Che fare?
La situazione è talmente difficile che non è contemplabile una sua, banale, “soluzione”. Diventa più sensato e meno velleitario, oltre che oggettivamente più fattibile, immaginare diversivi. Scelte operative che permettano di smarcarci da una crisi che dura da quasi cinque anni e che non è affatto vero che sfiora soltanto il mondo della cultura. E allora, che fare? L’editoriale di Artribune Magazine numero 12. Dove trovare le altre 95 pagine? A MiArt, ad esempio, dove festeggiamo il nostro secondo compleanno.
Le analisi economico-finanziarie sono contrastanti perché, effettivamente, il mercato dell’arte – inteso come compravendite d’alto bordo e aste internazionali – ha subìto contraccolpi solo all’inizio. Diciamo nel 2009. Poi quasi più niente: quotazioni su, aste vivaci, un fiume di denaro che, magari proprio per la crisi, affluiva da Christie’s, Sotheby’s e Phillips, per differenziare e mediare i poco remunerativi investimenti borsistici o immobiliari.
In realtà, però, la situazione ha continuato a deteriorarsi massicciamente. Non solo in Italia, al di là di quello che possiamo pensare: su ordini di grandezza e proporzioni sempre diverse, Paesi come Olanda, Regno Unito e addirittura Francia si sono ritrovate in enorme difficoltà per l’arretramento dell’impegno privato, ma soprattutto per l’assottigliamento del contributo pubblico alla cultura. La Spagna è alla disperazione. L’Italia contrappone la sua fenomenale capacità di arrangiarsi a un contesto oggettivamente clamoroso. Siamo ancora qui benché si sia visto di tutto: chiusura di tanti musei, commissariamenti, storiche rassegne saltate.
Una situazione, come dicevamo in premessa, che non presenta soluzioni. Nel senso che non ci sono e non ci saranno ricette per tornare in un modo o nell’altro allo status quo ante. Occorre semmai generare un nuovo status quo in cui trovare un modus vivendi necessariamente diverso dal precedente. Per tutti: artisti, critici, curatori, musei, gallerie private, riviste come quella che avete in mano. Anche nelle recentissime settimane, qualsiasi tentativo o prospettiva di “normalità” è stata tarpata: il caos del quadro politico obbligherà a governi non sereni, che di certo non avranno modo di mettere lo sviluppo culturale del Paese tra le priorità; questo fa il paio, simbolicamente, con assessori alla cultura che, non accettando bilanci e stanziamenti largamente insufficienti, vengono allontanati dalla giunta: è successo a Milano, non in una città qualsiasi.
La reazione, appunto, deve essere non conforme. Occorre un diversivo, soprattutto un diversivo alla nenia insopportabile di lamentele sempliciotte che sembrano contagiare parte degli addetti ai lavori. Il riscatto deve partire – se ne prendano la loro responsabilità, visto che è una locuzione oggi in voga – dagli artisti. Da loro! In un periodo del genere ci si aspetterebbe qualcosa di diverso dal sostanziale immobilismo attendista che pervade la nostra classe creativa. La crisi economica può essere qualcosa di duro e poco piacevole, ma può essere anche qualcosa di stimolante. Può rappresentare una sfida che deve essere colta. Si può e si deve rispondere con la produzione. La pro-du-zio-ne. La produzione di opere d’arte che sappiano farsi interpreti del momento, che lo fissino nella storia, che ne anticipino gli esiti. La strada la devono segnare gli artisti e nessun altro: almeno loro non stiano a guardare, almeno loro non ci tedino con patetiche lagne.
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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