Che New York fosse una piazza ambita per qualsiasi cosa riguardi l’arte è una consapevolezza accertata. Avere uno spazio, fosse anche solo un piccolo stand, all’interno della settimana dell’Armory, significa anzitutto godere di una vetrina utile con clientele internazionali e quantomeno molto più danarose della media degli acquirenti italiani.
D’altra parte, il giro dei biglietti da visita è stato più ingente di quello dei soldi, per cui in sostanza i galleristi italiani sono stati sì contenti di farsi conoscere meglio dal grande pubblico, ma hanno comunque ammesso che il guadagno effettivo dell’operazione è stata sostanzialmente di immagine e notorietà, come accade in tutti i meccanismi dove l’impacchettamento vale almeno quanto il contenuto. L’offerta che hanno portato in mostra è molto legata a un’estetica moderna piuttosto che strettamente contemporanea, ed è di quello che si sono fatti forza rispetto alle più audaci (e a volte discutibili) proposte dei colleghi americani.
Noire ha messo su un intero stand tutto su Alighiero Boetti (il pubblico newyorchese ha ricevuto una buona educazione sull’argomento di recente grazie alla mostra che si è conclusa al MoMA in Ottobre), Mazzoleni invece ha portato nomi come Lucio Fontana, Enrico Castellani e Agostino Bonalumi, mentre Cardi Black Box ha presentato uno splendido e coloratissimo Ashley Bickerton piazzato al centro del suo grande stand.
La Galleria d’Arte Maggiore ha poi esposto gli immancabili e classici Morandi, la Continua ha selezionato tra i suoi artisti il toscano Giovanni Ozzola (vincitore nel 2011 del Premio Cairo), Vistamare di Pescara ha presentato Ettore Spalletti (“Ho scelto l’Armory piuttosto che Frieze perché ha un carattere distinto dall’Europa, significa davvero esportare il proprio lavoro“, ha detto Benedetta Spalletti, che ha scelto gli inconfondibili lavori del padre), mentre Il Ponte ha sorpreso con altri due giovani toscani, Francesco Chiacchio (poetica la sua opera con il pianista) e Zoe Gruni.
Questo per quanto concerne l’Armory tenutosi al Pier 92, sede delle gallerie per così dire più istituzionali; per quanto riguarda invece Scope, già abbiamo evidenziato le opere della Galleria Ghetta con Valentina D’Amaro e i suoi paesaggi in verde e la Secci Contemporary con il teschio animato da secrezioni liquide elettromagnetiche di Alessandro Brighetti.
Nel complesso, un panorama composito e variegato, che però forse ha sofferto della mancanza di maggiore temerarietà, che è stato il leitmotiv di un po’ tutta la fiera.
Diana Di Nuzzo
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