Dialoghi di Estetica. Parola a Giacomo Fronzi
È un ricercatore nato nel 1981. Ha già al suo attivo un cospicuo numero di libri. È laureato in filosofia e musicologia, ha un dottorato in etica e antropologia, è diplomato in pianoforte e collabora con la cattedra di estetica dell’Università del Salento. Seppur raramente, qualche spiraglio nelle accademie italiane si vede. Una intervista di Vincenzo Santarcangelo del LabOnt, in occasione dell’uscita di Electrosound.
Iniziamo con una domanda che a tutta prima potrebbe sembrare polemica, ma che semplicemente – mettiamola così – è una delle prime curiosità che sorgerebbe se un sociologo della cultura iniziasse a occuparsi di musica: è possibile che per arrivare a uno studio sistematico sull’estetica della musica elettronica ed elettroacustica si sia dovuto aspettare, in Italia, il 2013, mentre in Francia e Gran Bretagna (per restare in Europa) esiste una florida letteratura su questo tema che ha invaso anche le accademie più paludate?
La domanda è senz’altro molto pertinente. La letteratura su questi temi, in effetti, fuori dai nostri confini appare più articolata e più diversificata. Probabilmente all’estero pesano in misura minore alcune tradizioni storiografiche e musicologiche che finora hanno impedito alla riflessione sulla musica elettronica uno sviluppo più libero, meno vincolato a certe specifiche questioni o figure. Gli importanti contributi prodotti in Italia negli anni, per quanto quantitativamente inadeguati, si collocano all’interno di un percorso avviatosi a Milano negli Anni Cinquanta e che, con molte difficoltà, ha cercato di diramarsi e diversificarsi in altri contesti geo-culturali.
Hai ragione, e non è certo mia intenzione far torto a chi ha indagato l’argomento da uno specifico punto di vista – spesso in maniera eccellente – e dunque citerò almeno alcuni titoli recenti: Prix Italia. L’immaginazione in ascolto, a cura di De Benedictis e Novati (Die Schachtel, 2012), Il secolo del rumore di Pivato (Il Mulino, 2011), Lo Studio di fonologia – Un diario musicale (AA.VV., Ricordi, 2009), Gli Ultraterrestri di Gamba (Cronopio, 2008) e Millesuoni. Deleuze, Guattari e la musica elettronica (Cronopio, 2006 – un’antologia che però contemplava due soli autori italiani, Paci Dalò e Quinz, su otto contributori). E poi, ancora, i seminali Musica Espansa di Galante e Sani (LIM, 2000) e Musica nel laboratorio elettroacustico di Scaldaferri (LIM, 1997). Ma si tratta appunto di visioni circoscritte: hai una spiegazione a questo fenomeno in termini, appunto, di sociologia della cultura?
Le difficoltà e le diffidenze sembrano essere ancora notevoli, sia perché sull’elettronica sembra gravare – in alcuni settori degli studi sulla musica contemporanea – una sorta di destino avverso legato alla sua misteriosa natura, alla sua difficile realizzazione (in ambito “colto”), sia perché una discussione più ampia, che possa rendere conto delle possibili valutazioni anche “extramusicali” di questo genere musicale (che è probabilmente il più onnipresente nelle nostre vite) stenta a prendere corpo e a trovare legittimazione. Così come scarsa appare anche l’attenzione del mondo intellettuale al continente dell’elettronica “extracolta”, con la quale, io credo, occorre invece fare i conti.
E ora veniamo al tuo, di libro, Electrosound (EDT, 2013): più di quattrocento pagine divise in tre sezioni (Pionieri e sviluppi nazionali; Rock e dance music; Per una fenomenologia della musica elettroacustica). La storia, l’estetica e (aggiungo io) la geografia della musica elettroacustica. Vuoi spiegarci brevemente il senso di questa tripartizione?
