Open-call per nerd: il Victoria and Albert Museum offre sei mesi di residenza a un game designer. L’obiettivo è quello di elaborare videogiochi per famiglie ispirati alla collezione londinese
Al MoMA sono entrati dalla porta principale, finendo per essere – al pari di un Picasso – musealizzati, studiati, tutelati e valorizzati. Al Victoria and Albert, invece, hanno deciso di crearseli su misura. Impazza nel mondo anglosassone la mania dei videogiochi ad arte, linguaggio della creatività da esplorare e indagare, intrigante fotografia di un contemporaneo […]
Al MoMA sono entrati dalla porta principale, finendo per essere – al pari di un Picasso – musealizzati, studiati, tutelati e valorizzati. Al Victoria and Albert, invece, hanno deciso di crearseli su misura. Impazza nel mondo anglosassone la mania dei videogiochi ad arte, linguaggio della creatività da esplorare e indagare, intrigante fotografia di un contemporaneo da raccontare attraverso le continue evoluzioni, anche ludiche, del suo rapporto con la tecnologia.
Il museo londinese lancia la sfida e apre le selezioni: cercasi game designer cui assegnare un periodo di residenza di sei mesi nella capitale britannica, a stretto contatto con lo staff del museo, per elaborare – insieme – un gioco che avvicini bambini e famiglie alle strepitose collezioni dell’istituzione. Partner del progetto l’Abertay University di Dundee, primo ateneo al mondo – era il 1997 – a istituire un percorso formativo in computer games technology: il prescelto, esaurita la fase di lavoro a Londra, si trasferirà dunque nei laboratori dell’università scozzese per arrivare, quanto prima, a licenziare il software.
E considerato che siamo in un Paese con una certa cultura ed etica del lavoro – mica in Italia – il borsista non viene foraggiato con pacche sulle spalle, ma con moneta sonante: 8,400 sterline per i primi sei mesi a Londra – al cambio di stamane siamo intorno ai 10mila euro – cui si aggiunge una congrua retribuzione da stabilire per il successivo periodo a Dundee. Sarà anche un gioco, ma qui si fa sul serio.
– Francesco Sala
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