Le metamorfosi di Carlo Carrà

La Fondazione Ferrero di Alba rende omaggio a Carlo Carrà. Con una mostra antologica che copre la sua intera carriera artistica, fatta di una miriade di incarnazioni e stili che si compenetrano l’un l’altro. Fino al 27 gennaio.

A quasi vent’anni dall’ultima importante retrospettiva dedicata all’artista, tenutasi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1994, la Fondazione Ferrero di Alba riporta alla ribalta la pittura metamorfica di Carlo Carrà (Quargnento, 1881 – Milano, 1966), raccogliendo una ricca collezione di dipinti che spazia lungo tutta la sua carriera artistica, dal 1881 fino a pochi mesi prima della morte.
Il pregio principale della mostra, curata da Maria Cristina Bandera, è senz’altro quello di presentare l’artista in tutte le sue numerose incarnazioni. Si parte dal Carrà del divisionismo postimpressionista, che segna il passaggio tra il XIX e il XX secolo, in cui, oltre al tratto francese, è forte l’influenza di Turner, come testimonia l’affascinante dipinto Uscita dal teatro, del 1909, intriso di chiazze di luce che si rifrangono sugli scialli che tramutano i corpi in fantasmi galleggianti su di un selciato acquoso.
Non potevano poi mancare i successivi periodi futurista, cubista e metafisico, e ciò che stupisce maggiormente è scoprire come l’artista sia sempre stato in grado di dar forma ad almeno un capolavoro per ognuna di queste correnti, così apparentemente distanti l’una dall’altra. Ciò che mi ha detto il tram (1911) non raggiunge la perfezione compositiva del coevo I funerali dell’anarchico Galli, custodito al MoMA di New York, cionondimeno è, sin dal titolo, una riuscitissima sintesi della poetica e dell’estetica futurista; tanto quanto Ritmi e oggetti (1911) lo è della lezione di Picasso e Braque, la cui scomposizione geometrica dell’immagine è filtrata attraverso un uso personale di linee curve e sinuose. Si giunge poi alla maturità, in cui forte è l’influenza di Morandi, sia nelle nature morte, che nei paesaggi caldi e silenziosi in cui le case e gli edifici perdono qualsiasi connotazione umana, quasi fossero formazioni rocciose spontanee che intervallano il verde opaco dei campi e dei boschi (San Giacomo di Varallo, 1924).

Carlo Carrà con Roberto Longhi 1935 Le metamorfosi di Carlo Carrà

Carlo Carrà con Roberto Longhi, 1935

Il rischio che, a causa di questa estrema poliformia, Carrà possa passare per un semplice copista, seppur talentuosissimo, svanisce nel momento in cui i dipinti vengono osservati con la dovuta attenzione. I vari periodi trattati dalla mostra attraverso le oltre settanta opere presenti non soffrono di distacchi drastici, ma si compenetrano al punto che, in un lavoro nel 1934, intitolato Partita di calcio, uno sfondo divisionista, precedente di un quarto di secolo, è attraversato da un incrocio di corpi che incarnano il movimento, la forza e la velocità futuristi, il tutto tradotto in un linguaggio realista, magico e poetico, che è quello tipico degli Anni Trenta dell’artista, che era convinto sostenitore dell’idea secondo cui “per lo spirito non esistono contraddizioni, ma trasformazioni e sviluppi; mutare una direzione in arte non significa rinnegare tutto il passato, bensì allargarlo fino a compenetrarlo con un altro concetto estetico, scoprire nuovi rapporti ignoti, aprir meglio gli occhi per comprendere una somma maggiore di realtà”.

Andrea Rodi

Alba // fino al 27 gennaio 2013
Carlo Carrà
a cura di Maria Cristina Bandera
FONDAZIONE FERRERO
Strada di Mezzo 44
0173 295259
[email protected]
www.fondazioneferrero.it

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Andrea Rodi

Andrea Rodi

Andrea Rodi nasce a Chieri (TO), nel 1980. Prima di laurearsi in Filosofia presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi sulle influenze filosofiche nell’opera dello scrittore americano Paul Auster, ha vissuto per lunghi periodi negli Stati Uniti, a…

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