Via… dolorosa. Mark Wallinger al Duomo di Milano
L’opera era pregevole, ma la delusione era stata piuttosto forte: dentro la cattedrale non c’era la più piccola indicazione sulla presenza e la collocazione dell’opera, il personale era totalmente disinformato della cosa, e in generale nessuno ne sapeva niente. E fin qui tutto bene…
Via dolorosa: così si chiama il video di 18 minuti di Mark Wallinger. Tre anni fa avevo scritto: “È un’opera di impatto notevole: si tratta di una videoinstallazione di alto livello, perfettamente ambientata all’interno di uno spazio ristretto, che tuttavia è impiegato al meglio. Wallinger ha collocato uno schermo nero al fondo di una piccola sala e vi ha proiettato sopra il ‘Gesù di Nazareth’ di Zeffirelli. I bordi dello schermo però sono bianchi e quindi, anche se la visione del film è ‘negata’, se ne percepisce lo svolgersi, che si dipana sui margini visibili. Ad ogni spostamento delle immagini, o meglio del margine visibile, pare che, nel buio, il quadrato si muova, fluttui nel buio della visione, divenuta quasi mentale. È senza dubbio una bell’opera non solo di rimediazione fra arti diverse, ma anche di ri-meditazione trascendentale”. A suo tempo mi era capitato di occuparmene perché quest’opera è stata acquisita dalla Provincia di Milano e, come recita il sito stesso della Provincia, si tratta di una novità assoluta per diversi motivi: innanzitutto è stata collocata nella cripta del Duomo di Milano (accanto alle reliquie di san Carlo Borromeo!); poi si tratta di un’acquisizione non temporanea, ma stabile, e infine è una delle pochissime (se non l’unica) installazione di video d’arte contemporanea all’interno di uno spazio sacro. Insomma, un’opera d’arte “sacra” davvero contemporanea, non una di quelle solite atroci riproposizioni di crocifissi e madonne semi-astratte che artisti di mezza tacca (ma ben immanicati col monsignore di turno) sparpagliano in giro per metà del nostro (ex) Belpaese…
Non sarà troppo però? Qualche dubbio mi era nato quando, venuto a conoscenza della cosa, mi ero precipitato in Duomo per vedere l’installazione di Wallinger. L’opera era pregevole, ma la delusione era stata piuttosto forte: dentro la cattedrale non c’era la più piccola indicazione sulla presenza e la collocazione dell’opera, il personale era totalmente disinformato della cosa, e in generale nessuno ne sapeva niente. Insomma: non solo un’acquisizione di questa portata non era stata minimamente comunicata né adeguatamente valorizzata, per non dire discussa; ma, una volta portata a termine (e sarebbe stato anche giusto, trattandosi di un’acquisizione effettuata da un ente pubblico, sapere a quanto ammonta la spesa), è stata lasciata cadere nell’oblio più totale. Insomma, (avevo aggiunto all’epoca), si ha come “l’impressione che a questa installazione non sia stato dato il giusto rilievo, al di là del valore intrinseco del pezzo. E invece per farlo c’erano varie e ottime ragioni: in primis, dato che l’arte sacra contemporanea in Italia è praticamente un tabù; poi, perché commissioni pubbliche per artisti contemporanei sono rare, rarissime quelle fatte all’interno di una chiesa, ancor più rare quelle eseguite da artisti stranieri; e infine, certamente unico il fatto che a ospitare l’opera è una cattedrale famosa nel mondo intero come è il Duomo di Milano”.
Alle 16.00 di mercoledì 12 dicembre, comunque, passando davanti a piazza Duomo con un amico, decido di fargli vedere questa installazione. L’amico, artista di una certa fama, e molto informato sulle novità del mondo dell’arte, pur conoscendo bene Wallinger, non sa assolutamente niente di Via dolorosa. Nel Duomo, come al solito, nessuna indicazione, per quanto discreta, ne indica la presenza. Una volta arrivati alla cripta però ci attende un’altra sorpresa, assai peggiore: la saletta che accoglieva la videoinstallazione è chiusa e del Wallinger non c’è traccia. Per la verità l’opera sembra proprio sparita, nel senso che non c’è nemmeno un cartello, o un biglietto, un post-it almeno, che lasci intendere che, magari, non funziona, oppure è momentaneamente inagibile, o una scusa qualunque. Anzi: in un mondo in cui si fanno le peggio cose, ma perlomeno ci si “scusa per il disagio arrecato” agli utenti, qui di scuse nemmeno l’ombra. La ragazza che vende i biglietti per il tesoro della cripta conferma che l’installazione è “in stand-by”, ma, al di là dell’eufemismo anglofono, nessuno sa quando verrà riattivata, e nemmeno se lo sarà.
Sarebbe perfino facile ironizzare sul fatto che così si compie il destino di un’opera che si gioca sull’invisibilità. Fatto sta che questa è troppo spesso la “via dolorosa” dell’arte contemporanea in Italia: un bel fiore all’occhiello del momento, che è più comodo dimenticare che rendere parte integrante di un patrimonio condiviso.
Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati