Gli archivi dell’immateriale
Le tempeste si accumulano sui linguaggi digitali. Di positivo c’è il lentissimo emergere della percezione che una continua fruizione e traduzione di tutte le forme di comunicazione attraverso i dispositivi e i sistemi distributivi digitali produce una ricaduta estetica. Un concetto inserito nel Dna dell’arte contemporanea almeno dagli Anni Venti (futuristi e Walter Benjamin), dagli Anni Cinquanta (Guy Debord e Marshall McLuhan), dagli Anni Ottanta (anche il sottoscritto).
L’aspetto negativo delle tempeste si accumulano sui linguaggi digitali è che l’industria impone insostenibili leggi di ricambio tecnologico. Mentre il guru del MIT Nicholas Negroponte fa sperimentazioni con bambini analfabeti in Africa per rapidi apprendimenti via computer, una logica spietatamente commerciale pensa a centellinare hardware e software.
Le espressioni estetiche digitali sono una delle vittime di questa situazione. Nella sua condizione di “arte contemporanea”, l’arte digitale è tecnologicamente soggetta a una continua operazione di consumo e svuotamento di idee e forme espressive attraverso una variabilità ben maggiore rispetto a quella vissuta dal “core” dell’arte contemporanea. La soluzione? La memoria, l’archivio.
Le piccole e grandi strutture che si occupano di digitale hanno dato il via a difficili tentativi di archiviazione online e offline. In Toscana l’EduEda (di Tommaso Tozzi, Accademie di Belle Arti, Facoltà di Matematica) aveva iniziato un’interessante raccolta di dati e documenti online. Iniziativa necessaria e inizialmente anche appoggiata dalle istituzioni. Appoggio che ora viene a mancare nei venti di guerra anti-cultura & ricerca che soffiano in Italia.
In un convegno al Museo Pecci di Prato cerchiamo di capire i diversi aspetti del problema. Che è enorme. Si parte dai piccoli archivi legati a riviste fino alle foundation straniere o musei come il Beaubourg. Il convegno focalizza i problemi concreti e quotidiani di questa nuova e necessaria inclusione della cultura digitale in un contesto di memoria culturale attiva. Ma emerge anche un pensiero/riflessione: l’inconscio è un archivio di tutte le esperienze che formano la nostra identità e noi viviamo nel mondo come un archivio con le sue implicazioni culturali, sociali, politiche.
Lorenzo Taiuti
critico di arte e media
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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