Un importante premio dedicato alle artiste donne compie 20 anni. La mostra-celebrazione a Firenze

Negli spazi della Strozzina la mostra dedicata a due decenni del Max Mara Art Prize for Women, una competizione pioneristica che ha avviato un percorso di celebrazione dell’arte intima e politica delle artiste, offrendo l’occasione per fare il punto su cosa si è fatto e cosa c’è ancora da fare per la parità di genere anche nell’arte

Nel 2005 quando il noto brand di moda Max Mara insieme alla Whitechapel di Londra diede vita a un premio dedicato ad artiste donne residenti in Gran Bretagna, la presenza femminile nell’arte non era neanche paragonabile a quella attuale. La quota di mercato delle opere firmate da donne sfiorava appena il 2%; la Biennale Arte dopo 50 edizioni dirette da maschi, vedeva per la prima volta al suo vertice Maria Corral e Rosa Martinez ma senza nomina di direttore bensì solo come co-curatrici di due mostre; e infine nelle fiere internazionali come Art Basel solo un quarto degli autori esposti erano donne.

Il premio Max Mara per l’arte

Dunque, l’idea di dedicare un premio a sole artiste che non fossero già famose, né rappresentate da una galleria potente, era già di per sé pionieristica. Ancor di più se si aggiunge che al posto di una elargizione in denaro, il premio consisteva nell’offrire sei mesi di residenza in Italia in luoghi iconici che avrebbero poi prodotto la nascita di un progetto originale che legava così la formazione anglosassone alla tradizione italiana.

Una sorta di Grand Tour contemporaneo che invece di risolversi in pensose meditazioni di fronte alle rovine e alle vestigia del passato, diventava un confronto reale con la cultura e la vita del nostro paese. Infine, un meccanismo originale di selezione prevedeva una giuria tutta femminile presieduta dalla mitica Iwona Blazwick (direttrice della Whitechapel fino al 2022) e composta da una critica, una gallerista, un’artista, una collezionista a rappresentare l’intero ciclo di produzione del sistema dell’arte.

La mostra “Time for Women” a Firenze

Ed eccoci a vent’anni di distanza che a Firenze in Palazzo Strozzi, Max Mara celebra con una mostra dall’indicativo titolo Time for Women, l’importante anniversario di questo premio che negli anni ha dato fiducia e battezzato le carriere di artiste divenute poi quasi tutte protagoniste della scena artistica: da Laure Prouvost a Corin Sworn; da Andrea Büttner a Helen Cammock; da Margaret Salmon a Dominique White; Hanna Rickards; Emma Talbot; Emma Hart.

È un paesaggio caleidoscopico quello che ci propongono ognuna con il suo viaggio e il suo ritratto dell’Italia, della sua natura, delle sue abitudini, dei suoi abitanti dei molti e complessi simboli.

Le opere nella mostra dei premi Max Mara

Del resto tante sono anche state le diverse destinazioni dei tour: a cominciare da Margaret Salmon vincitrice della prima edizione che al termine della sue residenza propose un’installazione video con triplo schermo dedicato a giovani madri, si chiamava “Ninna nanna fiorentina”  ed era indagine che da una parte rimanda al rigore del cinema neorealista, dall’altra inevitabilmente riecheggia le tante maternità di Sante Vergini con Bambino che punteggiano l’arte sacra nelle chiese e nei musei di Firenze. Una singolare rivisitazione della storia dell’arte che l’avvicina alla poetica di Emma Talbot quando assume come punto di partenza l’iconico quadro di Gustav Klimt “Le tre età della donna” visto alla Galleria Nazionale di Roma per riflettere attraverso un ciclo di epici disegni sul tema dell’invecchiamento, della resistenza femminile e del rispetto delle leggi di natura. Le comunità monastiche soprattutto umbre intorno ad Assisi, ispirarono invece Andrea Büttner vincitrice della terza edizione grazie ad un lavoro legato all’idea di rinuncia, povertà come scelta di riduzione all’essenziale, ascesi che dai simboli religiosi si estendeva anche alla eredità dell’Arte Povera.

