi di trauma storico. L’artista solleva domande profonde sulla preservazione delle proprie origini e della memoria di fronte allo spossessamento.
Lo scorso gennaio, Ben Hamouda ha vinto la quarta edizione del MAXXI Bulgari Prize con la sua grande installazione Theology of Collapse (The Myth of Past) I – X. Questo prestigioso riconoscimento, nato nel 2018 dalla collaborazione tra il museo romano per le arti del XX e XXI Secolo e la maison Bulgari, ha l’obiettivo di sostenere e promuovere i giovani talenti nel panorama dell’arte contemporanea.
Anche in questo caso, l’opera è composta da dieci pannelli in ferro intagliati al laser con motivi ispirati alla calligrafia islamica e alle moschee, e si distingue per l’uso di spezie, conferendo alla galleria del MAXXI di Roma una dimensione rituale.
Quando le viene chiesto il motivo della vittoria del Bulgari Prize, al di là di quello ufficiale conferitole dalla giuria, Monia Ben Hamouda risponde in modo sincero: “È una bella domanda. Penso che abbiano visto un grande salto in avanti, una maturazione, nella mia ricerca. Ovviamente, ci sono anche motivazioni politiche che influenzano certe scelte, e il mio lavoro, come molti altri, ha anche una valenza politica”.
Innegabile è infatti la connessione con il nostro presente sociopolitico e la capacità della sua arte di fare da ponte tra diverse realtà. “In Italia, c’è una crescente attenzione verso artisti che, come me, portano un discorso che ora può essere ascoltato, finalmente. Io stessa, nei primi anni della mia carriera, ho avuto molta più visibilità all’estero”. racconta Monia. “Non è un caso che, mentre prima ero poco conosciuta, ora c’è un vero e proprio interesse per il mio percorso artistico. Sono consapevole della sua valenza politica, ma spero che il mio lavoro venga apprezzato per la sua formalizzazione, per l’approccio ai materiali, la potenza comunicativa e la sua capacità di emozionare. Nonostante tutte le sovrastrutture politiche, quello che conta per me è che il mio percorso artistico parli e raggiunga il pubblico”.

Monia Ben Hamouda e l’Italia
Monia Ben Hamouda, esplora attraverso il suo lavoro la ricchezza della sua identità interculturale. Le sue origini italiane e tunisine si fondono nei suoi progetti, dove i codici estetici tradizionali vengono reinterpretati in modo simbolico. Ma a questo punto ci si chiede dove sia l’Italia nel suo lavoro. “L’Italia è nel mio approccio al colore e alla materia. I colori saturi, velati da una patina, creano un senso di stratificazione, di polverosità, che richiama l’idea di una storia, di un passato che si svela lentamente. Vista dall’alto, dallo spazio del mezzanino, le tavole dipinte del piano terra sembrano un po’ gli scavi di Pompei. A dispetto della Tunisia, dove tutto è realizzato in mattone, ho voluto ricreare un effetto di pareti dipinte”. L’Italia, pur essendo presente nella sua arte, si manifesta in modo sottile, come qualcosa che debba anch’esso essere “scavato” per essere compreso.
Arianna Piccolo
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