Dimenticatevi il Bambino ostrica di Tim Burton, o l’estetica d’accatto che gioca con una versione ingentilita del voodoo. Con Evgeny Antufiev (Kyzyl, Tuva, 1986; vive a Mosca) siamo di fronte all’orrore vero, al sogno ossessivo, sordido, iconoclasta di un visionario. E a una marcata consapevolezza, che non disperde in fantasie masturbatorie l’inventiva formale, ma la incanala verso il contenuto. La razionalità di un universo così dissoluto sta nella tenuta della struttura, in un linguaggio tanto solido da permettersi ogni contorsione al suo interno.
Nelle sale sono sparsi ready made come minerali, foto, insetti, ciocche di capelli. A essi si mescolano le creazioni di Antufiev, che occupano una zona neutra tra ready made e scultura: maschere di tessuto con denti di animale, esseri ibridi di stoffa imbottita, assemblaggi di ossa come amuleti di una civiltà imprecisata. La fattura accuratissima di creazioni così aleatorie e dissonanti è un primo punto di forza della mostra.
Il linguaggio di Antufiev, poi, indica un’alternativa contro le impasse con cui si deve confrontare l’arte contemporanea. La critica alla compulsione consumistica, implicita nell’installazione d’oggi, sbatte contro la prevenzione della critica stessa da parte del sistema dei consumi. E l’arte si smarrisce: come nell’ultima mostra milanese di un artista acutissimo come Haim Steinbach, che diventa letterale e perde di efficacia. Antufiev invece incasella l’accumulo di oggetti in un sistema che è specchio di ognuno di noi. La psicosi simulata è un grido d’accusa contro la nevrosi di massa.
E l’artista russo supera anche l’impasse attuale del ready made. Riguardando le opere in foto, ci si accorge che sono svanite, come fantasmi che non si lasciano catturare dalla macchina. La mostra risiede in un sistema di pensiero che si affianca ad essa come un doppio parassitario: ciò che è davvero esposto non sono le opere, ma uno spazio mentale, come se si penetrasse in una scatola cranica o nello zeitgeist di una società degenere.
Non sembri intellettualistico tutto ciò: l’inventiva è strabordante e non mancano appendici giocose. Almeno in apparenza. Ad esempio, i copriscarpe da indossare prima di entrare. Ma non c’è niente da proteggere sul pavimento, e si tratta di un gesto a perdere, un esempio della dépense prescritta da Bataille. Così come il momento ludico dell’urna da cui si pesca un bigliettino tentando di vincere dei premi. Si sorride, alla fine, ma a denti stretti, visto ciò che ci si è lasciato alle spalle.
Stefano Castelli
Reggio Emilia// fino al 31 luglio 2013
Evgeny Antufiev – Twelve, wood, dolphin, knife, bowl, mask, crystal, bones and marble-fusion, exploring materials
COLLEZIONE MARAMOTTI
Via Fratelli Cervi 66
0522 382484
[email protected]
www.collezionemaramotti.org
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