Si sarà forse già capito che il mio sguardo cerca sempre la mobilità, lo spostamento del focus da un territorio all’altro, nel tentativo di riscontrarne analogie, punti di contatto o elementi di divergenza. Mi sono formato all’insegna del dialogo tra i saperi, del confronto vivo e proficuo tra forme ed esperienze teorico-pratiche diverse. Questo, per quel che riguarda lo specifico di Electrosound, si traduce in un aspetto particolare che ora cerco di esplicitare. Il volume si divide in tre parti. La prima è dedicata alla ricostruzione storica delle principali direttrici di sviluppo della musica elettroacustica, a partire dai pionieri per finire ai vari sviluppi nazionali nei cinque continenti, naturalmente tenendo presenti le esperienze più significative, almeno a mio parere. Seguire le vie dell’elettroacustica significa guardare ai suoi padri (Schaeffer, Stockhausen, Berio, Cage ecc.) e ai suoi innumerevoli figli e figliastri sparsi per il mondo, ma significa anche – e siamo alla seconda parte del libro – privilegiare una prospettiva extra-colta, disponibile, cioè, ad aprirsi, all’intero territorio della musica, nelle forme del rock, del pop o della dance. La terza parte, poi, contiene considerazioni di carattere estetologico, filosofico, sviluppate con un particolare grado di densità teorica. I paragrafi contenuti nella parte terza del volume a tutta prima potranno sembrare talvolta distanti, troppo distanti dal tema centrale; in realtà puntano ad arricchire di spessore teorico una materia alla quale sono stati posti dei confini eccessivamente angusti. Questa tripartizione corrisponde sostanzialmente alle tre prospettive dalle quali ho cercato di affrontare il fenomeno della musica elettroacustica.
Durante una recente intervista radiofonica su Rai Radio Tre, il compositore Francesco Antonioni, che dialogava con te, è stato costretto a fare un’affermazione ardita, che cerco di riformulare così: a rigore, se procedessimo all’intersezione dell’insieme “musica elettroacustica” (secondo la tua definizione) con l’insieme di “tutte le esperienze estetiche sonore possibili “, a rimanere fuori, oggi, sarebbe ben poco: la musica da camera, certa musica sinfonica, il jazz acustico, certa musica tradizionale o folk. Possibile che questo concetto, quello di electrosound, sia così onnipervasivo, così famelico?
Franco Fabbri ha scritto che “se un esploratore extraterrestre fosse arrivato nei primi mesi del XXI secolo in un qualunque luogo abitato del nostro pianeta, ammesso che ne avesse le facoltà (che nella finzione diamo per scontate), avrebbe potuto osservare che gli appartenenti alla nostra specie erano esposti per una parte rilevante del loro tempo di veglia a suoni provenienti da apparati elettroacustici”. Difficile sostenere il contrario. Nelle nostre tasche, accanto a noi, dentro e fuori il luogo in cui ci troviamo, elemento costante, molto probabilmente, sarà un particolare suono, una più o meno fastidiosa o interessante sequenza di suoni, non tradizionali ma elettronici. L’uomo d’oggi nasce e agisce in un paesaggio sonoro caratterizzato da una elettrificazione e digitalizzazione progressivamente più accentuata. Se questo è il quadro, per così dire, generale e quotidiano, al quale siamo tutti un po’ assuefatti, la relazione tra sfera elettronica e sfera sonora ha finito con il comprendere quasi la totalità della produzione e riproduzione musicale, lasciando al suo esterno – in effetti – solo la fruizione live di concerti di musica pre-elettronica, se così possiamo dire. Nel corso del Novecento si è reso effettivo, seppur non costante né (forse) irreversibile, un certo assoggettamento volontario dell’arte allo spirito della tecnica. Quest’ultima è heideggerianamente un destino, ma non può aver ragione solo per il fatto di esistere. Ciononostante, il contesto dell’electrosound credo sia, al giorno d’oggi, in assoluto il più onnicomprensivo.
“Nell’aprile del 1960, inserendosi in un dibattito sulla fenomenologia della musica contemporanea, aperto da Enzo Paci con un intervento pubblicato su ‘Il Verri’ […] Fedele D’Amico si sforza di abbattere un pregiudizio: che la musica contemporanea sia una”. Sto citando dal tuo libro. Tu accogli volentieri l’eredità di D’Amico e intitoli un paragrafo: La musica elettroacustica non è una. Come abbiamo detto poco fa, anzi, faremmo prima a dire cosa non è musica elettroacustica, che a cercare di definire cos’è…Voglio provare a far intervenire Testadura (il celebre personaggio fittizio ideato dal filosofo Arthur C. Danto) in sede di estetica musicale. Poniamo che ti dica che la musica elettroacustica è una: è quello specifico genere musicale che eredita la lezione di compositori come Ussachevsky, Subotnick, Stockhausen, Bayle, Ferrari, di esperienze come lo Studio di Fonologia della Rai, di INA-GRM, del WDR di Colonia, del San Francisco Tape Music Center e le riaggiorna all’oggi. D’altronde ci sono importanti etichette discografiche che si occupano proprio di questo: Die Schachtel, Editions Mego, Empreintes DIGITALes, per non fare che qualche nome… Come gli risponderesti?
