Che contributo danno le Regioni italiane alla cultura?

Anche quando qualche regione si è mossa in maniera proattiva, all’insegna della qualità e profondendo investimenti di impatto, le motivazioni di base sono state personalistiche. Ma di chi è la colpa?

L’inizio dello scorso marzo 2025 si è contraddistinto su Artribune all’insegna di una serie di articoli nati per criticare un’operazione di arte pubblica a Firenze e finiti per riflettere sul ruolo della Regione Toscana circa le politiche culturali del territorio.
Si tratta di un’ottima occasione per ragionare più in generale sul contributo che oggi le Regioni italiane danno alla valorizzazione e alla tutela del patrimonio culturale. Si scoprirà probabilmente che la Toscana non è l’unica regione che interpreta questo compito in maniera discutibile. 

Le regioni italiane, la cultura e la politica

Nate nel 1970 per favorire un serio decentramento delle funzioni e dei poteri sul territorio, le Regioni hanno passato fasi alterne riguardo al loro rapporto con la cultura. Spesso armonizzate non con le reali esigenze del territorio e coordinate con gli altri enti locali ma appiattite sui gusti e sui personalismi del presidente di turno. Le Regioni, ancorché previste in Costituzione, sono nate solo nel 1970 e il loro ruolo sulla cultura ha immediatamente subìto un rallentamento già nel 1975 quando nacque il Ministero dei Beni Culturali che per certi versi centralizzò di nuovo alcune funzioni e decisioni. Ad un livello amministrativo inferiore poi le Regioni hanno comodamente demandato ai Comuni (peraltro sempre più fiaccati da risorse insufficienti e da tagli decisi a Roma) l’onere di organizzare mostre, produrre cultura, promuovere teatri e biblioteche, proporre stagioni estive, gestire musei e farne nascere di nuovi. 

Gli eventi culturali e la gestione pubblica

Dunque, le Regioni – strette tra la presenza dello Stato e la riconoscibilità da parte dei cittadini dei Comuni – cosa fanno se si parla di cultura? Spesso appunto si trovano a disposizione un margine di manovra eccessivo ed una scarsa attenzione mediatica che le porta a fare quel che è si è visto a Firenze: eventi scadenti privi di un coordinamento e di una linea scientifica. Oppure orientando lauti finanziamenti su contenuti di interesse del presidente in carica pro tempore.
Anche quando qualche regione si è mossa in maniera proattiva, all’insegna della qualità e profondendo investimenti di impatto, le motivazioni di base sono state personalistiche. Non scelte strutturali o statutarie, ma decisioni del singolo principe che in quel momento aveva deciso così. È il caso senz’altro della Campania di Bassolino o della Puglia di Vendola solo per fare due esempi.

Restauri alla Reggia di Caserta. Ph. credits Reggia di Caserta
Restauri alla Reggia di Caserta. Ph. credits Reggia di Caserta

I casi di Michele Coppola e Mauro Felicori

E si noti come il riferimento è sempre il presidente dell’ente piuttosto che l’assessore alla cultura che molto spesso neppure c’è, come nel caso della Toscana di cui abbiamo parlato nei giorni passati. Un caso in senso contrario è stato Michele Coppola il quale, ancora under 40, svolse il suo di assessore alla cultura nella Regione Piemonte prima di buttarsi nell’avventura delle Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo. Ma anche, più recentemente, di Mauro Felicori che dopo aver diretto brillantemente la Reggia di Caserta venne scelto da Bonaccini all’assessorato alla cultura della Regione Emilia-Romagna. 
Casi sporadici ed eccezioni che confermano la regola a fronte di intere regioni importantissime per la società, la politica e l’economia italiana che quando si parla di cultura nella migliore delle ipotesi scompaiono. E nella peggiore inanellano figuracce tipo la Toscana di cui sopra. 

La Regione Lombardia e il Lazio

È il caso della Lombardia, economicamente più popolosa e ricca di una media nazione europea, con un’assessora alla cultura totalmente trasparente per anni e assurta ai disonori delle cronache (anche di questo abbiamo parlato su Artribunequalche settimana fa) solo quando, strumentalizzando alcuni problemi tecnici del Louvre, chiese provocatoriamente di poter ospitare in Lombardia la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci…
Il Veneto anche fa fatica a distinguersi e quando si deve affacciare sul palcoscenico dell’arte che conta (la regione ospita la mostra d’arte contemporanea più importante al mondo, la Biennale di Venezia) lo fa con un padiglione regionale – chiamato Padiglione Venezia – quasi sempre molto deludente, provinciale, folkloristico. Ma è un problema diffuso delle regioni che hanno al loro interno una città di così grande richiamo capace di monopolizzare le attenzioni: provate – passando al Lazio – a dirci cosa rappresenta l’impegno culturale nella città di Roma dell’ente regionale: non ci riuscirete. 

Altri casi italiani: Sicilia, Friuli e Trentino

Tutto è “comunale” o “nazionale”, la regione non esiste nella Capitale. Si limita ad occuparsi di sanità e trasporti pubblici, non sempre efficacemente.
Discorso a sé fanno giocoforza le regioni a statuto speciale dotate di deleghe e compiti diversi e talvolta protagoniste in positivo e ben più spesso in negativo. A fronte di qualche attività sporadica e concreta del Friuli, abbiamo avuto varie scelte discutibili in Sicilia o in Trentino, dove politici locali senza scrupoli (ma soprattutto senza la minima esperienza) sono riusciti a squalificare nel giro di pochi anni un’istituzione come il Mart di Rovereto che solo oggi azzarda un difficilissimo rilancio. 

La politica della discrezionalità

Sarebbe facile dare la colpa all’inadeguatezza dei singoli politici di turno. Il problema è invece che queste figure, non sempre all’altezza, si muovono in un contesto discrezionale. Dove possono fare quello che gli pare abbastanza di nascosto, sfruttando la presenza di enti più visibili e riconoscibili come lo Stato a monte e i Comuni a valle. In un quadro di competenze che andrebbe quindi risistemato. Si può decidere che le Regioni non facciano nulla sulla cultura, assegnando tutte le competenze (e le risorse!), che oggi le regioni orchestrano senza grande efficacia, agli altri enti. Oppure si può decidere che le Regioni facciano molto e si prendano le loro responsabilità rispondendone ai cittadini, agli elettori, ai contribuenti e agli operatori culturali. Quello che non si dovrebbe perpetrare è lo status quo, con Regioni che fanno poco e a casaccio a seconda degli umori del momento.

Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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