La funzione dell’arte. Ikea evoluta, cyclette e microscopi
Che funzione ha l'arte? L'arte ha la funzione di avere una funzione. L'arte da criticare è quella che non è consapevole della propria funzione e destinazione. Un minisaggio, uno statement, una presa di posizione: chiamatela come preferite. Attenzione, torna Luca Rossi.
Ogni opera può essere di valore quando è consapevole della propria funzione: se compro un quadro per arredare il salotto, e quel quadro soddisfa la sua funzione, allora ha valore. Allo stesso tempo, potrebbero esserci quadri che arredano meglio il mio salotto, o quadri che mi fanno capire che arredare il salotto non è così importante, o che nell’arredarlo sono più importanti altri elementi. Pertanto il valore ci può sempre essere, ma è definibile solo dopo una certa argomentazione critica, che troppo spesso rimane una riflessione privata, incapace di esprimersi oltre il semplice e banale “mi piace”.
Oggi vediamo che spesso la pittura è meglio di tanta arte contemporanea, perché certa pittura è consapevole dei limiti della tela, è profondamente consapevole della propria funzione. I limiti della tela, il bordo del dipinto, costringono l’opera a occupare una parete e ad arredare lo spazio in cui si trova. L’opera è “democratica” e sincera, non ci vuole raccontare niente di più di quello che vediamo nei limiti della tela. Il pubblico, come il collezionista, non si sente raggirato.
Data un’opera x, esiste una sua funzione che ci fa capire se quell’opera ha valore; allo stesso tempo, altre informazioni possono incidere sulla valutazione di quella funzione, farci cambiare idea o farci scoprire altre opere più funzionali alle nostre esigenze. Solitamente si dice “fare le cose a regola d’arte”: si tratta di un detto che va bene per qualsiasi settore e qualsiasi disciplina. Ed è vero, l’arte ha un primato su ogni cosa. Quella che chiamiamo “arte contemporanea” è solo una palestra o un laboratorio privilegiati dove allenarsi e fare esperimenti per “fare le cose a regola d’arte”. Se il museo può essere considerato una chiesa, con tutta la sua componente rituale e suggestiva, il museo può anche essere il luogo del fitness e degli esperimenti. Se l’arte non fosse un luogo per allenarsi e sperimentare per “fare le cose a regola d’arte”, a cosa servirebbe? Tanto varrebbe seppellirla.
Spesso viene criticata l’arte decorativa che possiamo incontrare all’Ikea: è un grave errore, perché quel tipo di arte, quelle stampe “finto Warhol”, sono perfettamente consapevoli della loro funzione e, se hanno un prezzo di 29,90 euro, hanno sicuramente un valore, sicuramente maggiore del loro prezzo, proprio perché consapevoli di quello che “devono fare”. Il problema nasce se succede la cosa opposta: opere che potremmo definire “Ikea evoluta”, quindi oggetti che potremmo trovare all’Ikea ma che vengono caricati di citazioni e significati “speciali”, vengono esposti in luoghi asettici e speciali e possono scomodare curatori speciali.
Ma come distinguere l’Ikea evoluta da opere di valore? In fondo, se l’Ikea evoluta arreda bene il mio salotto, può avere lo stesso valore del “finto Warhol”?
Il punto è la consapevolezza dell’opera rispetto alla propria funzione. Possiamo definire questa consapevolezza attraverso un’argomentazione critica, prima fra gli elementi che abbiamo a disposizione e poi semmai confrontandoci con altre persone. Si tratta prima di tutto di prendere sul serio l’opera che si ha di fronte; successivamente guardare la didascalia (che – con titolo, materiali utilizzati e anno – esprime l’intenzione dell’artista) e infine prendere consapevolezza del contesto fisico, politico e culturale in cui è posta l’opera. Successivamente è consigliato conoscere altre opere dell’artista in questione, e fare per ogni opera la stessa procedura al fine di cercare di definire un filo conduttore, che può anche essere la volontà di non avere un filo conduttore. La didascalia è importante, perché qualcosa sfugge sempre all’occhio e per questo sono importanti le informazioni che ci dicono le intenzioni dell’artista.
Ma questo avviene in ogni settore umano: se ci fermiamo a guardare la persona che abbiamo di fianco, non possiamo vedere che quella persona è innamorata di noi. Lo possiamo sapere solo tramite una serie di informazioni che vale la pena cercare e raccogliere. Può anche esistere il colpo di fulmine, ma poi finisce che dopo vogliamo sempre conoscere meglio, cercare la didascalia, raccogliere su quella persona più informazioni possibili.
Bisogna sempre essere sospettosi quando ci si relaziona con un’opera d’arte, esattamente come quando ci relazioniamo per la prima volta a un potenziale partner. In fondo le opere, se la metafora a inizio articolo è vera, non sono altro che cyclette, pesi, bilancieri o microscopi. Pertanto l’idolatria e la contemplazione dell’opera come feticcio non ha molto senso, come se lo sportivo o lo scienziato idolatrassero, in un tempietto privato, la cyclette o il microscopio come fossero crocifissi. Quegli oggetti hanno valore solo come testimoni e “funzionari” di quello che interessa veramente: ossia, nella nostra metafora, “allenarsi, stare in forma” o “eseguire esperimenti importanti”.
Le opere hanno valore nella misura in cui sono strumenti per eseguire la loro funzione: il microscopio ha valore perché ci permette di fare esperimenti, quello che ci interessa e quello che possiede valore è “fare gli esperimenti”, non certo il microscopio in sé. Questo valore, insieme ad altre variabili, va a formare il prezzo dell’opera. Quindi non bisogna fare l’errore di far coincidere il valore di un’opera con il suo prezzo. Ma sicuramente dal suo prezzo e dall’analisi dell’opera possiamo capire se siamo di fronte a un’opera di valore o a un’opera di “Ikea evoluta”. L’Ikea va benissimo (vedi il quadro “finto Warhol”), il problema nasce quando l’Ikea viene caricata forzatamente di significati, cercando di prendere in giro pubblico e collezionista, senza che l’opera sia consapevole della propria funzione.
Luca Rossi
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