L’artista italiano Marco Neri festeggia 40 anni di carriera organizzando una mostra di 20 giovanissimi in un capannone
Sono 20 studenti dell’artista, docente di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, i protagonisti del progetto espositivo che riflette sulle urgenze dei giovanissimi e pone l’accento sul ruolo della formazione artistica

In un capannone a San Lazzaro di Savena, il Kappa Noun del collezionista Marco Ghigi l’artista Marco Neri (Forlì, 1968), che nel 2025 festeggia 40 anni di carriera, ha raccolto una compagine di giovanissimi pittori (Giulia Arcobelli, Francesca Bovino, Giulia Cacciatore, Luisa Campa, Federica Cannone, Michela C.C.Riello, Alessandro Cito, Antonio D’Amato, Francesco De Carlo, Federica De Icco, Vincenzo Di Bari, Dalila Festagallo, Chiara Iacobelli, Florian Mortato, Antonio Nicolardi, Francesco Pentassuglia, Stefano Ricci, Riccardo Sisto, Paola Solazzo, Giulia Stigliano), tutti suoi studenti presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce. Ne è emerso un percorso sulla pittura, sotto il titolo Lampante. Nuove luci della pittura in Italia, che dà l’occasione di riflettere sulle istanze artistiche delle nuove generazioni, sullo stato della pratica nel presente e sul ruolo delle Accademie di belle arti e della formazione. Ne abbiamo parlato con Marco Neri in questa intervista.
Intervista a Marco Neri
Come è nata l’idea di questa mostra e perché l’hai titolata Lampante?
Parlando a tavola col mio amico Marco Ghigi, con cui ogni tanto mi ritrovo nella sua Ozzano Emilia nei miei viaggi tra nord e sud. Alla domanda su come fossero i miei studenti di pittura, gli dissi che non ricordavo di averne mai avuti tanti così concentrati, motivati e decisamente interessanti, tutti insieme. Di solito non superano i cinque o sei mentre io ne contavo almeno una quindicina. E iniziammo a ragionare su una possibile vera mostra a loro dedicata, nel suo ormai mitico Kappa Noun, uno spazio davvero “aperto” a ogni nuovo impulso espressivo, da curare personalmente. L’idea ci sembrò subito scatenante, illuminante a suo modo e dunque “lampante” appunto, come l’olio che seppe fare luce per oltre un secolo in castelli, corti e città di mezza Europa e che veniva prodotto proprio in Salento, da quegli ulivi secolari oggi decimati dalla xylella. Quel titolo stava già seduto a tavola con noi in sostanza, si era solo palesato.
Come coniughi il tuo lavoro di artista con quello di docente?
In “Lucy” di Luc Besson, a un certo punto Morgan Freeman – che recita la parte del vecchio professore irrimediabilmente visionario – dice all’incirca (vado a memoria): “Niente è più elevato del trasmettere ciò che si è appreso“. Che è esattamente quello che ho sempre pensato, la motivazione principale di questo lavoro probabilmente. In questo ruolo – che è la seconda faccia di quel che amo – metto a disposizione delle nuove generazioni il livello di osservazione e la cultura visiva maturate nella mia esperienza – oltre alla passione – per offrire punti di appoggio o di riferimento nelle loro ricerche personali, visto che non esistono scorciatoie che possano portarli là dove non si è mai arrivati. Le Arti, infatti, si chiamano così perché si fanno con gli “arti”. Fisicamente insomma…





Come hai lavorato con i ragazzi?
Dopo la quantità industriale di osservazioni sui passaggi cruciali della pittura di ogni epoca – che scarico nelle loro testoline tipo “Matrix” nel primo semestre e che nulla o pochissimo hanno a che fare con la storia dell’arte in senso stretto – col confronto aperto e costante sui lavori a parete. È stata Marlene Dumas – che insegna, o insegnava, pittura ad Amsterdam – a dire che “il quadro necessita di una parete a cui contrapporsi” (vado sempre a memoria). E così faccio da un quarto di secolo nelle mie aule, come tra me e me da quarant’anni, in studio.
Quali credi che siano le istanze che maggiormente attraversano il lavoro di questa nuova generazione di artisti, le ansie, i desideri, le preoccupazioni?
In realtà le “ansie” alla loro età non sono le nostre. Non per tutti almeno. Chi ha venti o trent’anni di più ha una visione plastica del casino in cui l’umanità si sta infilando già al primo titolo di giornale, mentre le loro, in quella fase della loro vita, sono infinitamente più personali, presi come sono dal capire prima di tutto cosa caspita ci fanno al mondo e che spazio desiderano o potranno ritagliarsi, nel futuro che li attende… Un’incognita non da poco in effetti. Quindi direi che ruotano principalmente attorno al rapporto tra soggetto – in via di definizione – e ambiente circostante, vero punto chiave di ogni rappresentazione in quanto espressione – simbolica o metaforica – della dimensione dell’essere al mondo, oggi come sempre in fondo.

