Berlinale, in concorso passano Danis Tanovic e David Gordon Green. E arriva il professor Jeremy Irons, che tenta di salvare un ingenuo e retorico Bille August
Berlinale festival, giorno sei. Proiezione mattutina con An Episode in the Life of an Iron Picker dell’ex enfant prodige bosniaco Danis Tanovic premiato nel 2001 con l’Oscar per No Man’s Land. Una storia di povertà dove una donna rischia di morire di setticemia perché non può affrontare economicamente l’intervento per la rimozione del feto naturalmente […]
Berlinale festival, giorno sei. Proiezione mattutina con An Episode in the Life of an Iron Picker dell’ex enfant prodige bosniaco Danis Tanovic premiato nel 2001 con l’Oscar per No Man’s Land. Una storia di povertà dove una donna rischia di morire di setticemia perché non può affrontare economicamente l’intervento per la rimozione del feto naturalmente abortito. Il film essenziale nello stile e nella durata offre uno spaccato crudo degli eventi realmente accaduti ad una famiglia rom bosniaca. Non indugia nei sentimentalismi, ma per offrire una visione oggettiva finisce per essere un freddo esercizio di grammatica cinematografica che nulla aggiunge al panorama scopico del festival in corso. David Gordon Green, che in questa occasione berlinese rappresenta la giovane promessa registica, ha avuto il suo Prince Avalance proiettato alla mezza. Si tratta di una drammedia leggera, sviluppata su un’idea semplice ma originale (in realtà il remake dell’islandese vincitore del Festival di Torino 2011, A annan veg). Nel 1988 due operai vengono spediti a tratteggiare una strada sperduta nella foresta texana. Qualche presenza onirica, alcuni repentini cambi di registro e qualche inserto alla Wes Anderson, grazie anche ad una piacevole sceneggiatura, fanno di questo piccolo film una umile ma degna proposta autoriale. Night Train to Lisbon, infine, dall’omonimo romanzo di Pascal Mercier, ha uno start accattivante con un persuasivo Jeremy Irons (il regista Bille August, di origine danese, aveva già lavorato con l’attore sul set de La casa degli spiriti) nelle vesti di professore. Il protagonista segue una serie fortuita di eventi per investigare sulla vita dell’autore di un libro lasciatogli da una giovane aspirante suicida. Purtroppo nel dipanarsi la storia perde d’intensità, diventa scontata e quasi retorica, di un pessimismo banale e troppo ingenuo per assurgere al livello di poesia, cui chiaramente il regista aspirava. Vale tuttavia la pena vederlo, soprattutto se sul piatto della bilancia vengono messi altri titoli di più scadente contenuto passati nelle giornate precedenti.
– Federica Polidoro
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