L’asinello e l’uccellino. Per una lettura iconografica del cartone di Mathias Poledna
Un asinello canterino e un uccellino curioso. Pare uscito da casa Disney il cartoon presentato da Mathias Poledna al Padiglione austriaco dell'ultima Biennale di Venezia. Ma i riferimenti cinematografici sono tanti. Eccoli svelati in questo breve saggio con tanto di video
La prima cosa che accade entrando nel Padiglione Austriaco è che si riconosce qualcosa di familiare. Una Silly Symphony, un cartone hollywoodiano dell’epoca d’oro, uno sketch musicale. Ma man mano che il cartone procede prende piede una sensazione perturbante. Un unico movimento ci accompagna dal cielo fino a un laghetto nel bosco: a guidarci c’é un uccellino. Posatosi su un un rametto chiede a un asinello addormentato “come ci sei finito qui?“. L’asinello per rispondere comicia a cantare, poi danza e il cartone finisce.
Per realizzare Imitation of Life Mathias Poledna ha ricreato delle particolari condizioni produttive, cadute in disuso da anni, con un incredibile lavoro di pre e post produzione, impensabile ai giorni nostri. Il film finito ha tutta l’apparenza di un cartone d’epoca, ma qualcosa non quadra. Come giustamente ricorda Dietdrich Diederichsen nell’introdurre l’opera “I cartoni della Disney erano costruti su strereotipi immediatamente riconducibili a un carattere, una figura, un tipo ideale“. Le caratteristiche dell’asinello di Poledna, invece, non corrispondono al personaggio che interpreta: in parole semplici. non ha le physique du role. “Nella letteratura europea – continua il critico tedesco – quella dell’asino è una figura ricorrente, un animale che non è grazioso, adibito a lavori umili e pesanti, nè agile nè elegante. Impassibile e proverbialmente testardo. Presente come figura minore nelle fiabe e nella letteratura da Esopo a Cervantes, da Shakeaspeare a molte scene bibliche. E naturalmente nella storia della pittura e del cinema in Giotto, Goya, Courbet fino ad Harmony Korine. Non ci si aspetta nulla di intelligente da un asino, eppure ha decisamente un’aura filosofica. L’asino è un’entità non chiara, inetta, ma assolutamente profonda e imperscrutabile. E ancora, esplorendo ulteriormente il tema: “Gli animali nella narrativa hanno generalmente due ruoli. Da un lato possono essere l’alterità dell’umanità, dall’altro possono essere astrazioni di esseri umani, personificando alcuni tratti definite”.
Ora, di fronte a un cartone che non conosciamo ci poniamo due domande: che animale è e che tipo di essere umano è? La personalità dell’animale presentato da Poledna diverge dalle caratteristiche con cui noi identifichiamo la sua specie.
Per prima cosa è evidente che si tratta di un animale antropomorfizzato, ma è anche un pesonaggio con un’anima. La sua espressione comunica un senso di empatica tenerezza: è infantile, dolce, affabile. Il contrario delle prerogative che convenzionalmente vengono attribuite a un asino. Ecco emergere il perturbante. Lontano dall’iconografia della stupidità, della testardaggine, dell’impassibilità e della flemmaticità, il personaggio si esibisce in un numero di canto e danza acrobatica come nella migliore tradizione dell’intrattenimento a stelle e strisce. L’alterazione operata dall’artista mette a nudo un episodio concluso nella storia dell’industria della cultura, che noi oggi identifichiamo spesso come evidenza di una certa innocenza, e che acquista così una luce diversa, interrompendo il processo di idealizzazione. Poledna ce la mette tutta per amplificare questo senso di disorientamento, tra la riconoscibilità degli elementi usati per costruire il film e la natura inadeguata dell’attore: usa, per esempio, un pezzo musicale di grande fama e in voga sin degli anni ’30 scritto da Artur Freed e Nacio Herb, quelli, per dirla in breve, che hanno regalato alla Metro Goldwyn Mayer le colonne sonore di Broadway Melody e Singin’ in the Rain, solo per citare due capolavori del patrimonio collettivo. Il titolo stesso (Imitation of Life) coincide con quello di un popolarissimo melodramma del 1959 firmato da Douglas Sirk. Che dire poi del numero di ballo e del vestito da marinaio? Un’iconografia che immediatamente è riconducibile ad una serie infinita di personaggi cinematografici nord americani di dominio pubblico, da The Navigator di Buster Keaton (1924) a Un giorno a New York (On the Town) del 1949.
Infine, arrivando all’ambientazione, se Diederichsen paragona lo start del cartone con l’incipit della “Divina Commedia”, definendolo piuttosto insolito per un cartone classico, ci sono almeno tre occasioni da citare che dimostrano l’esatto contrario: Biancaneve che si sveglia nel bosco, Alice nel paese delle meraviglie e, la più facile, La Bella Addormentata. Per non parlare di Bambi o di una serie di corti animati sempre della Disney, il cui primo caso risale al 1932 (Flowers and Trees). Tutti questi film hanno similituni iconografiche così forti con il film di Poledna da non poter essere ignorate. Ciò da cui, al contrario, l’artista si allontana in maniera siderale è nella costruzione del plot. Là dove la Disney mostra sempre una tripartizione strutturale rigorosa – presentazione della situazione, fattore che altera l’equilibrio, ritorno all’equilibrio iniziale – qui c’è piuttosto una bipartizione: un antefatto (la domanda esistenziale dell’uccellino) e poi la regressione infantile dell’asino, che però non è risolutiva. Si tratta di una metanarrazione su un processo di rappresentazione, che mette a nudo le ragioni del suo stesso declino. Tutta da godere, con lo sguardo smaliziato di uno spettatore del 2013.
Federica Polidoro
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