Qual è lo stato della pittura contemporanea in Italia a tuo parere?
C’è stato un grande sviluppo della pittura nella nostra penisola negli ultimi trent’anni, anche decisamente originale, dovuto principalmente a pochi ma buoni artisti diversissimi tra loro, che a mio parere non superano di numero le dita di una mano. Dopodiché la ricerca si è fermata, se non regredita di mezzo secolo e oltre, inquinata dalle logiche perverse che il “sistema” attuale ha fatto ingoiare soprattutto ai più giovani, che evidentemente non avevano sufficienti “anticorpi” per resistere a certe “influenze”. Non mi pare infatti stia benissimo insomma. Si registra un eccesso di produzione teoricamente nuova e già esausta, incagliata a un livello tremendamente scadente perché principalmente commerciale. Le fiere, nel giro di vent’anni, hanno veramente fatto un disastro. Così anche farsi un solo giorno in quelle nostrane è diventato nauseante, oltre che deprimente. Infatti, non mi piace andarci – se non in veste di “antropologo” – anche se consiglio ai miei studenti di farlo per gli “anticorpi” di cui sopra. Per cominciare a prendere le misure di un “sistema” profondamente malato, in cui le rarissime eccezioni non fanno che confermarne le regole.
In generale, a tuo parere quale deve essere il ruolo di un insegnante di pittura?
Autorizzante, direi, a questo in fondo servono i “maestri”. Abbattendo quotidianamente tabù di ogni sorta e aprendo le menti, chiarendo allo sguardo le osservazioni più sensibili, disarmanti e sentite all’interno del percorso di ciascuno. Sciogliendo nodi ormai logori e aprendo varchi col “machete” se necessario, in quella “selva” – come la chiama il mio amico Nicola (Samorì, ndr) – di sciocchezze che infesta ad esempio il concetto di immagine, in cui non è affatto semplice districarsi, specie alla loro età e tanto più oggigiorno. Dopodiché saper dare l’esempio, che resta il modo più incisivo sul piano educativo affinché siano attrezzati per salvaguardare la loro libertà espressiva, negli anni a venire.






Quest’anno festeggi 40 anni di relazione amorosa con la pittura, già festeggiati con una personale alla Fondazione Pascali e con questo progetto. Che bilancio fai del tuo lavoro ad oggi e come vedi i prossimi decenni?
In realtà l’anno scorso erano “solo” 39 e avvicinandomi ai quaranta ho voluto creare una sorta di saggio in 7 sale di ciò che rappresenta la pittura per me. I quarant’anni esatti sono arrivati quest’anno e ho ripensato spesso a come mi sentivo quarant’anni fa, a cosa non potevo già più fare a meno di essere e a cosa mi avrebbe fatto bene allora, in quella fase decisiva e delicatissima. Dal tipo di lezioni alle incessanti sperimentazioni, alle occasioni di confronto, con gli altri artisti e in generale. Per questo ho voluto festeggiarli dedicandomi ai miei studenti, ai possibili quarant’anni di pittura che li attendono e che auguro sinceramente a tutti loro. Quanto a me, ho superato i miei obiettivi già nel ’97 (il mio sogno era una personale da Franz Paludetto, che ho sempre considerato un genio) dopodiché ci ho preso gusto e mi sono via via trovato ad affrontare mostre che mai avrei pensato sarebbero arrivate. Non faccio bilanci perché non credo sia arrivato ancora il momento, però ripensando a quello che mi sono permesso di realizzare per la Fondazione Pascali o per gli Uffizi solo lo scorso anno, forse sono addirittura più estremo e radicale ora di venti o trent’anni fa. Riguardo ai “prossimi decenni”, sono curioso di vedere come andrà a finire… Manca sempre meno in fondo.
Santa Nastro
San Lazzaro di Savena (BO)// fino al 4 maggio 2025
Lampante
A cura di Marco Neri
Kappa Noun
via Imelde Lambertini 5
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