Vi siete mai soffermati a scrutare un kiwi prima di addentarne la polpa succosa? Avete mai assaporato un frutto o una verdura prima con gli occhi e con la mente? Avete mai pensato che ogni cibo ha un colore, una forma, una funzione ma può assumerne infinite altre, quando se ne intenda l’intima essenza e la si pieghi a svariate necessità e ai capricci estetici più estremi?
Il pane, si sa, come la pasta, ha sempre assunto aspetti insoliti e, ad oggi, un panificio e una boutique vantano lo stesso potenziale di soddisfazione della clientela, sempre esigente.
La geometria della lasagna, però, la sua paziente costruzione, strato su strato, a ben pensarci è tutt’altro che banale. Come il sugo si insinui tra le sfoglie di pasta all’uovo, contrapponendo la sua più o meno marcata fluidità e il suo colore alla apparente rigidità della costruzione, fosse anche scivolandone maliziosamente fuori, in forma di goccia, è ancora un’altra storia.
Il cibo è qualcosa di intimamente legato alla sopravvivenza, è atavico e universale ma, nel suo essere indispensabile, può evolversi da mero bisogno alle funzioni e soluzioni più raffinate e stravaganti, nelle quali la transazione a oggetto d’uso quotidiano lo rende in certo modo eterno, fruibile in un tempo più lungo del metterlo in bocca, masticarlo, ingoiarlo e, in un certo senso, annientarlo. La collana di patatine (le “rustiche”) e il bracciale di scampi insegnano. Accostamenti di colori, frattali, studio di geometrie in forme che, nella sua semplicità, anche la verdura più banale offre, sono prêt-à-porter. Basta guardare, osservare, ri-pensare, trasformare.
Il cibo si può colare, aprire, sezionare, grattugiare, seccare, spezzettare, scaldare e modellare, misurare, scomporre, ritagliare, travasare, incollare: muniti di ago e filo da ricamo possiamo anche improvvisare un uovo all’occhio di bue su una fetta di pancarrè (vera).
Cibo e futuro: l’ambiente è in pericolo, qualcosa dovrà cambiare. E qualcosa si modificherà se, rispettando la massima sempre valida del creativo cambiamento di prospettiva, sapremo individuare anche in un insetto o in creature che generalmente istigano il nostro più spontaneo ribrezzo fonti di sostentamento alternativo, senza tanti preconcetti. Potrà la tradizione culinaria italiana accogliere tra le sue secolari e invidiatissime braccia una tale sfida? Anche l’usare il riso per costruire una poltrona potrà evitare il disboscamento delle foreste. Certo, a discapito di una certa comodità.
Giulia Galassi
Rovereto // fino al 2 giugno 2013
Progetto Cibo. La forma del gusto
a cura di Beppe Finessi
MART
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