Il regista e il compositore. 10 anni di “marzo berlinese” (II)
La rubrica “Ascolti” prosegue con la recensione del festival berlinese “Maerz Musik”. I giorni successivi, con star come Nicolai e Ikeda. E il nostro Luca Scarzella.
Per la tematica di quest’anno, Maerz Musik non poteva non ospitare due star dell’audiovisual generativo come Carsten Nicolai (aka Alva Noto) e Ryoji Ikeda. Le performance sono ospitate nel monumentale edificio ex-DDR Trafo, una vecchia stazione di energia elettrica che ben s’adatta all’estetica di queste performance.
La nuova versione di Unitxt / univrs, di Alva Noto fa riferimento a un linguaggio universale che, come per la matematica, si trasforma in unità, costanti, misure, prefissi ecc. La grafica, come sempre, è il risultato della manipolazione in tempo reale di dati via software, ma la variabile è che Carsten Nicolai, questa volta, fa partecipare al processo performativo condividendo l’interfaccia del software con il pubblico. Le classiche forme d’onda monocromatiche tipiche della raster noton sono ora alternate con colori primari, che rimandano ancora una volta al linguaggio universale.
Nelle ultime giornate del festival assistiamo a Sandglasses, una performance per 4 violoncelli, live electronics e video. Sandglasses è un lavoro di grande impatto scenografico, che usa la tecnica del mapping per proiettare i video su 4 superfici cilindriche di tulle, ognuna delle quali ospita al suo interno ogni singolo musicista. Inizialmente i video di Luca Scarzella sembrano generati al computer, ma in seguito scopriamo che si tratta di fenomeni reali ripresi da una camera. Ciò nonostante, il ritmo della performance non convince del tutto.
Coinvolgente la proiezione del film Šestaja čast’ mira (1926) del regista e teorico dei media Dziga Vertov con le musiche di Michael Nyman eseguite dal vivo al Volksbühne. Nonostante la composizione di Nyman si riveli presto ripetitiva e semplicistica nell’insieme, l’audience è invitata a rivivere un’epoca passata e respirare l’autentica atmosfera del cinema muto. Il documentario riflette la personale poetica del regista sulla realtà sovietica di quegli anni, anche se intriso da chiare linee propagandistiche e politiche, in cui il capitalismo grida la sua agonia e le differenze etniche di tutta l’Unione Sovietica vengono esaltate.
Va detto comunque che la pellicola fu commissionata dal governo per documentare le esportazioni e le importazioni commerciali della Russia. Vertov sfida il controverso mondo del documentario con inquadrature sperimentali, stop motion e usa le didascalie e il montaggio come elementi metalinguistici, capaci di sottolineare e aumentare il pathos nelle scene.
Valentina Scotti
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