Laure Prouvost al Premio Max Mara

Mentre all’opposto la sensualità, il piacere, il godimento fisico del cibo, del sole sulla pelle, la Joie de vivre che arriva dai colori della natura o dalla purezza delle acque ispira a Laure Prouvost nel 2013 una suggestiva installazione che ha al suo centro un voluttuoso film sui piaceri sensoriali che l’idea stessa di Italia sembra suggerirle. Purtroppo, di quella complessa installazione la mostra fiorentina ripropone il solo film che sebbene sia di grandissima qualità e da solo potrebbe valere la visita, non rende giustizia alla ricchezza del progetto premiato.

20 anni di Premio Max Mara alla Strozzina

In effetti l’unico disappunto di questa importante celebrazione arriva proprio dalla location: gli spazi della Strozzina nel sottosuolo del grande palazzo rinascimentale non sembrano sufficienti a testimoniare la complessità di questi vent’anni e sacrificano una mostra che avrebbe meritato una maggiore potenza espositiva. In compenso però è estremamente interessante la coincidenza che vede queste artiste, nate per lo più negli Anni Settanta, a fianco della potente personale di Tracey Emin, sorella maggiore e protagonista dei Young British Artists che hanno segnato la ricerca britannica (e non solo) sul finire dello scorso secolo. Una rivoluzione che allontanandosi dalle ideologie della avanguardia ha rivolto lo sguardo verso una elaborazione disinvolta e anarcoide dell’eredità pop e concettuale, sottolineata dall’uso e dalla mescolanza di qualsiasi tecnica e mezzo compresi quella che andava offrendo la tecnologia visiva.

Emin ha aggiunto a questo la potenza di una narrazione privata che ha fatto della sua vita del suo diario e delle sue emozioni il filo rosso di una ricerca coraggiosa e profondamente femminile. Del resto, l’esplosione delle donne nell’arte a partire dagli Anni Novanta è proprio in parte dovuta alla capacità di narrare sé stesse come soggetto al tempo stesso privato e politico. Codice perlopiù estraneo ai loro colleghi maschi. Ed ecco che con il cadere delle griglie ideologie e concettuali questa autocoscienza visiva diventa un veicolo potente per aprire nuove strade alla ricerca. Quelle strade che hanno permesso alle artiste di raggiungere una diffusione e una penetrazione dei loro linguaggi fino all’apoteosi di quella 59ma edizione della Biennale d’arte di Venezia interamente dedicata a loro: Il latte dei sogni curata da Cecilia Alemani nel 2022.

Le donne nell’arte

È dunque questa la base da cui partono i progetti delle vincitrici del premio Max Mara.

Artiste che negli anni della loro formazione hanno incontrato questa libertà di ricerca sviluppata su diversi piani e declinata in tutte le forme possibili: dalle teatrali scenografie di Corin Sworm che in Silent Stick rende omaggio alla Commedia dell’Arte, per passare poi all’uso sperimentale dell’artigianato e della ceramica in Emma Hart che attraverso sculture/ lampada in forma quasi fumettistica crea un ambiente surreale e giocoso. Mentre Hanna Rickards punta a un’indagine scientifica sul rapporto uomo-natura usando una tecnica di reportage e di studi sulla percezione, Dominique White verifica la potenza creativa della natura immergendo le sue sculture nelle acque del Mediterraneo che le trasforma e le abbellisce a modo sue corrodendole e decorandole di resti calcarei. Un discorso a sé merita il complesso e articolato progetto di Helen Cammock che recuperando un lamento seicentesco della compositrice Barbara Strozzi (1619-1677) mette in scena un film, un libro, un fregio serigrafato e stampe su vinile dove elabora ritratte delle donne coraggiose che ha incontrato nella sua permanenza italiana: attiviste, militanti, suore, rifugiate, ex partigiane…

Il catalogo della mostra, con interviste e testimonianze

E infine è da segnalare l’ottimo catalogo (ed. Marsilio) che raccoglie le interviste e le testimonianze delle artiste, il loro pensiero, le immagini e i documenti work in progress di quei progetti  che, come scrive Mariuccia Casadio nel saggio introduttivo “nell’arco di vent’anni hanno coinvolto una varietà di temi, indagando la società, l’ambiente urbano ed extraurbano, la religione, il ruolo del pubblico e della comunicazione, l’identità, la memoria, la tradizione, la ribellione e la trasformazione così da regalarci oggi una testimonianza articolata del rapporto che lega arte e realtà tra passato e presente”.

Alessandra Mammì

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