Il Padiglione Islandese e l’esorciccio. Ancora traduzioni così e così alla Biennale…
A dir la verità, quando l’abbiamo vista abbiamo temuto una revanche della Zeromania, e dei relativi sorcini. Poi abbiamo capito che si trattava di una semplice, veniale svista nella traduzione. Che, dopo quella del Padiglione Egitto, già segnalatavi, abbiamo pizzicato al Collegio degli Armeni, dov’è allocato, tra gli altri, il Padiglione Islandese. Sul tetto del […]
A dir la verità, quando l’abbiamo vista abbiamo temuto una revanche della Zeromania, e dei relativi sorcini. Poi abbiamo capito che si trattava di una semplice, veniale svista nella traduzione. Che, dopo quella del Padiglione Egitto, già segnalatavi, abbiamo pizzicato al Collegio degli Armeni, dov’è allocato, tra gli altri, il Padiglione Islandese.
Sul tetto del piccolo edificio che li ospita, Libia Castro e Ólafur Ólafsson hanno installato un altro pezzo del loro progetto Under deconstruction: un grande orcio dal quale fuoriescono (ascoltabili in cuffia) le “voci” di Platone, Tucidide, Esiodo, Euripide, Aristotele. Ma se dalla tradizione orale si passa alla traduzione scritta, salta agli occhi che “Exorcising” è diventato “Esorciando“. E va bene che il lavoro si chiama “Questo non è il tuo paese“, però un po’ di attenzione nella “conversione” da una lingua all’altra male non fa…
– Anita Pepe
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