Triennale Design Museum. Complessità e assimilazione

La sesta edizione del Triennale Design Museum si trasforma in un racconto in tre atti sul design italiano. Una storia narrata dal dopoguerra all’attualità, attraverso l’allestimento di Pierluigi Cerri. Un percorso che coinvolge 22 designer italiani e internazionali, impegnati nella realizzazione di inedite installazioni site specific. Inaugura questa sera, 5 aprile, e noi ve lo raccontiamo in anteprima.

Sesta edizione, la sesta versione del Triennale Design Museum di Milano. Sotto il segno de La sindrome dell’influenza, la nuova veste del museo appare, fin da principio, una creatura libera, propria: nessun grado di continuità con la “grafica italiana” del precedente TDM5. “Le domande che ci siamo posti, nel momento in cui abbiamo dovuto capire quale lato mostrare del design, sono state semplici ma costitutive”, rimarca il curatore della nuova edizione, Pierluigi Nicolin. “Perché esiste il design italiano? Che cosa lo nutre? Quali sono state le condizioni che ne hanno influenzato gli sviluppi? Come è arrivato a rappresentare un fenomeno internazionale veicolando una identità italiana? E quali sono le virtù italiane che il design rielabora guardando alle grandi avanguardie?”. La prima parte della mostra, infatti, descrive l’invenzione del design italiano. “L’origine del design è da porre immediatamente a ridosso del secondo conflitto mondiale”, prosegue Nicolin, “quando conferire un’estetica ad arredi e oggetti divenne un modo per rileggere esperienze culturali e modernizzare il Paese entrando a far parte di un programma di visione identitaria e politica.
Nella prima parte de La sindrome dell’influenza, infatti, si presentano dieci installazioni dedicate ai maestri del design italiano. “Nel Nord Europa erano sempre esistite scuole di design. Ma è in Italia che sono emerse le vere individualità, riflessi di esperienze di vita uniche ed espressioni di un’industria manifatturiera che ha permesso l’emergere di figure singolarmente creatrici del design. In questa prima sezione della mostra, ogni installazione, opera di un designer contemporaneo, è dedicata a un maestro degli Anni Cinquanta-Sessanta, al suo mondo. Lo scopo è evocare l’origine di una ricerca che ha reso il design italiano un fenomeno culturale internazionale. Ogni maestro, come Vico Magistretti, è contrassegnato da una sorta di traccia semantica che ne sottolinea, a parete, i progetti più significativi. Mentre il proprio corrispettivo contemporaneo, Paolo Ulian, trasforma lo spazio e alcuni arredi nella vibrazione umbratile, impalpabile di simmetrie devianti.

TDM6. La sindrome dell’influenza - Formafantasma & Roberto Sambonet

TDM6. La sindrome dell’influenza – Formafantasma & Roberto Sambonet

L’invenzione del design italiano prosegue per ulteriori nove passaggi, come “un codice in cui tutto è permeabile, diventando un linguaggio solo nelle mani di chi lo sa parlare, attraverso analogie e metafore”, sottolinea Nicolin. Qui il percorso offre spunti e fusioni inedite, tra i Formafantasma che reinterpretano un ambiente-cucina attraverso i disegni di Roberto Sambonet; Sonia Calzoni che amplifica e moltiplica l’elemento della purezza in Carlo Scarpa; fino ad arrivare al video di Italo Rota che interroga, in versione spaziale, Joe Colombo.
Nella seconda parte de La sindrome dell’influenza, invece, il tema schumpeteriano della Distruzione creatrice mette in mostra un nuovo momento del design italiano. “Qui finisce la storia delle idee”, ricorda Nicolin, “per fare spazio a una fiducia nella cultura di massa, nei modelli di crescita industriale, nella moltiplicazione dei generi di consumo, tra i quali fanno capolino moda e design. Ma se la storia è finita, bisogna procurarsi un’anamnesi. Tornando a interrogare chi ha vissuto quel periodo, anni in cui il design si è trasformato nelle mani dei brand, senza alcun rispetto per ecologia e sostenibilità, diventando una forma di produzione delle forme. In questa sezione, i racconti orali di testimoni dell’epoca (da Mendini a Mari, da Grima a Iachetti, da Alessi a Rizzatto), intervistati oggi, si fondono e si confondono con un palco doppiamente specchiato, che mette in scena, moltiplicandole, icone note del design radicale e non.

TDM6. La sindrome dell’influenza - Mario Bellini

TDM6. La sindrome dell’influenza – Mario Bellini

Dopo l’ordinata propagazione del caos, di oggetti, materiali e colori che si mescolano perdendo origine e originalità, l’ultima parte del TDM6 è invece dedicata al nuovo contesto. All’interno di dodici enormi teche bianche, vetrine cubiche, dodici nuovi brand del design si dispongono nel contesto del made in Italy, attraverso installazioni dedicate a esporre la filosofia dei marchi protagonisti, il modo con cui determinano la propria strategia produttiva, l’immagine e la scelta dei designer. “Nella terza parte de ‘La sindrome dell’influenza’”, puntualizza Nicolin, “ho cercato di ricreare dei diorami, dei paesaggi antropologici tra i quali sfilare rimanendone all’esterno. Queste vetrine sono spaccati in cui, ad esempio, Mendini ha potuto giocare [fra trenini elettrici e paesaggi di Dottori, N.d.R.], prendendo nuova, grande confidenza, con i prodotti disegnati per Alessi. Qui ho lasciato che la Flos riunisse attorno a un tavolo tutte le proprie lampade; che la Kartell fosse ricontestualizzata da Laviani; che Patricia Urquiola moltiplicasse la visibilità ai suoi tessuti per Moroso e che persino Cerri decostruisse, con la sua solita, impeccabile eleganza, un suo progetto per Unifor”.

Ginevra Bria

Milano // fino al 23 febbraio 2014
TDM6. La sindrome dell’influenza
a cura di Pierluigi Nicolin
TRIENNALE
Viale Alemagna 6
02 72434208
www.triennale.it

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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