Angola Leone D’Oro. Buona la prima
È alla sua prima apparizione tra i padiglioni nazionali alla Biennale d’Arte e già vince il Leone d'Oro. “Per la capacità dei curatori e dell’artista che insieme riflettono sull’inconciliabilità e complessità della nozione di sito”. Con questa motivazione la giuria internazionale aggiudica il più alto riconoscimento al Padiglione dell'Angola, nella lista dei nuovi arrivati.
La mostra del Padiglione dell’Angola non è di quelle che scuotono, e forse anche per questo è piaciuta. Rispetto alla volontà di potenza espressa dal desiderio enciclopedico, il giovane fotoreporter diventato artista e quasi “concettuale”, Edson Chagas (Luanda, 1977, ma formatosi in Gran Bretagna), propone una deriva psicogeografica “per interposti oggetti”, un modello di flânerie tutta africana. Rem Koolhaas ha dichiarato in diverse occasioni la propria ammirazione per una città come Lagos, in Nigeria, dove gli oggetti di scarto vengono riutilizzati più e più volte fino all’annichilimento materico, prospettando una economia e una metafisica del consumo in chiave “immaginifica”.
“Sono andato via da Luanda a 16 anni per studiare”, racconta Chagas, “e ricordo che allora per la strada non si trovavano oggetti rotti e abbandonati. Credo che fosse uno dei segni della guerra e della povertà da essa generata. Oggi, dopo circa dieci anni di pace, Luanda è molto cambiata e si trovano oggetti di scarto per le strade”. Impressionato da questa evidente novità, il fotografo angolano decide di creare una serie di “ritratti” di questi oggetti in rovina, situandoli davanti a muri scrostati, strade in terra battuta, porte di legno malandate. “Questa serie l’ho vissuta con lo spirito del reportage”, riprende Chagas. “Volevo raccontare una storia che forse parla di un benessere grazie al quale ora le persone iniziano a poter buttare via le cose rotte”. Insieme agli eroici curatori di Beyond Entropy (Paula Nascimento e Stefano Rabolli Paonsera) e Jorge Gumbe, l’artista luandese ha pensato un allestimento ad hoc per il “sito” di accoglienza del suo lavoro, quel Palazzo Cini a Dorsoduro che fu abitazione di Vittorio Cini e sede della sua collezione di arte antica: uno dei palazzi più belli, tenuti meglio e meno visti di Venezia.
Il dialogo fra l’arte antica italiana e l’arte contemporanea luandese, se così la si vuol mettere, crea una miscela effervescente. Da un lato, una ventina circa di pallet in legno con sopra pile accatastate di fotografie da prelevare liberamente per creare il proprio “portfolio”; dall’altra, La scelta di Paride di Sandro Botticelli, un Mantegna ultrametafisico e le pale medievali. Nitroglicerina allo stato puro. Nella sua semplicità l’allestimento è in grado di far esplodere un dialogo che appare quasi come un cortocircuito tra opposti inconciliabili.
“Abbiamo credo compiuto un miracolo”, confessa prima della notizia del Leone d’Oro Stefano Rabolli Pansera, dello studio di architettura italo–angolano Beyond Entropy, già collaboratore di Herzog & de Meuron, “perché per creare il padiglione abbiamo messo in contatto per la prima volta i due ministeri della cultura angolano e italiano”. L’arte è una questione non solo enciclopedica ma anche diplomatica, alla Biennale di Venezia.
Nicola Davide Angerame
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