Gli risponderei innanzitutto di porre la dovuta attenzione a due elementi. Il primo: al di là del ruolo assolutamente centrale e fondamentale (nel senso di ciò che propriamente costituisce il fondamento di/per qualcos’altro) delle esperienze maturate a Parigi, a Colonia, a Milano e negli Stati Uniti, va anche detto che la storia della musica elettroacustica ha visto dispiegare i propri frutti in ogni parte del globo, talvolta in chiave manieristica, ma spesso anche con risultati decisamente originali e innovativi.
Il secondo: l’elettroacustica non può essere ricondotta esclusivamente entro i confini della musica contemporanea colta sperimentale. Se vogliamo cercare di comprendere e interpretare la svolta elettronica all’interno della quale ci troviamo (ormai da tempo) e dalla quale non usciremo mai più, sarà necessario cageneamente aprire le orecchie e la mente a quei fenomeni sonori (e musicali) tendenzialmente e pregiudizialmente tenuti fuori da analisi estetiche e musicologiche. Per farla breve: il mondo della musica elettroacustica è molto più ampio e diversificato di quanto si possa immaginare. In esso si possono individuare innumerevoli “regioni” e “subregioni”, come le ha definite Barry Schrader, così come si sono sviluppati stili per quanti sono i compositori che si sono occupati di elettroacustica. Senza calcolare poi che all’elettroacustica “colta” occorre aggiungere la vastissima regione della musica elettroacustica extracolta, difficilmente inscrivibile in toto in uno dei settori “classici” (Tape music, Electronic music, Musique concrète, Synthesizer music, Computer & Digital Music, Live/Electronic Music ecc.). L’elettroacustica extracolta, infatti, è a sua volta un tronco da cui prendono origine innumerevoli ramificazioni, in ognuna delle quali, però, l’elemento elettrico o elettronico è centrale: rock, pop, reggae, dub, hip-hop, rap, house, techno, rave, a cui vanno aggiunte ulteriori varianti interne.
L’ultima sezione del libro cerca di gettare le basi per una fenomenologia della musica elettroacustica. Innanzitutto come mai hai scelto il termine fenomenologia (immagino sia tutt’altro che casuale)? E, sempre che tu fossi mosso, anche solo parzialmente, da intenti classificatori: non hai mai pensato di rivolgerti alla tradizione dell’estetica analitica, che dedica una notevole parte delle proprie energie a questioni definitorie?
La mia formazione si è sviluppata parallelamente sui due fronti della filosofia e della musica (alla quale mi sono sempre approcciato sia teoricamente che praticamente). Questo ha significato per me tentare, in questo come in altri lavori, di combinare, bilanciare, mettere in dialogo ambiti quasi contigui, ma pur tuttavia diversi, dotati di linguaggi, tradizioni di pensiero e codici del tutto peculiari. La musica elettroacustica costituisce una precisa figura, per usare una nozione hegeliana, della fenomenologia della musica contemporanea, una figura che si è presentata, fin da principio, come un momento di rottura, come una delle numerose crisi che hanno sempre attraversato la storia, in generale, e la storia delle arti, in particolare. Ho considerato quindi opportuno valutare – in un senso più hegeliano che analitico e lontano da ogni tentativo definitorio e classificatorio – il continente della musica elettroacustica non come un fenomeno isolato, ma come un momento di evoluzione concettuale e tecnico-musicale interno al più ampio orizzonte artistico e speculativo che ha reso il Novecento forse il secolo più rivoluzionario della storia dell’umanità.
Vincenzo Santarcangelo
Giacomo Fronzi – Electrosound. Storia ed estetica della musica elettroacustica
EDT, Torino 2013
ISBN 9788866391265
www.edt.it
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