Lost (in LA). Dalla tv al museo, suggestioni sul tema della perdita
Una mostra di cui si è tanto parlato. Una riflessione, tra la Francia e gli USA, sul senso della perdita e dello smarrimento. Partendo da una serie tv celeberrima: "Lost", storie di sopravvissuti in cerca di una possibile convivenza. Ecco la documentazione video, con un'intervista a Marc-Olivier Wahler...
Basta mettere insieme un poco d’indizi, per guidare qualunque spettator televisivo medio verso la soluzione dell’indovinello: un aereo, un gruppo di naufraghi, un’isola, la lotta per la sopravvivenza e il mistero di singole esistenze scaraventate in un limbo selvaggio. Di che si parla? Di una serie tv che ha fatto storia, con i suoi sei anni di programmazione e di incredibile gradimento popolare. Di un vero e proprio cult degli anni Zero. Di Lost, naturalmente. Recentemente celebrato dall’art world, in quanto spunto per una mostra losangelina. Dal pop catodico al best of della scena contemporanea. Chè la mostra, appena conclusasi – e di cui vi mostriamo adesso il video report ufficiale – non era certo una roba da poco: nomi importanti e una sede istituzionale di prestigio. La ospitava infatti la Municipal Gallery di Los Angeles e a curarla c’era Marc-Olivier Wahler, nell’ambito di una partnership tra la grande città californiana, il France Los Angeles Exchange (FLAX), e il Palais de Tokyo. Titolo? Lost (in LA), semplicemente.
Trentadue artisti, americani e francesi, tra cui spiccano nomi del calibro di Jim Shaw, Tatiana Trouvé, Mike Kelley, Mathieu Mercier, Valentin Carron, Michel Blazy, tutti chiamati a riflettere sul senso della perdita, tra smarrimento e disorientamento. Un’indagine concettuale affascinante, dalle mille implicazioni, che in questo caso passa per lo schermo di una tv, evocando quel rito mediatico che vede stuoli di tele-devoti immobili davanti all’icona letteraria del momento.
Perché di letteratura si tratta: straordinarie saghe offerte alla pratica del consumo di massa, che restituiscono, nei casi migliori, temperatura, passioni, stili, suggestioni e linguaggi di un’epoca. Un meta-tema, questo, che attraversava la mostra silenziosamente, essendone in realtà il punto di partenza: negli ‘90 c’era Twin Peaks, sottolinea lo stesso Wahler, ricordando quel capolavoro firmato da David Lynch che, ai tempi, rappresentò un forte riferimento estetico per un certo immaginario creativo, tra soap opera, thriller, noir, fantasy: una perversa Peyton Place di fine secolo, nutrita di inquietudini e orrori sotterranei, nell’inganno di una edulcorata normalità borghese. Quanto raccontava di noi quel prodotto televisivo? E quanto racconta di noi, oggi, il fenomeno Lost? Anche questo ha anche fare con il senso della perdita: perdere se stessi, insieme alle proprie icone, ai modelli, i personaggi, gli orizzonti culturali, i codici linguistici, persino le atmosfere di cui ci eravamo imbevuti.
E riflette sulla possibilità di perdere “gente, a Los Angeles”, per esempio, Marnie Weber. Che dopo l’ubriacatura del punk tra i ’70 e gli ’80 si è accorta di aver smarrito appartenenze antiche e nuove: essere losangelini, tra paesaggi agricoli scomparsi e controculture del presente, cosa significa? Identità perdute e daccapo ricercate. E mentre Shaw si è chiesto cosa si provasse nel perdersi in mezzo a una foresta, Laurent Montaron ha deciso di trasmettere le voci di conoscenti ormai defunti nell’area del parco intorno alla galleria: i visitatori potevano sintonizzarsi tramite la loro autoradio e intercettare il segnale.
Un esperimento che ha provato a indicare una direzione per riflettere sul presente, attraverso quello specchio distorto e insieme implacabile che è, da quasi un secolo, la televisione.
– Helga Marsala
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