La cittadinanza rubata e riconquistata
Il Movimento 5 Stelle, il Governo che non c’è e i risultati elettorali che nessuno si aspettava. Ma a leggere i libri dell’urbanista Marco Romano, qualcosa si sarebbe capito. Politica e cittadinanza in un intervento di Luca Nannipieri.
Per capire ciò che sta accadendo in Italia è più utile leggere i libri dell’urbanista Marco Romano che le pagine politiche di Repubblica e Corriere della Sera. Questo io ormai l’ho capito da anni. Chi invece non l’ha capito sono i direttori dei principali giornali.
Per intuire che il Movimento 5 Stelle avrebbe scompaginato il Parlamento dopo le ultime elezioni non dovevamo leggere le decine di editoriali o interviste che commentavano ogni giorno le sfinenti microazioni della sfinente micropolitica parlamentare. Bastava aprire i libri di Marco Romano e capire l’insopprimibile necessità di un coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni pubbliche.
Se i cittadini si sentono esclusi dai processi decisionali che costituiscono l’essenza della loro civitas, della loro cittadinanza, del loro vivere in città e nelle città che compongono un Paese, pian piano si organizzano in forme più o meno concertate di contestazione al potere che li opprime e che loro non riconoscono. Dal XI secolo in Europa, in un processo difficile ma continuo, siamo cittadini in quanto possessori di una casa e in quanto “decisori” di una società aperta in cui chiunque può farne parte a patto di rispettarne le leggi. Chi attenta queste due essenze della cittadinanza si pone nella condizione di essere sentito come nemico, come ente ostile: un dittatore e uno Stato che impongono dall’alto norme uniformi, limitando la diversità dei nostri individuali progetti di vita, sono due realtà che, a vario grado, inibiscono il principio della cittadinanza e, in misura diversa, vengono sentiti come corpi nemici.
Il Movimento 5 Stelle ha vinto in più Comuni (o comunque ha aumentato fortemente il suo consenso) proprio rivendicando l’appartenenza fondamentale del cittadino alla città e alle sue decisioni pubbliche: l’urbs, la città, è la rappresentazione materiale dell’appartenenza di un individuo alla società, senza la quale non sarebbe nessuno. Il Movimento 5 Stelle rivendica lo spazio pubblico della cittadinanza come il segno dell’eguaglianza.
Senza fare riferimenti all’attualità politica, Marco Romano ha riflettuto su questi processi da decenni (molto prima della nascita del movimento di Grillo), in libri che oramai sono classici contemporanei non solo dell’urbanistica ma anche del pensiero.
Invece di leggere la solita pillolina di Michele Serra o le denunce paglia e fieno di Gian Antonio Stella, bastava aprire alcuni suoi libri: L’estetica della città europea (1993), La città come opera d’arte (2008), Ascesa e declino della città europea (2010). Se non si voleva fare la fatica di sfogliare un suo volume, bastava andare sul sito www.esteticadellacitta.it oppure bastava chiamarlo al cellulare o alla casa di Milano.
Erano e sono tanti i modi per avere suoi giudizi su ciò che sta accadendo all’Italia. Ma nessun caporedattore dei principali quotidiani (neanche il Corriere della Sera con cui Marco Romano collabora) ha pensato di farlo, riempendo invece le pagine di retroscena, labiali, criptogrammi di intercettazioni e altre inutilerie varie, che ci dicono tutto senza lasciarci una visione complessiva di niente. Neanche l’uscita una decina di giorni fa dell’ultimo importante libro di Romano, Liberi di costruire, edito da Bollati Boringhieri, che ho recensito sul Giornale, ha motivato un risveglio dei principali quotidiani.
Ciò che dice Marco Romano è meglio lasciarlo in ombra. Le sue tesi sono troppo eversive del sistema affinché divengano motivo di proposta e di forte discussione pubblica. Romano sostiene: l’Europa degli Stati non tiene. I cittadini devono liberarsi pian piano dello Stato-nazione e riacquisire i loro spazi e le loro libertà nelle città. Quanto più lo Stato e la politica nazionale inibiscono l’insopprimibile senso della cittadinanza alla partecipazione e alla costruzione della civitas, quanto più gli individui reagiscono con libertà e ribellione alle norme e alle consuetudini costituite che li opprimono. “La cattedrale, le chiese, il palazzo comunale, la piazza, le porte monumentali, i teatri, i viali alberati, i parchi, gli stadi, le passeggiate, i caffè, le biblioteche, i luna park, ci sembrano così ovvi a vederli lì costruiti ma hanno dietro un lavorìo secolare, dibattiti di generazioni, interminabili liti sui cantieri e contrasti”.
Ecco, questi dibattiti e contrasti tra individui e generazioni, per veder riconosciuti i temi collettivi che pian piano hanno costituito tutte le nostre città europee, hanno avuto alla base la partecipazione del cittadino, che aggregandosi con altri ha fatto valere e ha imposto gradualmente sulla scena pubblica un tema che riteneva doverosamente collettivo. Marco Romano riflette su scala epocale (dall’anno mille a oggi) quello che il Movimento 5 Stelle richiede oggi in Parlamento e nelle città.
Al Corriere della Sera, a Repubblica, al Sole 24 ore e agli altri quotidiani tutto ciò non interessa e preferiscono dare spazio alla retorica sul bene comune alla Salvatore Settis e alla Stefano Rodotà. È molto più conciliante e comodo. Dicono: lo Stato siamo noi (Calamandrei), la Costituzione è il nostro faro, i cittadini devono muoversi per il bene comune. Frasi fatte che non vogliono dire nulla e che servono soltanto ai vari Settis, Rodotà e Dario Fo a riconfermarsi nei loro ruoli di prestigio.
Piuttosto che un progetto audace come quello di Marco Romano, i quotidiani nazionali preferiscono gli appelli e i retroscena della micropolitica. Sanno bene che gli appelli finiscono nel nulla e che i retroscena servono solo a riempire la carta. Ma sono più innocui. Così Settis, Rodotà e i retroscena sono tutti i giorni sui quotidiani, mentre si fa silenzio su Marco Romano.
Luca Nannipieri
www.lucanannipieri.com
www.esteticadellacitta.it
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