Come nasce un fumetto horror? Risponde il fumettista Sergio Vanello

Il macabro è il genere d’elezione del fumettista Sergio Vanello, che in questa intervista ci racconta il suo lavoro e i suoi ultimi progetti, tra cui un fumetto per Artribune Magazine

Si muove agilmente tra pittura e fumetto Sergio Vanello (Luni, 1968), autore tra i più apprezzati della nona arte nazionale. Nel nuovo numero di Artribune Magazine gli abbiamo rivolto qualche domanda in merito al suo percorso e alla sua fascinazione per il macabro. La sua storia inedita va decisamente in questa direzione… 

Un ritratto di Sergio Vanello
Un ritratto di Sergio Vanello

Intervista a Sergio Vanello 

Cosa significa per te essere fumettista? 
Essere fumettista significa avere la possibilità, tavola dopo tavola, di raccontare storie attraverso il disegno; che, nell’ambito del graphic novel, può e deve essere non necessariamente omogeneo e coerente per l’intera durata della storia. Questo è quello che amo di più del fare libri a fumetti, in cui la libertà creativa e la sperimentazione sono non solo accettate, ma richieste: non sopporterei di disegnare cento tavole con l’identico stile. Noia mortale… 

Il tuo ultimo libro (scritto a quattro mani con lo sceneggiatore Piero Fissore) è un’indagine psicologica ambientata nei bassifondi della Londra vittoriana, ispirata al celebre Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Me lo racconti? 
La scrittura, in questo caso, è tutto merito del bravissimo Piero Fissore; io ho “solo” realizzato i disegni. Si tratta di una rilettura personale del racconto originale, in cui il dottor Henry Jekyll è realmente esistito. La vicenda si sviluppa attraverso il genere horror, poliziesco e psicologico e vede i personaggi letterari calati in un ambiente realistico. Il protagonista, Billy Stone, viene forzatamente sottoposto al trattamento “Hyde” da una squadra segreta. Assetato di vendetta, riesce a fuggire dal luogo in cui è imprigionato, conducendo i suoi giorni in un’altalena di stati di coscienza tra esplosioni di violenza e orrore per le efferatezze compiute. La scia di sangue che lascia dietro di sé attira ben presto l’attenzione della polizia. Emergerà un’amara realtà dietro il terribile esperimento di cui è vittima. 

Quali sono le sfide e le trappole dietro una rivisitazione del genere? Come si mantiene l’equilibrio tra il rispetto dello scritto originale e la rilettura inedita di un romanzo di questa portata? 
Sono convinto che i “classici” siano tali perché non temono nessuna “deformazione” o interpretazione (come avviene in teatro e nel cinema). Personalmente non sopporto gli spettacoli “in costume originale” (come non sopporto la filologia musicale: tipo Bach suonato con strumenti d’epoca. No! Meglio il pianoforte! Vedi Glenn Gould), e soprattutto non amo disegnare abiti non contemporanei: preferisco il classico “giacca nera e cravatta”, minimalista ed esistenzialista. In questa dimensione contemporanea vedo e riconosco il rispetto per lo scritto originale: nella volontà di “togliere la polvere”.

Il fumetto di Sergio Vanello per Artribune
Il fumetto di Sergio Vanello per Artribune

Macabro e fantascienza nei fumetti di Sergio Vanello 

Lucidità e follia sono i due estremi tra i quali si muove la vicenda del protagonista del libro. D’altronde il tema del macabro è una costante del tuo percorso artistico… 
L’horror e il cupo/macabro sono i generi che amo di più, soprattutto per la loro dimensione psicologica. In questi giorni è uscito il mio nuovo graphic novel edito da edizioni NPE: H.P. Lovecraft – Dagon e altri racconti brevi, in cui oltre ai disegni ho realizzato l’adattamento del testo originale al racconto sequenziale a fumetti. Ho voluto fortemente realizzare questo libro perché amo la dimensione abissale dell’universo lovecraftiano, in cui il macabro si unisce all’analisi della mente e del carattere dei personaggi protagonisti dei racconti. Penso si tratti del mio lavoro più maturo. 

La tua produzione è segnata da un costante dialogo con gli scrittori del passato: da Kafka a H.P. Lovecraft, senza contare i numerosi ritratti dedicati ai grandi autori e artisti del passato. Cosa ti lega a questi maestri, e da dove nasce il bisogno di instaurare un confronto con loro? 
Il rapporto con i grandi autori del passato e del presente (artisti, musicisti e scrittori) è per me fondamentale. Per “rapporto” intendo soprattutto la “lettura” delle loro opere e della loro biografia, nel tentativo di arricchire di maggiori esperienze la nostra vita che, per sua natura, non può che essere limitata alla nostra esperienza personale. Sento alcuni autori come “fratelli” e compagni per la vita: il loro lascito figurativo, letterario e sonoro sono il mio vero tesoro.  

Il fumetto di Sergio Vanello per Artribune
Il fumetto di Sergio Vanello per Artribune

Sergio Vanello tra fumetto e pittura 

Al di là dei successi ottenuti nel mondo del fumetto, ambito nel quale lavori da circa dieci anni, la tua formazione è pittorica. Mi racconti il tuo percorso? 
Dopo il Liceo Artistico ho ottenuto la laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara. I miei docenti di Pittura, Umberto Buscioni e Adriano Bimbi, sono stati fondamentali non tanto per la mia formazione tecnica (quella si impara da soli) ma per quella “spirituale”: magnifico discutere con loro di Francis Bacon, Egon Schiele, Bronzino e Pontormo. Fin da ragazzo, però, leggevo avidamente fumetti: soprattutto quelli stampati dall’Editoriale Corno (di lunedì saltavo la scuola media per andare al mercato ad acquistare i numeri de L’Uomo Ragno, Devil e I Fantastici Quattro usati alla bancarella dei libri/fumetti, erano gli Anni Settanta/Ottanta); quei fumetti, assieme alle riviste Linus, Corto Maltese, Totem, Metal Hurlant, L’Eternauta e Comic Art, hanno formato inizialmente il mio gusto che, negli anni successivi, si è arricchito, per l’appunto, delle scoperte pittoriche in Accademia e non solo (mio padre Sandro è stato il mio primo mentore).  

Da una parte la “regina” delle arti visive, ovvero la pittura; dall’altra un’arte relativamente giovane che da sempre sgomita per ritagliarsi uno spazio tra le discipline più colte. Come ti muovi tra questi due mondi? 
Nel fare fumetti e illustrazioni amo uno stile pittorico o comunque “morbido”, e questo sicuramente è figlio di quelle esperienze, nel tentativo (spero riuscito) di conciliare grafica e pittura. Non trovo assolutamente nessuna differenza “di genere” tra un disegno, una tavola a fumetti, un’illustrazione o un dipinto, hanno tutti pari dignità artistica; e soprattutto considero il fumetto e l’illustrazione i veri eredi della grande tradizione artistica occidentale: l’innovazione e l’originalità si trovano solo in questi linguaggi espressivi.  

Il fumetto che hai disegnato per Artribune di cosa parla? 
Parla del fascino del male espresso attraverso un processo ineluttabile di vita e morte: l’eterno ritorno e l’impossibilità di cambiare, nel bene e nel male, il proprio destino.  

Alex Urso 

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Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

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