Libeskind contro i regimi dell’Asia Centrale, Beppe Grillo candida Renzo Piano al Quirinale e Hillary Clinton si paragona a Frank Gehry: intrecci suggestivi tra architettura e politica
Tra le forme della creatività è quella che entra in maniera più visibile e aggressiva nella vita della collettività; cambia i paesaggi urbani, smuove terra e soldi; incide segni spesso indelebili sul volto delle città. Non è un mistero e non è prassi recente lo stretto rapporto tra architettura e potere; curioso assistere a come, […]
Tra le forme della creatività è quella che entra in maniera più visibile e aggressiva nella vita della collettività; cambia i paesaggi urbani, smuove terra e soldi; incide segni spesso indelebili sul volto delle città. Non è un mistero e non è prassi recente lo stretto rapporto tra architettura e potere; curioso assistere a come, nel marasma della società liquida, il legame si vada assestando secondo nuovi principi; seguendo stili di comunicazione ad oggi imprevisti e imprevedibili. Ce lo vedete Renzo Piano in veste di Presidente della Repubblica? Il prestigio internazionale c’è, le competenze politiche forse un po’ meno: da qui il non possumus dell’archistar a Beppe Grillo, che avrebbe voluto il concittadino al Quirinale. Che tra i due ci sia un vecchio rapporto di stima è risaputo; non abbastanza per convincere l’archistar a scendere in campo: una bella lezione di umiltà per una forza politica che trova nel reclutamento dal basso la propria delizia, ma pure la croce di personaggi già sbugiardati da prime dichiarazioni venate di insipienza naif. Del peana lanciato da Daniel Libeskind contro i colleghi asserviti ai nuovi regimi totalitari si è detto e scritto molto: con il nostro a scagliarsi pubblicamente contro i progetti che gente come Norman Foster e Zaha Hadid ha firmato per piccoli e grandi potenti delle steppe dell’Asia Centrale e caucasica. Bizzarrie geografiche, nomi buoni al più per il misticismo di Gurdjieff: eppure nell’Azerbaijan del despota Ilham Alyev i soldi scorrono a fiumi, così come nel Kazhakstan dell’eccentrico Nursultan Nazarbaev. Quanto basta per convincere sir Norman a disegnare un centro commerciale ad Astana; mentre la Hadid firma un centro culturale a Baku: pecunia non olet. E tanto per restare nel citazionismo c’è chi va a pescare i paralleli evangelici tra pagliuzze e travi: è Massimiliano Fuksas a tacciare l’intervento milanese di Libeskind nell’are dell’ex fiera come “la peggiore speculazione immobiliare italiana da Craxi in poi”. C’è chi esula dalle beghe di cortile quando ritiene di ragionare sul rapporto tra architettura e politica. Scegliendo la metafora. Harry Truman, il presidente dell’atomica, e il suo segretario di stato Dean Achenson – tra gli strateghi del piano Marshall – hanno “costruito il Partenone, con geometrie classiche e linee chiare. Le colonne erano costituite da una manciata di grandi istituzioni e alleanza, dominate dalle maggiori potenze”. Così Hillary Clinton nel discorso di addio al suo – momentaneo – impegno nell’agone della politica internazionale. Per la più energica first lady del Novecento i tempi suggeriscono “una nuova architettura per questo nuovo mondo, più alla Frank Gehry […] Alcuni dei suoi lavori potrebbero apparire confusi, ma sono a tutti gli effetti profondamente ragionati e sofisticati. C’erano una volta poche forti colonne che potevano sopportare il peso del mondo, oggi abbiamo bisogno di un mix dinamico di materiali e strutture”. Basta che tutto stia in piedi…
– Francesco Sala
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