La chiusura di Tempo Reale. Un appello
È confermata la nuova sede di Tempo Reale: sarà l’ultimo piano della palazzina del Forte Belvedere. “Una soluzione di assoluto prestigio”, commenta soddisfatto Francesco Giomi, il direttore del Centro, che negli ultimi mesi ha collaborato con il Comune a questa importante risoluzione. Ma per il trasloco si dovrà attendere l’estate. Nel frattempo la Regione Toscana riconosce l’istituzione di ricerca come Ente di rilevanza regionale per lo spettacolo dal vivo e viene eletto nuovo presidente e rappresentante legale del Centro, il giovane Maurizio De Santis. Ripubblichiamo oggi il nostro appello apparso su Artribune Magazine #11.
Sfrattare Tempo Reale da Villa Strozzi è come sparare contro un animale in estinzione. È bracconaggio. Non si riesce a comprenderne le ragioni. L’ipotesi si prospetta in modo informale l’estate scorsa, poi viene consegnato l’atto giudiziario con l’ordine di provvedimento esecutivo. L’attuale direttore del centro, Francesco Giomi, cerca una risoluzione adeguata nei due mesi che rimangono prima che l’ordinanza abbia effetto, mentre l’amministrazione pare indisposta al dialogo. Quando starete leggendo questo articolo ,il Centro Tempo Reale potrebbe non trovarsi più al suo posto. Vorremmo almeno un motivo.
Ma non si tratta solo di sfratto. I compositori italiani sono autenticamente amati in tutto il mondo per la radicalità del loro lavoro. I nomi di Luciano Berio, Luigi Nono, Claudio Monteverdi, Giacinto Scelsi, per citarne quattro, rimandano a sviluppi della musica occidentale moderna come la sperimentazione elettronica del dopoguerra, l’uso metafisico dello spazio e del live electronics, lo stile dei cori spezzati – che pose in età barocca le basi della spazializzazione, del teatro musicale e della drammaturgia d’oggi-e ancora la ricerca sulle oscillazioni microtonali. Il contributo italiano è complesso, fatto di contrasti religiosi e politici profondi, d’improvvisazione, di un’attitudine unica a concepire pensieri sonori e organizzare il materiale musicale nel tempo. Tuttavia un gran numero di compositori italiani, oggi come ieri, si perfezionano o trovano lavoro all’estero. Questo è un dato positivo se corroborato dalla retorica della politica monetaria, ma sul piano artistico genera stereotipi culturali e conferma la paradossalità dell’attuale sistema accademico europeo: una piramide umana stracolma di opportunità, ma nel complesso dogmatica e poco sapiente, responsabile di una diaspora culturale di cui è l’unica beneficiaria. Ma quel che è peggio è che in Italia l’ignoranza e la riluttanza politica generale lasciano spazio solo ai morti. E in questo momento, nemmeno più a quelli.
Ci si arrangia, tutto qui. Non c’è nemmeno l’opzione di una controparte dialettica contro la quale lottare. La mediocrità prevale a tal punto- e con essa il qualunquismo – che qualsiasi reazione verrebbe contagiata sul nascere da una prosaicità malsana e autodistruttiva. Di cui è meglio non parlare. Le ragioni per cui Tempo Reale si trova in questa situazione umiliante sono meschine, salottiere, prive di qualsiasi logica e pertinenza culturale. L’idea che manchi il denaro è ridicola, tragicomica. Peggio, la proposta avanzata di recente di ridimensionare il Centro già in difficoltà spostandolo nella rumorosa palazzina ex Fila di Coverciano è indice di arroganza e indifferenza. La musica, la poesia, il cinema vengono dal basso e vanno alimentati. Nel 1955Luciano Berio e Bruno Maderna diedero vita allo studio di Fonologia di Milano, seguendo l’esperienza francese e tedesca di assegnare una parte del denaro pubblico alla ricerca musicale attraverso le emittenti radiofoniche e televisive nazionali. Un’idea di successo, che tutt’oggi continua a funzionare ma che divenne presto un ricordo in Italia. Lo studio di corso Sempione, che fornì a Berio, Maderna e a diversi giovani compositori l’impulso e i mezzi necessari per poter sviluppare lavori ambiziosi e altrimenti impossibili, venne smantellato nel 1983 dopo il pensionamento del suo tecnico del suono Marino Zuccheri. Quattro anni più tardi, nel 1987, la dedizione per la divulgazione e la sperimentazione di Berio lo portarono a fondare Tempo Reale in Villa Strozzi.
Non ci possono essere vantaggi per la collettività che derivino dallo sfratto di un’istituzione musicale, ma solo facili promesse e falsa cultura. Abbiamo perso la memoria e la capacità di essere protagonisti del nostro tempo e preferiamo storicizzare la storia- noi caldi italiani – e concepirla freddamente come un’astrazione. È una grave colpa. Se Tempo Reale dovrà andarsene, sarà stato a causa di uno sfratto della città di Firenze e potremo collezionare, con le macchine della Studio di Fonologia, una nuova reliquia del presente. Il Centro deve rimanere al suo posto, cresce o trovare una sistemazione migliore, ma ci auguriamo che ciò non sia il risultato esteriore di una sensazione di prestigio, che non compensa l’incredibile noncuranza italiana per la musica, la formazione e la cultura del nostro tempo.
Alessandro Massobrio
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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