Bonny Hard On
Una coppia di artisti, le parigina, lui del Kansas. Insieme producono nude forme naturali life-size (esseri umani e animali e assimilati) rifasciate in multicolori patchwork di scampoli di arazzi. È l’Opera Sexy scovata dal nostro Ferruccio Giromini.
Frédérique Morrel, parigina, ex insegnante di arte, moda e design presso l’École Supérieure d’Arts Appliqués Duperré, da qualche anno con la collaborazione attiva del marito Aaron Levin, lui invece proveniente dal Kansas, ha avviato un’impresa di arte, moda e design – appunto – che si distingue a prima vista. Firmandosi collettivamente Frederique Morrel, eliminati dunque quegli accenti acuti troppo francesi per la platea internazionale, i due producono nude forme naturali life-size (esseri umani e animali e assimilati) rifasciate in multicolori patchwork di scampoli di arazzi, i cui disegni creano sui corpi sottostanti effetti asimmetrici di distorsione percettiva. Dicendo di ispirarsi a un quilt di miti e temi che comprende il Peccato originale e la Cacciata dall’Eden, il Diluvio universale e l’Arca di Noè, la Caduta e la Redenzione, la Morte e la Rinascita, la Vanitas e la Natura morta, ma anche i bucolici paesaggi settecenteschi o i giardini aristocratici di Fragonard, alla fine la coppia ricrea una sorta di deviante museo di storia naturale che allinea un caleidoscopio barocco di forme imbalsamate psichedeliche.
Di questo giardino zoologico fintamente tassidermico fanno parte soprattutto mammiferi gentili: cavalli, cervi, daini, conigli. Realizzati volumetricamente in resine o fibre di vetro e ricoperti di variopinte pezze di recupero con inserzioni di vera pelliccia e corno – e in alcuni casi mozzati e appesi al muro come antichi trofei di caccia (ma questi, ribattezzati Passe-murailles, per la coppia di artisti sono “creature viventi che hanno letteralmente trapassato i muri per venire a raccontarci le loro storie personali”) – gli animali così ri-creati divengono antenati totemici ideali “visitatori” del nostro mondo, ora timidi, ora aggressivi. Alcuni, in particolare, sembrano interpretare ruoli abbastanza precisi. Ad esempio, in ossequio alle loro leggendarie doti riproduttive, i conigli ostentano spudoratamente genitali monumentali (anche se cercano di nascondersi dietro denominazioni più gentili: “bonnies” anziché playboy-“bunnies”). Viceversa i cerbiatti bambi(n)eschi offrono ingenui le tenere terga, e in ciò si fanno metafora della piccola indifesa vittima del lupo di turno (che potrebbe essere anche un coniglio?!).
La carica fortemente ironico-affettiva nelle titolazioni controbilancia il ricercato e stordente kitsch di molte opere del postmoderno duo, che non disdegna misurarsi – dando prova di un certo umorismo – anche con teschi e scheletri umani, a maggior soddisfazione dei collezionisti internazionali che si contendono tali eccentrici manufatti. L’ultima uscita pubblica di successo è stata in febbraio nel cantone svizzero di Berna: sotto il titolo Wild Art Hunting, le policrome bestiole uscite dal bosco hanno invaso il villaggio alpino di Mürren.
Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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